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Il poema degli occhi “gulosi”

Di Carlo Simone
08 Novembre 2021
Tutta la Divina Commedia è solcata da sguardi. Per Dante Alighieri non esiste arma migliore della vista per descrivere l’aldilà ultraterreno
Ritratto di Dante Alighieri
Il ritratto di Dante Alighieri eseguito a cavallo tra il XVI e il XVII secolo da un artista britannico sconosciuto e conservato alla Dulwich Picture Gallery, Londra (particolare)

Il sostantivo più ricorrente nella Commedia è «occhio». Con le sue 263 occorrenze, è utilizzato in 92 canti su 100. Il motivo è messo in chiaro fin dal primo canto: Virgilio propone a Dante un viaggio «per vedere» («vedrai li antichi spiriti dolenti (…) e vederai color che son contenti/ nel foco», If I), necessario se il fiorentino vuole salvarsi dalla «selva oscura» e dai suoi pericoli. «Quinci sù vo per non esser più cieco», rivelerà Dante stesso a Guinizelli più avanti nel cammino (Pg XXVI).

Perciò la Commedia è il poema degli occhi: in essi consiste l’arma privilegiata di Dante per affrontare l’aldilà.

Gli occhi sono innanzitutto il medium necessario al cervello per la conoscenza, come Dante stesso riassume sintetizzando Aristotele nel terzo libro del Convivio. Citando sempre dal Convivio, si può dire che gli occhi di Dante nel poema siano sempre «gulosi» (IV, XII): essi si «ficcano», si «torcono», si «allungano», «traggono l’ale»,...

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