«Nella gratitudine la memoria trova una potente alleata. Difficilmente, infatti, perdiamo le cose di cui siamo veramente grati» (Card. Angelo Scola)
È con questo sentimento ricordiamo l’ottantanovesimo anniversario della nascita (8 giugno 1932) e il quindicesimo anniversario della morte (30 giugno 2006) di don Carlo Calori, sacerdote della Diocesi di Milano, il cui curriculum è estremamente denso e ricco di tutte quelle sue capacità che lo distinsero come scrittore, giornalista, poeta, animatore di mostre di cultura e pittura, di concorsi musicali e letterali, spettacoli teatrali, e docente attento ai bisogni degli alunni che ebbe ad incontrare. Ed è appunto in questa veste di docente ed educatore che vorremmo ricordarlo.
Chi era don Calori
Fondatore nel 1976 dell’Istituto Superiore Milanese di Cultura Cattolica, nel 1977 del Liceo Classico e nel 1978 del Liceo Linguistico “Istituto Giovanni Battista Montini”, e nel 1983 del Centro Culturale ISMECC. La Diocesi di Milano lo annovera tra le personalità che hanno contribuito, nella loro vita, a dare una impronta positiva alla comunità ambrosiana.
Tra le sue molteplici attività, vogliamo evidenziare il suo rapporto con l’“Istituzione Scuola”, che tuttavia rappresenta una impresa ardua, tanto è ricco e profondo di motivazioni, di giudizi, di riferimenti e di propositi, orientati tutti alla educazione e alla formazione culturale e umana delle giovani generazioni. L’insegnamento ha punteggiato il suo sacerdozio con la vita degli Istituti presso i quali Dio volle che esercitasse la funzione docente e dirigenziale, il tutto arricchito da altre esperienze di docenza a livello universitario e parauniversitario.
In questo suo impegno culturale e formativo, ebbe sempre presente la persona che gli stava dinnanzi. L’educazione – diceva – non può essere fine a se stessa, un’attività per l’attività. Essa ha un contenuto a cui l’attività deve subordinarsi: ha cioè l’uomo come soggetto e fine del processo educativo. Metodi, programmi, organizzazione, tecniche educative, tutto questo è senza dubbio importante, ma resta secondario.
Un incontra tra due “Tu”
Ciò che viene in primo luogo è la verità di cui è testimone l’educatore, il tipo ideale di vita che domina la sua intelligenza e la sua personalità. Infatti, solo la persona può educare la persona, e l’educazione è un incontro personale tra il “tu” dell’educando e il “tu” dell’educatore, pur se ciò avviene sullo sfondo di un ambiente naturale e sociale. Ed è su queste basi che ha fondato quella grande idea di realizzare una scuola – Istituto Giovanni Battista Montini di Milano – sollecitato dalla constatazione, come da lui stesso affermato in più di una occasione, che «oggi manca ogni idea dell’uomo e allora si rimedia con la demagogia, si dà una infarinatura di tutto e, nella misura in cui si dà una infarinatura, si diventa niente! La società si sta disarticolando, perde funzioni, si ammala, sta morendo e allora lo scopo della scuola cattolica è diventare un luogo dove si trovano dei dissidenti: persone che non sono più in sintonia con questa società e si ribellano ad essa».
Un criterio di giudizio
La scuola cattolica – tra cui il Montini – deve essere un’isola di cultura dove, avendo una idea nobile dell’uomo – quella che ci ha dato Dio – abbia ad incarnare questa idea. E a partire da queste considerazioni che ebbe a declinare una educazione possibile nel contesto dell’educazione familiare e dell’insegnamento scolastico, del vivere sociale e dei principi dell’intelligenza pronta, della volontà tenace, della lungimiranza e del coraggio come elementi fondamentali per entrare nella logica del vivere.
Sottolineando anche come lo svuotamento dei contenuti e delle proposte significative è dato evidente, e come, nel contesto esistenziale odierno, si è andato perdendo il senso del bene, del bello e del vero, ciò che in ultima analisi sostanzia la personalità dell’individuo. Purtroppo l’identità cristiana – diceva – sembra non essere più un criterio di giudizio con cui affrontare tutto, e ciò si ripercuote pesantemente, in primis, sull’educazione.
Senso critico e libertà
Per lui la scuola non era, non è, un oggetto misurabile, ma un fine inesauribile. È un ragazzo che non si perda, che diventi se stesso, che trovi un senso al suo vivere le esperienze personali e sociali: questo è lo scopo della scuola, questo è il suo fine, questo è ciò che la scuola cattolica deve fare e tocca ai cattolici farlo in alternativa precisa, in contrapposizione chiara alla cultura effimera e vuota che contraddistingue certa scuola d’oggi. La scuola – diceva – deve stimolare a cercare risposte al senso della vita. Dobbiamo educare i nostri ragazzi alla Verità, anche se questa è scomoda. «Dobbiamo educarli al senso critico e alla libertà; ma per arrivare alla libertà, occorre avere il coraggio dell’onestà e del sacrificio. Dobbiamo educarli a queste cose!».
Una comunità educante
Infine, va ricordato come don Carlo concepiva la scuola come “comunità educante”, cioè luogo in cui convergono contemporaneamente tre componenti: i soggetti dell’educazione, la famiglia che li esprime, il corpo docente. La scuola «diventa comunità educante quando le tre componenti lavorano con teologie univoche, nel rispetto delle caratteristiche proprie d’ogni componente, nell’esplicazione dei propri carismi, nel servizio reciproco, nella reciproca disponibilità, nella piena scoperta ed utilizzazione della propria identità». «Se non riusciremo a far vivere le nostre scuole, presto le nostre chiese diventeranno dei silos, dei granai o dei garage, perché non ci saranno più fedeli che vanno in chiesa».
Una sollecitazione per il presente
Questo è stato, ed è ancora, il richiamo e parte della vasta testimonianza di don Carlo Calori, richiamo e testimonianza che rappresentano oggi, a distanza di quindici anni dalla sua scomparsa, un obiettivo ed un riferimento: questa è la sollecitazione da lui sempre sottolineata che pone il metodo di Cristo al centro del compito educativo degli adulti.
Testimonianza che ebbe a coinvolgere le famiglie che l’hanno incontrato e gli stessi studenti, alcuni dei quali, superato il periodo liceale e laureatisi, hanno deciso di impegnarsi come docenti nella scuola che li ha formati, ponendosi essi stessi, in segno di gratitudine, al servizio e a fianco delle nuove generazioni nel personale cammino di realizzazione personale.