Proseguono senza sosta le persecuzioni nei confronti dei cristiani e delle altre minoranze religiose in Medio Oriente, in particolare in Iran e Yemen. Tra le espressioni religiose più colpite la Fede bahá’í, che in tutto il mondo conta circa 8 milioni di credenti (5.000 in Italia) e che da sempre predica principi di pace, tolleranza, unità dei popoli e parità tra uomo e donna.
Sin dalle sue origini (1840), la Fede bahá’í è stata oggetto di persecuzioni in Iran, ma da tempo le violenze contro la minoranza religiosa si sono spostate anche in Yemen, Paese diviso da una sanguinosa guerra civile tra le forze che sostengono il governo legittimo e le milizie ribelli degli Houthi, che nel settembre 2014 hanno preso possesso della capitale Sana’a.
In un discorso dello scorso 23 marzo, il leader degli Houthi in Yemen, Abdul Malik al-Houthi, ha accusato i bahá’í di essere «satanici», sostenuti dai Paesi occidentali e affiliati a Israele, con una retorica simile a quella impiegata dalle autorità dell’Iran. Ad oggi in Yemen sono già sei i credenti bahá’í arrestati, sottoposti a tortura e in attesa di condanna, in linea con quello che le Nazioni Unite hanno definito un «disegno di persecuzione della comunità bahá’í».
In particolare, è diventato un caso internazionale l’arresto di Hamed bin Haydara, membro della comunità bahá’í locale imprigionato nel dicembre 2013 e costretto, sotto tortura, a firmare una confessione in base alla quale è stato accusato di diffondere nel Paese la Fede bahá’í. Dopo tre anni in attesa di giudizio (di cui uno in isolamento), dall’aprile 2016 Hamed è stato convocato in tribunale per 14 udienze, ma gli è stato concesso di presenziare solo a tre di esse.
Lo scorso 2 gennaio, la Corte criminale specializzata di Sana’a, controllata dagli Houthi, ha condannato Hamed alla pena di morte. Una sentenza – ha dichiarato Amnesty International – che è il risultato di «un processo viziato da accuse inventate, da un giudizio ingiusto e da fondate affermazioni che Hamed bin Haydara sia stato torturato e maltrattato durante la detenzione».
In tutto il mondo è nata una mobilitazione per chiedere la liberazione di Hamed. In prima linea la Comunità bahá’í d’Italia, che su Change.org ha lanciato una petizione per chiedere la liberazione dell’uomo che in poche settimane ha superato le 60 mila firme, mentre sui social network (soprattutto Facebook e Twitter) si moltiplicano gli appelli per #HamedLibero.
Dallo Yemen, però, non giungono notizie incoraggianti. A metà marzo, il procuratore generale che in passato si era mostrato sensibile alle proteste dei bahá’í contro le persecuzioni è stato sostituito da un nuovo funzionario ostile ai bahá’í e che ha collaborato con l’Ufficio della sicurezza nazionale. Il 23 marzo il leader degli Houthi, Abdul Malik al-Houthi, ha pronunciato un discorso in occasione del primo giorno di Rajab invitando i suoi seguaci a combattere una guerra settaria contro i bahá’í e contro i membri delle altre minoranze.
«La Fede bahá’í è perseguitata in Iran fin dalle sue origini e purtroppo oggi l’Iran ha una grandissima influenza sulle autorità dello Yemen», spiega Guido Morisco, esponente della Comunità bahá’í d’Italia. «Hamed è stato arrestato, torturato e poi condannato a morte. Spesso pensiamo che vicende disumane di questo genere non appartengano più al nostro tempo e invece continuano a esistere», prosegue Morisco. «Rivolgiamo di nuovo a tutti i rappresentanti del nuovo Parlamento, delle istituzioni e del mondo delle associazioni l’appello a prendere pubblicamente posizione e a unirsi alla mobilitazione. Se tutti insieme facciamo sentire la nostra voce – conclude Morisco – le autorità dello Yemen comprendono che Hamed e gli altri credenti bahá’í imprigionati non sono soli, ma al loro fianco c’è tutta la civiltà occidentale».