
Il campione misterioso lo ha indovinato don Andrej, sacerdote (ed ex portiere)
È arrivato a Matias Aguirregaray perché ricordava di averlo visto la scorsa stagione al Palermo: «Seguivo alcune loro partite perché c’erano Ilicic e Bacinovic». Non due giocatori a caso: sono sloveni, come lui, don Andrej Vončina, sacerdote trentenne della diocesi di Capodistria. Con la sua risposta celere il gioco del campione misterioso varca le Alpi e si tinge di colori internazionali: pochi chilometri dai nostri confini, ma un mondo sportivo a noi poco conosciuto, noto dalle nostre parti solo per l’esportazione di quei talenti finiti nei nostri club, siano Handanovic o Khrin, Kurtic o Birsa.
DUE PALI E 17 GOL. Don Andrej li conosce tutti: è una vera enciclopedia del pallone balcanico, di ogni giocatore sa dirti con precisione la squadra in cui gioca, dove è cresciuto, come si pronuncia correttamente il cognome. Perché alla vita in parrocchia ruba sempre un po’ di tempo per dedicarsi a quella passione per il calcio trovata addosso da bambino, e che negli anni delle scuole medie lo ha portato pure a diventare calciatore. Faceva il portiere a Prvaĉina per una piccola squadra di calcio a 5, sport molto diffuso in tutta la nazione. «Non avevo una grande tecnica nel tuffarmi e nel fare le uscite, mi muovevo più di istinto. E c’è voluto un po’ di tempo prima che arrivasse nella mia squadra un allenatore per i portieri. Però ci divertivamo». Superfluo ricordare come anche il giovane Karol Wojtyla amava il calcio e faceva il portiere, poi scoprì la vocazione e tutti sappiamo come è finita. Non sappiamo però quando il giovane Andrej abbia scelto di entrare in seminario, ma una prova delle virtù del Vangelo, tra fermezza, pazienza e sacrificio, si può dire che la ebbe proprio sul campo. Anni fa andò a giocare un match nel Carso goriziano: diciassette volte dovette recuperare il pallone in fondo alla rete. Era una mattanza, ma lui rimase calmo e continuò a provarci. «Però alla fine furono gentili: smisero di correre e ci lasciarono pure fare un gol, e noi tornammo a casa contenti».
LA MAGLIA BIANCONERA. Da quando però ha scelto la vita sacerdotale, Andrej ha dovuto smettere di giocare con la frequenza di prima. Ora per lui il pallone è solo qualche partita alla sera in parrocchia, e poi tanto, tantissimo visto in televisione, dove spesso segue la Serie A. «Ho un cugino che sta a Gorizia e quando ero ragazzo mi trasmise tutto il suo amore per il calcio italiano e per i colori bianconeri». Per la Juve, certo, perché è la squadra che ha vinto di più e ha sempre esercitato un grande fascino. Ma anche per l’Udinese, club seguito con passione vista anche la vicinanza tra il Friuli e la Slovenia: «Nel 2011 andai pure allo stadio per vedere i preliminari di Champions con l’Arsenal: peccato, giocammo bene ma loro fecero molto meglio. Ma i ricordi più belli che ho sono dell’era Zaccheroni: c’era Bierhoff, Amoroso, Helveg… Quell’anno andai a vedere la partita contro l’Inter: Ronaldo era impressionante». Ma la sua carriera sportiva gli ha regalato un ultimo barlume di campo poche primavere fa. Gli mancava un anno al diaconato, da tempo non tornava più a giocare tra i pali, eppure un giorno lo chiamò il presidente della sua vecchia squadra: «Cercavano urgentemente un portiere: dovevano andare ad un torneo ma gli altri che avevano in rosa erano infortunati. “Ma io sono in pensione ormai da anni”, gli dissi. Lui insistette, e alla fine accettai». Arrivarono fino alle semifinali: qui furono sconfitti da un club di Lubjana che giocava nella massima serie nazionale. Fu una partita maschia e nervosa, l’arbitro ci mise del suo sorvolando troppo su alcuni tackle duri, ma don Andrej si superò più di una volta. Ressero lo 0-0 fino a metà gara, poi nella ripresa imbarcarono: il passivo però fu leggero, e il merito fu tutto suo.
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