Tentar (un giudizio) non nuoce

«Con la guerra vince solo il lupo»

Un carro armato russo distrutto in Ucraina

Un carro armato russo distrutto in Ucraina

Nei giorni scorsi ho partecipato alla presentazione di un libro dal titolo eloquente: Ucraina, di Umberto Ranieri, grande esperto di esteri e già sottosegretario alla Farnesina. Un’occasione per me per riflettere su quanto sta accadendo in quel Paese. Inoltre, qualche settimana fa si è svolta a Roma la Conferenza bilaterale sulla ricostruzione dell’Ucraina, organizzata dal ministero degli Esteri, alla presenza del presidente Giorgia Meloni, di altri ministri del nostro Governo e anche con un intervento in video del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Al confronto hanno partecipato anche circa mille tra Associazioni e imprese, tra cui le più grandi società private e pubbliche italiane nei settori strategici dello sviluppo, ma non le Regioni. Fatto in sé al quanto discutibile, perché quando si dovrà avviare un reale percorso di sostegno alle imprese che vorranno prepararsi alla ricostruzione dell’Ucraina, servirà necessariamente il supporto delle Istituzioni che sul territorio saranno loro più vicine.

L’Ucraina vincerà la guerra

Sorge quindi il dubbio che il convengo sia stato organizzato più per mandare un messaggio politico, rafforzato poi dalla recente visita a Roma del presidente Zelensky: l’Italia è, e vuole continuare ad essere al fianco dell’Ucraina, distinguendo chiaramente tra offeso e offendente. Su questo è difficile non condividere, benché oggi purtroppo non si intravedano ancora concreti spiragli per un negoziato di pace, quindi, parlare di ricostruzione appare poco più che un esercizio di stile.

Il punto però che più mi è apparso preoccupante è la tesi che è emersa: noi siamo vicini all’Ucraina, al suo popolo, alle sue imprese e alla sua economia, perché l’Ucraina vincerà la guerra. Premesso che non ho dubbi su chi sia stato l’aggressore, e chi sia l’aggredito, penso che in questo momento avremmo bisogno di un approccio al conflitto più realista e allo stesso tempo capace di tenere conto delle ragioni degli uni e degli altri.

Trovare dei compromessi

È anche quanto ho cercato di dire alla presentazione del libro di Ranieri, raccogliendo non senza sorpresa una certa timidezza. La pace può essere solo frutto di un dialogo che necessita di un riconoscimento di entrambi gli interlocutori. Bisogna parlare con “il lupo”, come disse il cardinal Zuppi in un incontro pubblico cui partecipai, parafrasando la storia di San Francesco che, malgrado il parere contrario degli abitanti di Gubbio, che temevano per la sua vita, decise di cercarlo per parlargli. Il lupo lo accolse minaccioso e con le fauci aperte, ma dopo aver ricevuto la sua benedizione e ascoltato le sue parole di biasimo per il suo feroce comportamento, si tranquillizzò.

Ebbene, proprio poche settime fa, l’8 aprile, ad un incontro organizzato dall’istituto Salvemini di Bologna sulla guerra in Ucraina, il cardinale ha nuovamente sottolineando che «per giungere ad un cessate il fuoco bisogna trovare dei compromessi, anche se quando si combatte è molto difficile, perché la tentazione di vincere resta. Ma è una tentazione perversa, perché anche chi vince perde. Con la guerra siamo tutti sconfitti».

La pace non è una resa

Ed ancora: «Quello che si può fare, dunque, è non guardare dall’altra parte ma capire da dove viene questa violenza, perché così forse capiamo le soluzioni. E dobbiamo credere che se c’è la guerra, ci deve essere sempre anche la pace. Senza la pace tutto è perduto. Con la guerra vince solo il lupo, ma noi non siamo fatti per vivere come lupi, ma per stare gli uni con gli altri».

Abbiamo bisogno di una politica che ha abbia questa capacità e lungimiranza, e al tempo stesso abbiamo bisogno di tessere una tela sotto traccia capace di fornire a entrambi i contendenti una ragionevole e onorevole via d’uscita. Solo così si potrà lavorare in prospettiva di una pace durevole e poi di una seria e concreta ricostruzione. Sempre ricordando che non bisogna mai confondere la pace con la resa e che non bisogna mai legittimare la prevaricazione ottenuta con la violenza.

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