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Da Milano a Siret, per aiutare chi scappa dalla guerra in Ucraina

Alberto Sinigallia della Fondazione Progetto Arca parte per la Romania. «Al di qua del confine c'è una laboriosa cittadella della carità, al di là il nulla, solo gelo e profughi in abiti troppo leggeri»

Caterina Giojelli
10/03/2022 - 6:25
Società
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A sinistra, Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Progetto Arca nella cucina mobile del campo allestito nella cittadina di Siret, in Romania, a un chilometro dal confine ucraino
A sinistra, Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Progetto Arca, nella cucina mobile del campo allestito nella cittadina di Siret, in Romania, a un chilometro dal confine ucraino

Alberto Sinigallia ha preparato tutto, anche due dei suoi figli, 19 e quasi 17 anni: è tornato a Milano solo per coordinare la partenza di un nuovo convoglio di aiuti umanitari della Fondazione Progetto Arca che partirà questo pomeriggio da piazza della Scala, a Milano, per Siret. E questa volta, nella piccola cittadina rumena distante un solo chilometro dal confine con l’Ucraina, tra le tende, i furgoni, i sacchi a pelo e i pentoloni di risotto, il presidente di Progetto Arca porterà anche un pezzo di famiglia.

«Li porto a vedere una faccia della guerra, quella dei profughi a cui abbiamo dato soccorso appena varcato il confine con la Romania. Ad oggi sono novemila». E che faccia ha la guerra a Siret? «Quella di donne e bambini travolti da una una perdita. Noi siamo abituati ad aiutare gente che non ha niente, senzatetto, richiedenti asilo, indigenti per cui anche solo un letto è tanta grazia. Ma a Siret arrivano persone che fino al giorno prima avevano una casa, un lavoro, una vita più che dignitosa. Ho incrociato gli occhi di donne vestite bene e con un cagnolino di razza tra le mani, occhi pieni di stupore e desolazione».

Prima i fortunati, poi i poveracci

Stupore e desolazione, sì: a Siret le donne si guardano tra loro come allo specchio, a migliaia, radunate in un campo di accoglienza, tutte senza mariti, coi bambini di tutte le età, borse troppo piccole, scarpe consumate. È allora che la paura, il dolore per chi hai lasciato, le domande su dove andrai vengono sopraffatte dalla consapevolezza di aver perso tutto. Non i bambini, ma cosa darai a questi bambini, dove li porterai?

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«Le prime ondate di sfollati sono così, è gente meglio attrezzata, con più mezzi e disponibilità. Molti sanno già dove andare, i più fortunati hanno parenti che da Germania, Italia o altri paesi d’Europa hanno guidato fino alla frontiera, per portarli in salvo. I poveracci, invece, chi già aveva poco e non ha nessun posto in cui scappare, sono gli ultimi a riuscire ad abbandonare il paese. È successo così anche in Siria».

Primissimo aiuto

Il 28 febbraio Sinigallia era partito da Milano con cinque mezzi pieni di medicine, tende, brandine, sacchi a a pelo, derrate alimentari base, pannolini, vestiti puliti e volontari alla volta del confine con la Romania. Grazie agli amici di Remar onlus, con cui Fondazione Progetto Arca aveva lavorato durante l’emergenza umanitaria a Lesbo, i rapporti con le istituzioni locali per poter allestire il campo di primo soccorso dedicato alla distribuzione di aiuti e facilitare i ricongiungimenti familiari erano stati attivati. «L’idea era raggiungere subito il confine e capire di cosa c’era bisogno. Sapevamo che i primi profughi sarebbero arrivati in macchina e bisognava fornire loro un primissimo aiuto».

In fretta le macchine erano diventate migliaia, code di oltre trenta ore. Ed ecco comparire quel rosario infinito di donne a piedi, i bambini al collo, o trascinati con i trolley insieme agli anziani. Quando si scappa non si indossa una tuta da sci e alla notte la temperatura da quelle parti scende fino a meno otto gradi. Donne e bambini restano in piedi, senza passeggini, per ore senza dormire e mangiare nel ghiaccio e nel nulla, «al di qua del confine c’è una laboriosa cittadella della carità, tende e campi di ogni nazionalità, al di là il nulla, solo gelo e profughi in abiti troppo leggeri. Non siamo una ong, su suolo ucraino siamo impotenti, non possiamo aiutarli finché non varcano i cancelli».

Voglio morire nella mia casa

In fretta Sinigallia aveva allestito una sorta di centro di accoglienza in una struttura sportiva riconvertita, che garantisse cibo e qualche giorno di riposo ai profughi, seguendo i ricongiungimenti soprattutto di chi avrebbe raggiunto l’Italia (dove vivono 248 mila ucraini, la maggior parte in attesa dei loro connazionali) e tappezzando una palestra di sacchi a pelo anche per i 700 studenti indiani del Politecnico di Kiev che alla spicciolata avrebbero fatto ritorno a Nuova Delhi attraverso un ponte aereo organizzato dalla loro ambasciata.

«C’è chi non ha aspettato: ricordo il papà di un ragazzo che era venuto da Los Angeles di persona a cercarlo. Appena l’ha visto, prima di corrergli incontro e abbracciarlo, si è inginocchiato davanti a noi in lacrime ripetendo solo “grazie”». Più spesso le lacrime a Siret vengono versate per gli affetti lasciati in patria, i mariti in guerra, «ma anche parenti disabili o anziani che non volevano essere di intralcio alla fuga di figlia e nipoti. Mi hanno raccontato di genitori che hanno chiesto di essere lasciati lì, “voglio morire nella mia casa”, in un paese in cui i prezzi aumentano a dismisura e le città si fanno spettrali».

Ospitare i rifugiati

A tutte queste cose, a tutti gli addii consumati in un attimo, pensano le mamme e i bambini che si fermano a Siret. Dai quali Alberto Sinigallia, rimasto in Italia il tempo solo di organizzare un nuovo tir carico di aiuti che serviranno nel capannone appena trovato per ospitare le nuove e sempre più disperate ondate di profughi (un tir riempito grazie alla generosità di aziende e famiglie che sostengono Progetto Arca, qui tutte le informazioni), tornerà questa sera insieme ai due figli, «carichi di bancali ma anche della solidarietà di chi da Milano ci sta aiutando. Oltre settanta famiglie ci hanno già inoltre segnalato la disponibilità di ospitare rifugiati ucraini. Ne sono in arrivo tanti. A Siret resteremo finché ci sarà bisogno».

Tags: guerra ucrainaromaniaRussiaUcraina
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