
Don Rigoldi e la faccia tosta che ci vuole per difendere un amico indagato in Italia

Questa mattina sono stato all’ospedale Niguarda per cure e controlli, preceduti dalla solita colazione al bar interno. Qui si incontrano pazienti, medici, parenti dei ricoverati, rappresentanti delle case farmaceutiche… Una umanità varia e spesso dolente. Un pezzo di società dei nostri giorni che, come altrove, commenta le notizie dei giornali. C’è un po’ di stanchezza sul tema del terrorismo, ho pensato sentendo un tizio riprendere il discorso di Mafia capitale. Frasi di rito sul malaffare diffuso, dalle cooperative alle istituzioni. A un certo punto, un medico sposta il tiro sul caso – che non conoscevo – della direttrice del carcere minorile Beccaria, agli arresti domiciliari con l’accusa di aver commesso gravi reati nell’assegnazione di incarichi e fondi pubblici, quando svolgeva analoghe funzioni in un altro carcere.
«Ormai si tocca il fondo», osserva un medico sorseggiando il cappuccino. «Qui si tratta di una persona che dovrebbe curare i ragazzi sbandati. Bell’esempio… Gente cosí andrebbe isolata!». Già fatto, penso, mentre gli fa eco un collega: «Anche facendo la tara a quel che ho letto tempo fa sul Corriere dell Sera, quel che resta basta e avanza». A questo punto mi inserisco e chiedo con discrezione: «Quindi, colpevole… senza appello?». Concede, magnanimo, il medico: «Beh, colpevole… colpevole, fino a prova contraria». Insisto perplesso: «Scusi, ma un individuo non dovrebbe essere innocente, fino a prova contraria?». Il medico mi guarda sorpreso e un po’ seccato. Lo fermo mentre sta per ribattere: «Mi scusi – dico appoggiando la tazzina del caffè – devo proprio andare». Saluto con cortesia e mi dirigo verso l’ambulatorio dove di lì a poco inizierò la terapia.
In sala d’aspetto, ripenso alla vicenda della direttrice agli arresti domiciliari. Conosco bene don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile. Tiro fuori dalla borsa il tablet e cerco su internet “Don Rigoldi Beccaria Corriere della Sera”. Trovo un articolo di don Gino Rigoldi in difesa della direttrice ai domiciliari: davvero insolito, vista la mentalità corrente che sembra aver assorbito Travaglio senza alcun travaglio.
La direttrice, certo, può aver sbagliato – scrive don Gino – e «la magistratura saprà senz’altro chiarire». Ma il preambolo di rito finisce qui. Segue l’elenco delle iniziative realizzate dalla direttrice nell’arco di pochi mesi, con una precisazione: «Quella sua insofferenza verso la burocrazia che rallenta la realizzazione dei progetti, atteggiamento spesso condiviso tra privati cittadini come una virtù, per un pubblico ufficiale può sconfinare nel reato».
Don Rigoldi insiste sul profilo umano della direttrice. «Ha subito costruito ottimi rapporti con tutto il personale dell’istituto: con gli agenti, gli educatori, le assistenti sociali e, soprattutto, con i ragazzi. È una persona che esprime umanità. Mi sono subito accorto che al centro di ogni suo ragionamento e decisione c’erano i ragazzi». («Appassionata al destino dei ragazzi», scrive in un altro passaggio).
E se dovesse risultare colpevole? Don Rigoldi non si tira indietro: «Il mio primo pensiero, come prete e come amico, è di affetto». E poi: «Ma come potrei ridurre il significato di una persona a qualche decisione sbagliata?». Nasce in chi legge una domanda: non sarebbe più saggio aspettare che “la giustizia faccia il suo corso”, sperando che tutto si concluda con la formula liberatoria: “Il fatto non sussiste”? È una saggezza umana che sta stretta a don Rigoldi: portando avanti iniziative comuni, ha maturato un giudizio certo sulla direttrice arrestata. “Io la conoscevo bene”, sembra dire don Gino usando il titolo di un film di altri tempi.
Si tratta di una certezza morale che niente può incrinare e che dà a don Gino il coraggio di metterci la faccia, di affermare la sua stima nei confronti di una persona caduta in disgrazia e di esserle vicino mentre tutti la lasciano sola.
Tempo fa mi è capitato di sentire don Rigoldi spiegare il Vangelo ai suoi ragazzi difficili. Citava san Giovanni: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per gli amici». Don Gino, con la sua presa di posizione, ha messo in gioco la sua vita di amico. È un fatto. Per molti l’amicizia si ferma al sentimento: “Il fatto non sussiste”.
Foto Ansa
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11 commenti
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Gli amici degli amici , si sa , son sempre amici . E poi , anche questo si sa , la legge vale solo per i “nemici”.
Dalle stelle alle stalle : così ogni volta che interviene la trollona.
Che gusto c’è a sguazzare nel fango, eh, “salvo” !
Ah, già, eri proprio tu quella che sosteneva di stare bene a sguazzare nel fango : contenta tu, ma non sei affatto contenta, raramente ho incontrato sul web gente messa peggio di te in quanto a contentezza.
Penosa.
Ammettiamolo.
Viviamo in una tale disperazione sociale che si rende manifesta con il sospetto per chiunque ci viva accanto.
I vicini comprano la macchina nuova … chissà che giri loschi.
Il politico ha la casa in montagna … l’avrà rubata.
Il collega manda i figli alla scuola paritaria … avrà scucito i soldi ai suoi vecchi genitori.
Due amici (di sesso diverso … o anche no) escono a mangiare una pizza da soli … sono corna assicurate.
Tutto questo sospetto “a prescindere” e da parte di ciascuno genera il desiderio di “facciamoli fuori tutti”.
La giustizia lenta ed autoreferenziata (oltre che non scelta dal popolo … proprio come 100 anni fa) sembra una sovrastruttura inutile (anche se costosa).
Tanto vale portare le persone sulla gogna pubblica, lasciare macerare per un po’ … tanto qualcosa di sbagliato lo devono pur fare.
E così oggi bisogna aver coraggio per difendere una persona … anche solo indagata.
Ci vuole coraggio e pietà … perché qualunque sia la verità sull’operato di quella persona in ogni caso la persona ha una dignità e questa dignità lo Stato dovrebbe garantirla a prescindere, prima ancora del diritto di cronaca (ma soprattutto delle seghe mentali che ne conseguono sui media!)
Ecco prendete questo post e non solo incorniciatelo su tutti i muri di casa, ma fatene la base di riflessione morale e politica per una ripresa morale e politica della Nazione.
Perché la Nazione, infettata da oltre vent’anni da questo presupposto che tutto e tutti “è una schifezza”, non c’è da fidarsi di nessuno, presupposti divenuti valanga editoriale, regressione mentale e sbraitare a vanvera di massa, infine è diventata una Nazione depressa.
Dopo di che, la ragione di ciascuno si deve chiedere se questo processo di progressiva spoliazione delle risorse morali e intellettive di un popolo sia stato (e sia) frutto del caso, dell’ineluttabilità del fato, di concatenazioni di eventi fortuiti. O piuttosto, il processo spinto fino al grottesco (oggi su un giornale fattosi ricco con la pubblica gogna si sputtana un vescovo sulla prima pagina per cose dette o presuntamente dette al suo compagno di viaggio in treno) da un assetto di poteri che hanno tutto l’interesse (vendono della carta, ci comprano dall’estero, ci hanno fatto disamorare della democrazia, del voto, della cosa pubblica eccetera, e intanto qualcuno deve pur governare, no?) a paralizzare la vita di un popolo e ad atomizzare gli individui rendendoli sospettosi e paurosi e ringhiosi e depressi gli uni nei confronti degli altri. Nel frattempo, mentre gli individui sono isolati e sospettosi e in guerra gli uni con gli altri, chi è che incassa i frutti avvelenati di questa Italia? I cittadini? Le persone? Vi siete fatti più contenti e migliori in questi 20 anni e passa? Legalità papparapà. Mani Pulite chchirichi. O bella ciao zumpappà.
E così, con tutti questi ritornelli da Balilla, democrazia e la sovranità popolare sono andati farsi friggere. Ci troviamo, né più né meno, nelle condizioni della Germania Est degli anni ’70. Con qualche sofisticazione in più. A Berlino c’era una spia in ogni condominio. Adesso c’è un orecchio su ogni treno, un grande fratello in ogni tv e un troll in ogni postazione digitale. Prigionieri di un partito che non ha tessere ma ha una tessera dentro ogni coscienza e quadri dirigenti in ogni apparato, dai media in su. Una variante un po’ meno belluina ma altrettanto asfissiante di una tipica società totalitaria.
Buttare giù il muro costerà sacrificio. E non sarà un’azione di massa. Sarà che uno a uno, come ci insegnarono gli Havel e i Solgenitsin del secolo scorso, dovremo smettere di ripetere gli slogan del regime e cominciare a vivere nella verità. Verità testimoniata in modo semplice, e perciò tanto più eccezionale, da don Rigoldi, nel ricordare che una persona non è i reati che ha commesso, ma il bene che fa.
Il contrario di quanto ci siamo rassegnati, ingrugniti, depressi, disperati a credere avviene da oltre vent’anni a questa parte. Risultato? Mai l’Italia è stata così a terra e ha contato niente nel mondo: politicamente, economicamente, moralmente.
Mi riferivo ovviamente al post di Luca P. Che ringrazio e incornicio. LA
Ok direttore,
ma se si sa che è così, per quale motivo un vescovo esterna il suo pensiero sulla chiesa ( giusto o sbagliato non sono io a giudicare ) ad alta voce facendosi registrare da sicofanti che vivono la loro vita spiando dai buchi delle serrature, secondo me era consapevole del suo fare e del rischio, infatti non vi è stata alcuna smentita, anzi questa mattina l’ arcivesco di Ferrara, Luigi Negri ha inviato una lettera, dal tono molto imbarazzato e penitente, nella quale il monsignore chiede perdono al Papa, gli sollecita un «incontro filiale» e si rimette al suo «consiglio».
mi pare che don giussani dicesse cose simili. ho sempre visto don rigoldi come un contraltare di don giussani ( perlomeno quando don rigoldi interveniva ad es. su famiglia cristiana). si vede che anche lui ha aperto un po’ gli occhi.
Bravo Luca,del tutto d’accordo con te, la cultura del sospetto , del rigorismo fanatico, e dell’ossessione giustizialista.Piove ? Troviamo i “colpevoli” e giustiziamoli ! E’ la logica giacobina che domina in Occidente.Coloro che accusano sono normalmente i peggiori di tutti, però quello che conta è l’apparenza. Non so chi in passato formulò la frase :esistono dei furfanti che non sono moralisti, ma non esiste moralista che non sia anche furfante .
Lo Stato e le sue leggi -e chi le fa- sono il riflesso della moralità che dimostriamo di avere in questi ultimi tempi noi italiani, che abitano l’Italia -che fu terra di santi e sante a iosa- ma che non sanno oramai più distinguere il peccato da una tentazione, il peccato che dà la morte all’anima (mortale )e quello che la infastidisce (il veniale); perchè è tutto lì il segreto dell’onesta e del rispetto -dell’amore al prossimo, e cioè vivere avendo nel cuore nientepopodimeno che la Verità (Gesù).
E sarebbe bene ricordarsene più spesso di questo…per non cadere in letargo.
Grazie.
…abitiamo…..,vabbè