Crisi dell’edilizia. Buzzetti (Ance): imitiamo Germania e Francia

Di Francesco Amicone
10 Dicembre 2012
Crollano gli investimenti sulle costruzioni (-7,5 per cento). Mezzo milioni di posti di lavoro perduti entro il 2013. Intervista al presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili

«Se si ferma il mattone, l’Italia è più a rischio». Per il presidente di Ance (Associazione nazionale costruttori edili), Paolo Buzzetti, questo non è soltanto un modo di dire, ma un’ipotesi che, secondo gli ultimi dati dell’osservatorio dell’associazione dei costruttori, rischia di trasformarsi, prossimamente, in una realtà. «La caduta dei canoni di locazione, la stretta delle banche sui crediti, le nuove tasse del governo, stanno mettendo in crisi un settore che, se si fermasse, rischierebbe di ingenerare un circolo vizioso di fallimenti che avrebbe effetti molto peggiori di quelli dello spread».

Qual è la situazione?
Peggio di quanto noi stessi avevamo previsto. Quest’anno gli investimenti nel settore sono precipitati con la stessa intensità del 2009, scendendo di 7 punti percentuali e più. L’attività del settore entro un anno sarà ai livelli del dopoguerra. Mentre in altri paesi, come la Francia e la Germania, lo Stato sostiene gli investimenti sulle infrastrutture e il mercato residenziale, dando lavoro alle imprese, pagandole non in tempi astronomici e aiutando le famiglie in cerca della prima casa, qui si va nella direzione opposta. Così, siamo l’unico paese europeo dove non è in atto alcuna bolla immobiliare, nel quale si è tornati ai livelli della crisi del 2008-2009.

Lo Stato è indebitato, ha deciso di ricorrere alla tassazione, che coinvolge anche le imprese edili. Però non sembrano esserci molte alternative. 
Lo Stato italiano deve pensare a pagare i debiti. E come potrà farlo se chi paga le tasse sta ancora aspettando di essere pagato dalla pubblica amministrazione? Da questa situazione non se ne esce con l’inasprimento della tassazione ma creando lavoro, investendo. Se lo Stato è indebitato, la  prima cosa che deve fare è permettersi di pagare i debiti. Essere solvibile. I ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione che si sommano a quelli dei privati e alla stretta creditizia, non porteranno più soldi nelle tasche dello Stato, ma rischiano di essere la goccia che fa traboccare il vaso. Servono degli interventi immediati per sostenere il settore economico e, in questo caso, quello dell’edilizia.

Il governo non ha attuato delle manovre per correggere questa direzione negativa?
No, anzi, ha fatto il contrario. Era meglio che non facesse nulla. Ha deciso che fosse imperativo diminuire gli interessi sui titoli di Stato, ma non di intervenire per evitare o attenuare la ricaduta economica dell’austerity. L’edilizia perderà entro il 2013 mezzo milione di occupati, i lavori già iniziati rischiano di rimanere a metà, le imprese attendono di essere pagate. Tutto questo senz’altro porterà ulteriori perdite per lo Stato, senza che, probabilmente, l’effetto delle misure varate dal governo abbia una ricaduta realmente positiva.

Cosa si può fare?
Noi abbiamo molte proposte. Bisogna imitare Francia e Germania. Il nostro paese ha bisogno di costante manutenzione, non soltanto di grandi opere: si dovrebbe pensare a una revisione del patto di stabilità per gli enti locali, che anche quando sono in grado di pagare non possono farlo, e alla riqualificazione degli edifici pubblici, specialmente le scuole. Bisognerebbe ripensare alla tassazione sull’Imu e facilitare l’acquisto di una casa per le famiglie che ne hanno bisogno, cercando di attenuare le conseguenze della stretta delle banche sui mutui.

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