“Cose che nessuno sa” di D’Avenia. Buon romanzo (con un eccesso di zelo)
C’è una ragazzina di quattordici anni che si ritrova senza padre alla vigilia del primo giorno di scuola delle superiori. C’è una rispettabile famiglia borghese che una mattina si sveglia a pezzi. C’è una nonna con un segreto nascosto. C’è un liceale ladruncolo, orfano e molto affascinante. E poi c’è un romantico professore che crede talmente tanto alla sua amata letteratura da dimenticare la realtà, siano gli alunni che pendono dalle sue labbra o la fidanzata in attesa di risposte. Col suo ultimo romanzo Alessandro D’Avenia torna dentro il mondo degli adolescenti mescolando le carte.
Il suo esordio letterario Bianca come il latte, rossa come il sangue fu un best seller Mondadori (è in lavorazione la trasposizione cinematografica). Allora la formula di successo era quella di entrare nel mondo degli adolescenti senza cedere all’analisi sociologica degli adulti rompiscatole né all’ammiccare complice che è poi il marchio di fabbrica di Federico Moccia. Nel nuovo Cose che nessuno sa (Mondadori, 332 pagine, 19 euro) D’Avenia riprende e rivede quella formula. A volte migliorandosi, a volte no.
Rispetto al primo romanzo i personaggi sono più studiati e imprevedibili. A cominciare dal professore. Il suo cambiamento nel corso della storia è l’emblema di una verità mai scontata: educare non significa essere bravi addestratori, ma persone vive. Cioè disposte a fare a botte con la realtà, non brave a sognarla prima di andare a dormire. Come del resto fanno i ragazzini protagonisti del romanzo.
Per il resto in più di un momento vi sono troppe spiegazioni, troppi discorsi. Troppe digressioni (siano esse letterarie o esistenziali) che finiscono per sembrare sottotitoli. Come se la realtà, in questo caso l’intreccio del romanzo e il dramma dei personaggi che lo popolano, non fosse sufficiente. Come se l’evolversi delle vicende non fosse abbastanza per spingere il lettore (adolescente, post adolescente o adulto non fa alcuna differenza) a porsi delle domande. D’Avenia pecca in più di un momento di eccesso di zelo. Deformazione didattica per eccellenza.
Ma quando libera la penna e la fantasia dall’intento didattico è un sollievo avventuroso. Che spinge alla scoperta di cose che nessuno sa.
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