L’adulto che racconta. I bambini silenziosi, attenti. Composti nell’incanto di una favola che rapisce. «È la bellissima storia del coraggio di un bambino», esordisce lo sceicco egiziano Muhammad Nassar. «Una storia che insegna – continua rivolto ai piccoli in ascolto – come quando un bambino è tirato su in una buona famiglia ed educato nella fede impara ad amare il martirio, ed esso diventa come un istinto che non si può più abbandonare». È la storia antica e istruttiva del giovane Sa’id, martire, come già il padre prima di lui, nella guerra contro gli infedeli bizantini nei primi tempi dell’islam. Lo sceicco Nassar parla dalla tv egiziana, al Nas. Bambini attenti di fianco a lui in studio, chissà quanti altri come loro ad ascoltare da casa la storia antica e istruttiva di quel giovane eroe. Come i piccoli spettatori di al Nas, anche quelli della tv di Hamas sono abituati a una propaganda analoga con Mickey Mouse. Nelle immagini che fecero il giro del mondo qualche mese fa, l’eroe Disney insegnava ai bambini palestinesi la supremazia dei musulmani e il loro dovere di combattere per «l’eliminazione dello Stato sionista».
La guerra santa che viaggia attraverso il tubo catodico per raggiungere i più piccoli atterrisce. «Ma nel tentativo di far conoscere queste realtà all’Occidente non c’è una strategia della paura», dice a Tempi Yigal Carmon, fondatore e presidente del Middle East Media Research Institute (Memri). Ex colonnello dell’Israeli Defense Force ed ex consigliere di Yitzhak Rabin, Carmon guida dal 1998 un istituto di ricerca che si occupa proprio di monitorare i media arabi. Non solo televisione, dunque, ma anche radio, carta stampata, siti internet. Una sede principale a Washington, distaccamenti a Tokyo, Baghdad, Gerusalemme, in previsione un allargamento su Roma. Una squadra di 70 persone al lavoro per tradurre dall’arabo, ma anche dal farsi, dal turco, dall’urdu all’inglese, francese, spagnolo e giapponese. Un lavoro indubbiamente prezioso ma che negli anni si è attirato anche una buona dose di critiche. «C’è stato, sopratutto all’inizio del nostro lavoro, chi ha pensato bene di prendersela con noi che mostravamo una realtà difficile, anziché lottare per cambiarla. Oggi per fortuna questi attacchi sono molto diminuiti. Noi siamo un istituto di ricerca non-partisan. Pensi che siamo citati anche dai media arabi. Il nostro rapporto sull’islamofobia è stato più volte citato, e in maniera positiva, persino da al Jazeera».
Qual è il vostro obiettivo?
Noi non intendiamo spaventare. La paura non è la nostra strategia. Ma non si possono chiudere gli occhi e non vedere la realtà. La nostra associazione vuole mostrare la realtà e questo significa sia mostrare il lato confortante, ossia le voci e le testimonianze dei liberali, ma anche l’aspetto più doloroso e pericoloso, ovvero la propaganda islamista. Perché è importante sapere che è quella la realtà da cui i liberali e i riformisti hanno il coraggio di emergere. Il materiale che noi traduciamo dimostra come l’islamismo, il jihadismo, siano una faccia di un fenomeno più ampio che include il picchiare le donne, l’incitare i bambini al martirio. E dunque solo un appoggio totale e deciso ai valori umanisti può rispondere a quel fenomeno pericoloso che è l’islamismo. La risposta che questo fenomeno richiede non è militare, ma culturale.
Cosa c’entrano i riformisti col Memri?
C’entrano perché il fiore all’occhiello del Memri, il suo obiettivo principale, è proprio quello di dar voce agli arabi liberali. Recentemente abbiamo lanciato due nuovi blog dedicati alla musica e al cinema arabo. Presto arriverà quello che si occupa di letteratura. Si tratta di iniziative rivolte all’Occidente, fatte per far conoscere la ricchezza della cultura dei paesi arabi. La nostra mission è quella di colmare il gap linguistico con l’Occidente, perché sappia che il mondo arabo e islamico non è solo Bin Laden, al Zawahiri, al Zarqawi e al Qaradawi. E non è un caso se dico tutti questi quattro nomi. Perché ritengo che al Qaradawi (considerato uno dei più autorevoli predicatori nell’intero mondo musulmano sunnita, ndr) non sia diverso dagli altri tre.
Come scegliete gli argomenti e gli show da tradurre, i media da seguire?
La nostra selezione segue quella dei media arabi, non ne facciamo una noi. Non è un caso che tutti i filmati che trasmettiamo, per esempio, indichino il nome della trasmissione, il canale e la data della messa in onda. Non andiamo in giro con i microfoni a sentire l’uomo della strada. Riportiamo ciò che i media arabi ritengono importante.
E per quanto riguarda i siti internet?
Abbiamo un progetto di monitoraggio dei siti internet islamisti. Non solo. Cerchiamo anche di intervenire attivamente per sradicare il fenomeno del jihad on line. Il metodo, condiviso anche dal commissario Ue per la sicurezza Franco Frattini, non è di creare ostacoli legali, ma di intervenire direttamente sui provider che ospitano i siti jihadisti. Molti non sanno nemmeno di farlo e quando lo sanno accettano di rimuoverli. Lo stesso discorso lo facciamo per il fenomeno analogo ma di segno opposto, ossia l’islamofobia. Ancora una volta, il problema è la consapevolezza.
Il prossimo anno il Memri compirà dieci anni. Cosa è cambiato da quando avete iniziato il vostro lavoro?
Negli anni abbiamo realizzato importanti passi avanti dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo nella conoscenza della società dei paesi arabi e musulmani. Oggi abbiamo migliaia e migliaia di pagine di traduzione, centinaia di studi. Il nostro lavoro viene riconosciuto e citato dai media.
Qual è il ruolo di al Arabiya e al Jazeera nei paesi di lingua araba?
L’editore di al Arabiya è solito dire che loro sono come la Cnn e al Jazeera è come Fox Tv negli Stati Uniti. Io penso che le cose stiano molto peggio. Al Jazeera è legata a doppio filo all’emiro del Qatar che politicamente è un sostenitore del nasserismo ed è legato ai nazionalisti islamici. Questo la gente lo ignora. E dire che influenza il modo in cui al Jazeera racconta la realtà è appena un eufemismo.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi