
Contro il Qatar per ora una guerra mediatica

Chiamiamola pure la legge del contrappasso. Per anni il Qatar ha vessato i suoi vicini ospitando e finanziando una tivù satellitare – Al Jazeera – che metteva il dito nella piaga di tutti gli autoritarismi e di tutti gli autocrati della regione – tranne quelli della famiglia al-Thani, emiri del paese. Adesso tocca al piccolo emirato fare da bersaglio alle campagne di stampa, alle rivelazioni sensazionali o presunte tali, alle inchieste giornalistiche clamorose, agli strali al curaro degli editorialisti di una falange di testate arabofone. In prima fila ci sono i media (più o meno controllati dai rispettivi governi) dei quattro paesi che il 5 giugno scorso hanno rotto le relazioni diplomatiche con Doha: Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Si distinguono in particolare Al Arabiya (tivù saudita) e Sky News Arabia (joint venture fra Sky britannica e una società di Abu Dhabi legata alla famiglia reale degli Emirati). Una rapida scorsa ai titoli del sito internet di alarabiya.net basta a rendere l’idea: “Il ministro dell’interno del Bahrein: le politiche del Qatar sono una minaccia al Consiglio di cooperazione del Golfo”, “Al Qatar potrebbe essere tolta l’organizzazione della Coppa del mondo di calcio del 2022, dicono parlamentari britannici”, “Qatar soffre degli alti costi delle importazioni alimentari a causa della crisi coi vicini del Golfo”, “La fuga di capitali spinge la Banca del Qatar a offrire nuovi certificati di deposito, i media mondiali evidenziano il tentativo del Qatar di politicizzare il trasferimento di Neymar, Usa: il Qatar diffonde l’ideologia terroristica ed è tollerante verso i suoi finanziatori”, “la FIFA multa il Qatar per avere usato il football a fini politici”, “il ministro degli Esteri saudita: l’appello del Qatar a internazionalizzare i luoghi santi è un atto di guerra”, “le confessioni di un islamista del Qatar rivelano il complotto di Doha per sabotare gli stati del Golfo”, ecc. E questa è solo una selezione molto parziale. I commentatori poi si accaniscono e non si lasciano scappare un’occasione per infilzare gli ex alleati. Per esempio all’approssimarsi del 2 agosto, anniversario dell’invasione del Kuwait nel 1990 da parte delle truppe di Saddam Hussein, molti editorialisti qatarini hanno evocato un parallelo fra le minacce del rais iracheno che fecero da preludio all’invasione del piccolo paese confinante e quelle dei paesi che hanno imposto dure sanzioni al Qatar e posto 13 onerose condizioni per annullarle.
Non ci voleva altro per suscitare le reprimende di Abdulrahman al-Rashed, ex general manager di Al Arabiya e oggi commentatore: «I sostenitori del governo di Doha rievocano impropriamente l’invasione del Kuwait e la proiettano ingiustamente sull’attuale crisi riguardante il Qatar. Promuovono l’idea che il Qatar è attualmente in pericolo come lo era il Kuwait, e che l’Arabia Saudita e i suoi alleati ricordano l’Iraq di Saddam Hussein! Vorrei ricordare che il Qatar fu l’unico stato del Golfo che cercò di ostacolare la liberazione del Kuwait impedendo che fosse presa dal Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) la decisione di adottare lo strumento militare per liberare il Kuwait durante un incontro nel dicembre 1990. L’allora principe della corona Sheikh Hamad bin Khalifa insistette che non avrebbe discusso la liberazione del Kuwait fino a quando il Bahrein non fosse stato costretto a restituirgli le isole che si disputavano. Questo fece molto arrabbiare gli altri cinque membri del Ccg, che lo costrinsero a ritirare la sua richiesta, altrimenti lo avrebbero deposto. (…) L’unica posizione simile a quella di Doha ai quei tempi era quella dei Fratelli Musulmani, gli alleati del Qatar oggi. Anche la Fratellanza era contraria alla liberazione del Kuwait, e le filiali dell’organizzazione in Giordania, Egitto, Sudan, Tunisia e altri paesi lo espressero chiaramente».
Per denunciare universalmente le ipotizzate connivenze del Qatar col terorismo è stato creato Qatar Insider, un sito informativo a cura del Saprac (Saudi American Public Affairs Committee) che si presenta come «la fonte di informazione globale sulla verità circa le attività di finanziamento e sostegno ai gruppi islamisti estremisti e terroristi da parte del Qatar. (…) Mettendo a disposizione uno sguardo approfondito all’oscuro network che sta dietro il terrorismo sponsorizzato dallo stato che pratica il Qatar, il blog Qatar Insider strappa il velo delle seguenti questioni: come il Qatar lavora dietro le scene per finanziare i terroristi e gli estremisti islamici e li ospita nel paese; il rifiuto del Qatar di aderire alla Dichiarazione di Riyadh del 2014, che richiedeva ai firmatari di condannare tutte le forme di terrorismo e di far sì che il Qatar eliminasse il suo sostegno finanziario e la messa a disposizione di media agli estremisti islamici; e il programma segreto del Qatar a favore dell’estremismo islamista che sta incoraggiando i terroristi e mettendo in pericolo, danneggiando e perdendo vite innocenti in tutto il mondo». Il fondatore del Saprac è un altro giornalista e scrittore saudita che ha lavorato per Al-Arabiya, Salman Al-Ansari. Uno dei cavalli di battaglia di Qatar Inside è far conoscere al mondo le complicità ad alto livello di cui godette in Qatar Khalid Shaikh Mohammed, uno dei complici dell’attentato alle Twin Towers di New York del 1993.
La guerra di parole dichiarata al Qatar attraverso tivù e siti internet permette di non dimenticare che uno dei 13 punti dell’ultimatum che i quattro paesi hanno notificato al Qatar il 5 giugno scorso riguarda la tivù satellitare Al Jazeera, di cui si chiede la pura e semplice chiusura. Ci si potrebbe sorprendere che queste minacce, a più di due mesi da quando sono state formulate, abbiano sollevato pochissima solidarietà da parte dei sindacati e federazioni della stampa e dei media nel mondo. Perché giornalisti e testate internazionali siano così tiepidi di fronte a quella che in altre situazioni sarebbe stata considerata un’inammissibile aggressione alla libertà di stampa e di informazione lo spiega, fra molti, un articolo apparso su The Economist. Dopo avere celebrato la nascita della tivù e le sue iniziali attività come una ventata di libertà nel mondo arabo, il settimanale londinese precisa: «Ma la stazione televisiva ha anche accolto e promosso punti di vista estremisti. Ha trasmesso messaggi di Osama bin Laden e permesso a Yusuf al-Qaradawi, un teologo islamico, di invocare l’uso della violenza nel corso delle sue trasmissioni. L’ufficio di Beirut ha anche ospitato una festa di compleanno radiofonica per un militante condannato per aver assassinato quattro israeliani. Le sue cronache di guerra appaiono a volte deliberatamente incendiarie. Alcuni in Occidente hanno definito l’edizione in lingua araba di Al Jazeera “Fox News (tivù della destra Usa – ndr) con steroidi”, ma Hussein Ibish dell’istituto di ricerche Arab Gulf States Institute dice: “Si spinge molto oltre, civettando con la promozione della violenza”. (…) Il network ha anche dato una copertura favorevole a Jabhat al-Nusra, l’affiliata di al-Qaeda in Siria (che oggi si chiama Tahrir al-Sham – ndr)».
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