
Don Giussani, una persona eccezionale tra noi

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Si vede che sono amici veri», questo è stato il commento condiviso dai presenti all’incontro di presentazione dell’ultimo libro del nostro collaboratore Renato Farina, Don Gius. Cosa c’entra l’amore con le stelle? (Piemme). Più che la presentazione di un libro, quella di martedì 24 novembre è stato l’incontro di chi c’era con l’autore, ma anche con i relatori che non hanno sintetizzato le pagine lette, ma si sono coinvolti nel profondo con il messaggio e la personalità del protagonista del volume, don Luigi Giussani, il grande prete e soprattutto uomo vero che è sembrato essere vivente e presente con il suo fascino nella magnifica cornice del Palazzo Montemartini. Ha moderato la serata il giornalista Fabrizio Augimeri. Sono intervenuti Luigi Manconi (Pd); Vittorio Feltri; Renato Brunetta (Fi); Gianni Letta, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio e di cui pubblichiamo il discorso tenuto durante la serata.
La figura di don Giussani, don Gius come lo chiamano tuttora i suoi figli spirituali, o don Luigi come lo chiamava Andreotti, è tuttora, nonostante tutto, poco conosciuta. Ci si accontenta di considerarlo il fondatore di Comunione e liberazione, anche se lui ha sempre rifiutato questa qualifica («non ho fondato nulla», ha scritto a papa Giovanni Paolo II). E lo sguardo su di lui, sul suo pensiero, la sua opera, è filtrato e forse deformato dal giudizio o più spesso dal pregiudizio che abbiamo già in testa sulle persone note, in politica o nel giornalismo o nei vari campi pubblici, che si professano “ciellini”. Però più passa il tempo e più emerge la statura di questo sacerdote ben al di là dei confini italiani. Il libro di Renato Farina Don Gius. Cosa c’entra l’amore con le stelle? ha questa caratteristica: è una specie di viaggio alla scoperta di un gigante italiano di cui tutti o quasi hanno sentito parlare ma che è ignoto nella sua dimensione più profonda e personale.
Non è una biografia in senso classico. Farina immagina di essere il committente di una serie di affreschi della basilica dedicata a un don Giussani ormai fatto santo. E propone a un artista, a un pittore, a un nuovo Giotto una serie di istantanee che dovranno ispirare la narrazione di una grande vita attraverso dodici quadri. Che cosa emerge dalla narrazione di Renato Farina? Lo spiega un po’ la fotografia di copertina. Ho chiesto conferma dell’interpretazione all’autore, e l’ho ottenuta. Don Giussani è in un grande teatro. Tra poco di certo si riempirà all’inverosimile (don Giussani dovunque andasse gremiva le sale, i palazzetti dello sport, le chiese). Ma in quel momento don Giussani è circondato da poltroncine vuote. Grazie a questo volume si comprende che il cristianesimo per don Giussani è un dramma assolutamente personale molto più che un dramma sociale.
È un incontro, nasce da un incontro dell’io con un Tu! L’incontro di un individuo, con il suo carico di domande esistenziali, con un Dio che si fa avanti nella storia e propone se stesso come «via, verità e vita».
Chi ha letto i libri di don Giussani mi rinfaccerà di aver scoperto l’ovvio. Il primo volume di don Giussani, scritto quando era giovane prete, si chiama Il senso religioso e spiega in termini esistenziali e filosofici, e sempre con un intento pedagogico, che la domanda religiosa non è una caratteristica di un certo tipo di persone, ma è caratteristica profonda di ogni essere nato da donna. E riguarda il singolo, proprio ogni persona. Nel libro basta leggere il capitolo su Leopardi o su Petrarca per comprenderlo. E per molti sarà una liberazione dall’idea che il cattolicesimo coincida con l’odore di candele e di incenso o con la prigione di una morale pignola.
La religiosità – secondo il Gius (come lo chiama Farina) – è laica in senso etimologico per sua natura, perché appartiene a ciascun figlio del popolo, e coincide con la ragione, la quale non è soltanto quella chimico-fisica, ma è più larga; a sua volta la laicità non può tagliar via la domanda religiosa, perché vorrebbe dire amputare la ragione della sua essenza, che è fatta di desiderio di bellezza, di giustizia, di verità. A questo desiderio Cristo risponde. Ma dire di sì, è un fatto di libertà, che solo Dio giudica.
Don Giussani arriva a far coincidere Cristo con la “Donna” di cui parla Leopardi nell’inno Alla sua donna. Farina sostiene che il recanatese sia stato il più grande amico di don Giussani e che, misticamente, i due, il poeta e il prete, abbiano dialogato in terra e poi ripreso il dialogo in cielo.
Il valore del singolo
L’ultima strofa di questo inno Alla sua donna veniva recitata come ringraziamento dopo la comunione dal seminarista Giussani, senza che il rettore lo scoprisse. La religiosità di un ateo! Questo era capace di vedere don Giussani. E questa strofa recita:
Se dell’eterne idee
L’una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s’altra terra ne’ superni giri
Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi.
La donna desiderata da Leopardi non era la donna come termine dell’istinto, ma il nome dell’Infinito reso vicino, concreto, pura bellezza. Non però lassù, fuori dal tempo e dallo spazio, bensì qui. Impossibile. Inaudito. Follia. Ecco, invece questo è accaduto, accade ora. Cristo si rende presente ora e rende umana la nostra povera vita.
È un po’ paradossale oggi riscoprire questo carattere centrale della testimonianza di don Giussani, centrata sul valore del singolo, sulla esperienza personale della bellezza, rispetto all’immagine pubblicistica di Comunione e Liberazione che è penetrata nel mainstream culturale, dove esiste un noi appiattito e indistinto.
In realtà la presenza sociale e politica di Comunione e Liberazione, sottolinea sempre Farina, non è mai stata quella di una falange di gente senza cervello. Il “noi”, l’unità, la comunione tra le persone deriva dal primo “noi”, che è quello del tuo “io” con Cristo che ti viene incontro attraverso amici. Nasce il noi, ma l’io, la dimensione della persona non può né deve mai sparire.
Mi ha commosso la raffigurazione di don Giussani in preghiera. La sua devozione semplice a san Giuseppe e alla Madonna. Mi ha molto colpito un capitolo che francamente non mi aspettavo. Risulta una affinità stupefacente, secondo l’autore, non solo tra don Giussani e san Giovanni Paolo II, che è cosa fin troppo nota, ma sorprendentemente anche con papa Bergoglio.
Dell’incontro tra Francesco e Comunione e Liberazione, avvenuto lo scorso 7 marzo in piazza san Pietro, è passata l’idea di una presa di distanza e di un rimprovero duro al movimento. Rileggendo quel discorso si nota piuttosto il contrario. È l’invito a seguire davvero don Giussani, a non essere autoreferenziali. In questo modo papa Francesco fa più grande don Giussani e lo rilancia per una prossima beatificazione. Disse nella scorsa primavera ai ciellini: «Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi! Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”».
Tra santi e Papi
Propongo di leggere due pagine dal capitolo numero 10, intitolato “Due santi e tre Papi”, in cui per me si concentra il senso di questo libro. Che peraltro ha questa caratteristica. Si può leggere un capitolo solo, o come consiglia Daniel Pennac, aprirlo a caso e cominciare da lì. In ogni pagina, in ogni frammento, si percepisce il tutto.
«È questa meraviglia il cristianesimo trasmesso da don Giussani. Non è un apparato di valori, ma un’esplosione dell’io nel Tutto, che lo calma, lo accarezza, e lo fa riesplodere di nuovo. (…) Non si capisce niente della novità di don Giussani e del suo essere identico agli apostoli del primo secolo, se non si accetta il fatto che la sua proposta di cristianesimo è una provocazione all’“io” di ciascuno nel contesto di oggi, la stessa contemporaneità di Cristo che valeva per i pescatori e le prostitute di Galilea. (…) Don Gius è sempre riuscito a comunicare questa pertinenza di Cristo con la domanda di felicità di qualunque uomo, qualunque cosa pensasse e credesse in quel momento. Nessuno sentiero è precluso ai piedi dei messaggeri del lieto annunzio. Siccome sono a piedi nudi, si feriscono, ma dov’è il problema, se c’è di mezzo la pienezza dell’essere, la perfetta bellezza diventata sorella di nostra vita?». E, scrive sempre Farina, «Prigioniero anche del suo corpo, che non riusciva più a tirar fuori parole dalla gola, e la lingua si impastava, come accadde in quegli stessi giorni a san Giovanni Paolo II. Ma uomo vero. La coscienza del mistero sempre più viva, nel corpo che si disfaceva. Quando noi lo ascoltavamo, eravamo afferrati nell’intimo e come Natanaele eravamo sorpresi che conoscesse i nostri turbamenti che temevamo infantili, ed essi invece di colpo erano importanti, diventavano la chiave di volta della terra e del cielo. Perché don Giussani aveva lo stesso sguardo che aveva colpito Zaccheo, la Maddalena e prima Giovanni e Andrea. Aveva colpito anche molti altri, tipo il Giovane ricco, ma aveva risposto liberamente di no. Il Firmamento si era inchinato davanti a quel giovane ebreo, coi i suoi quattro soldi, e il Firmamento era diventato triste perché quel ragazzo gli aveva detto di no».
La testimonianza di Bergoglio
Quando era arcivescovo a Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio presentò nel 2001 l’edizione in spagnolo del volume di conversazioni di don Gius intitolato L’attrattiva Gesù, stabilì un nesso tra i due. Ed ecco cosa disse papa Francesco di don Giussani citato da Farina.
«Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della fenomenologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale. C’è una fenomenologia della nostalgia, il nóstos algos, il sentirsi richiamati alla casa, l’esperienza di sentirci attratti verso ciò che ci è più proprio, che è più consono al nostro essere. Nel contesto delle riflessioni di don Giussani incontriamo pennellate di una reale fenomenologia della nostalgia. Il libro che oggi si presenta, L’attrattiva Gesù, (…) non è un libro per intellettuali, ma per chi è uomo o donna. È la descrizione di quella esperienza iniziale dello stupore che viene a galla dialogando sull’esperienza quotidiana provocata, affascinata dalla presenza e dallo sguardo eccezionalmente umano e divino di Gesù. È il racconto di un rapporto personale, intenso, misterioso e concreto allo stesso tempo, di un affetto appassionato e intelligente verso la persona di Gesù, e questo permette a don Giussani di arrivare come alla soglia del Mistero, di dare del tu al Mistero. Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro».
Ecco, io credo che questo libro aiuti a incontrare una persona eccezionale come don Giussani, ma attraverso di lui ci aiuterà a conoscere di più noi stessi e le domande sul senso della vita con cui alla fine coincide l’eterna giovinezza del cuore.
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