«La verità è che il movimento sta tentando disperatamente di non pagare dazio, di chiudere la parentesi formigoniana così come si licenzia un allenatore che ha vinto tanto ma è diventato ingombrante». Per capire la campagna che da molti mesi ha di mira Comunione e Liberazione, bisogna leggere l’articolo apparso ieri sul Corriere della Sera, a firma di Dario Di Vico. Articolo la cui tesi principale è enucleata nel titolo: «Ha creduto di essere diventato il capo». Affermazione riferita a Formigoni e attribuita al solito anonimo ciellino. Così confezionato, l’articolo del quotidiano di Via Solferino si presenta come un sequel di un editoriale di Gad Lerner, messo in pagina da Repubblica qualche mese fa, anch’esso incentrato sulle presunte divisioni interne a Cl, gole profonde e l’”ingombrante” Formigoni.
Certo, è un fatto che uno dei perni delle interessate ricostruzioni e speculazioni giornalistiche ruota intorno alla famosa lettera di don Carron a Repubblica. Lettera in cui si ammetteva che «se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato». E in cui vi era un forte richiamo alla “purificazione” («Per questo non abbiamo altra lettura di questi fatti se non che essi sono un potente richiamo alla purificazione, alla conversione a Colui che ci ha affascinato»). Naturalmente agli osservatori interessati non interessa tanto se e come questo richiamo abbia avuto seguito. Interessa piuttosto (o soltanto) affrettare l’archiviazione dei 17 anni di Formigoni in cima al Pirellone ed evitare che in qualunque modo esperienze di politica e amministrazione come quella di Formigoni abbiano un qualche seguito e sviluppo.
Naturalmente il non detto giornalistico è che, come un’automobile usata si rivende o si porta al rottamatore, così Cl è un usato sicuro se utilizzato nei percorsi brevi e interni al mondo cattolico. Mentre è escluso, che il movimento possa mantenersi su strade pubbliche senza incorrere nell’alt ed eventuale sequestro delle forze dell’ordine. Secondo un motto che valse all’epoca dei totalitarismi: chi ama la res pubblica avrà la mano mozzata. Secondo una aggiornata e più raffinata variante di quel motto: “Chi ama Gesù Cristo si tenga il suo amore ben stretto, ma nelle sacrestie delle chiese”.
Quel che Di Vico spiega con moderazione, come un buon paparino che ha a cuore il destino del figliolo incappato in un pasticcio, Repubblica e altri giornali che per principio ripugnano persone e comunità non conformiste lo esplicitano con ira, disprezzo, sberleffo. E con così tanta esagerazione e narrazioni ad effetto, che un lettore non lombardo sarebbe portato a concludere che nella terra di Manzoni, Comunione e Liberazione è più simile a un ‘ndrina che a un movimento cattolico.
Ora, a tutta questa operazione di mistificazione e torsione di Cl a partire da categorie e carte giudiziarie – perché di questo si tratta, si tratta dell’utilizzo a scopo giornalistico e come oro colato dei fari costantemente accesi da certi magistrati e specialmente accesi su certi attori e non altri – non si può rispondere altro che con i fatti. L’operazione è squisitamente politica. E in quanto tale mira a mettere fuori gioco o comunque rendere irrilevante, ridotta, monca, una presenza di libertà, dunque incentrata sulla persona, e perciò, tra tanti limiti e difetti che sono di ciascuna e qualunque famiglia umana, presenza ricca di conoscenza, cultura e pratica della realtà.
Non a caso si pretende dare i numeri dei professionisti, medici, insegnanti, che farebbero riferimento a Cl. E li si pretende dare con quel pizzico di perfidia e malevolenza che tende a suggerire nel lettore l’idea di una setta paracadutata su un certo territorio per la conquista e il mantenimento di un certo potere. Il che non sarebbe nulla di nuovo rispetto agli anni in cui Cl era qualificata come truppa cammellata. “Parà di Cristo” dicevano dei ciellini le versioni migliori delle penne rosse, gialle e nere. “Servi della Cia” le peggiori. Ora come allora, cioè ai tempi in cui non usava la legalità come arma, viceversa, la legalità era un affare borghese e giustizia si faceva a colpi di spranga, non c’è che una risposta alla diffamazione e all’invito a rintanarsi nelle sacrestie: i fatti di una presenza.
In altre parole: anche se Formigoni dovesse essere chiamato a rispondere in tribunale di accuse e ipotesi di reato, tanto più si deve avere la forza, il coraggio, la determinazione, di distinguere eventuali responsabilità personali di Formigoni, dai fatti di eccellenza politica e amministrativa che ha rappresentato il fenomeno Formigoni in Lombardia. Fatti che non può cancellare nemmeno Gesù Cristo e che anche solo se paragonati a come sono andate le cose della politica e dell’amministrazione della cosa pubblica in questo paese negli anni in cui Formigoni è stato presidente della Lombardia, spiegano lo spread positivo che ha oggi la Lombardia rispetto a tutte le altre regioni italiane.
Di fronte a un panorama desolante, di fallimento totale, non solo della politica, ma dell’amministrazione della cosa pubblica da parte dei funzionari statali e dell’amministrazione della giustizia da parte dei funzionari togati, la Lombardia è stata ed è l’unica eccezione degna di nota.
Monti e i suoi tecnici arrivano per salvare l’Italia dalla bancarotta. Monti e i suoi professori certificano la spesa fuori controllo, documentano il fallimento delle amministrazioni pubbliche, attivano un piano di rientro dal debito pubblico attraverso una grandinata di tasse e tagli che non ha eguali nella storia della Repubblica. E’ davanti a questo tracollo politico ed economico nazionale che, al netto dei fenomeni di corruzione (documentabili in Lombardia in tanti episodi, ma in gran parte dell’Italia non sono fenomeni, è un sistema, ed è un sistema nemmeno spesso mai indagato, vedi la Campania del ventennio Bassolino) la parabola di Formigoni dice nei fatti che, grazie a un certo cattolicesimo popolare e a una certa sapienza amministrativa, la Lombardia è l’economia e la politica che tutta Italia bramerebbe avere. Per questo la Lombardia formigoniana dà fastidio ed è finita sotto una campagna mediatica senza precedenti e che dura da un anno. Perché è un’anomalìa così indigesta ai poteri che hanno ridotto l’Italia così come l’Italia è stata ereditata dal governo Monti, che dev’essere cancellata, archiviata e dimeticata in fretta.
Compagni ciellini, se non capiamo questo, alziamo bandiera bianca e non perdiamo altro tempo in chiacchiere. Ci si può contrire per i propri errori. Ci si può pentire dei propri peccati. Ci si può disporre alla purificazione. E tutti, con la grazia di Dio, si deve cambiare. Ma se l’ideale cristiano si muta nella notte in cui tutte le vacche sono nere e, per non essere infastiditi, si deve subire la luce del potere che oscura tutto, bè, meglio ritirarsi e rintanarsi. Non solo rispetto alla politica. Ma da tutta la vita di tutta la gente. Infatti, a che serve alla fede in Cristo una politica a cui si arriva per educazione, responsabilità, tensione ad abbracciare la totalità della vita, tutte cose che insegna la chiesa di Gesù Cristo, oltre che tutto l’insegnamento di don Giussani su Gesù Cristo?