“Come ricevo, contribuisco”: accoglienza, non assistenzialismo

Di Emanuela Campanile
01 Aprile 2016
Intervista a Valeria Gherardini, responsabile del progetto "Accoglienza solidale"

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Lo scorso settembre, Firenze ha dato il via al progetto “Accoglienza solidale”. L’iniziativa, unica nel suo genere, vedrà coinvolte, nel tempo, sette città italiane. Il progetto prevede infatti l’assegnazione di 500 posti letto a cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale.

«Proviamo a pensare ad una partita di calcio. Una metà del campo appartiene ad una squadra, la seconda metà appartiene all’altra. Quando si inizia a giocare, però, si condividono delle regole che sono stabilite al di là della provenienza, al di là del fatto di parlare la medesima lingua, al di là del fatto di gareggiare per squadre diverse. Eppure si gioca, eppure si concorre (correre insieme, secondo l’etimologia) verso il medesimo obiettivo. Si deve immaginare così questa possibilità di costruire regole altre, che prescindano – o semplicemente superino – la provenienza, l’origine, e consentano – in quanto possibile – di costruire insieme. Senza perdere ciò che distingue, facendone un valore e non un ostacolo».

È con questa metafora che il professor Gian Piero Turchi, docente alla Scuola di Psicologia presso il Dipartimento FISPPA (Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata) dell’Università degli Studi di Padova, spiega il principio su cui si fonda Accoglienza solidale.
Inaugurato il 23 settembre scorso a Firenze, il progetto ha preso il via grazie ad una convenzione stipulata tra l’Associazione italiana cultura e sport (AICS) e l’Associazione alberghi per la gioventù italiana (AIG).

Ne abbiamo parlato con Valeria Gherardini, responsabile del progetto.
La modalità dell’accoglienza è uno degli elementi più innovativi. I giovani immigrati (richiedenti asilo e protezione internazionale) non sono inseriti in una struttura pensata esclusivamente per loro, ma vengono ospitati negli ostelli che diventano, di conseguenza, luogo elettivo di interazione proprio tra giovani. All’interno dell’Ostello della Gioventù Villa Camerata, abbiamo un sistema di gestione della comunità molto accurato. Lavoriamo affinchè ogni processo di gestione (dalla cura dei beni materiali, agli aspetti socio sanitari, dai riconoscimenti giuridici relativi al proprio status , al regolamento interno della struttura accogliente) venga rispettato. Per ognuno di questi processi, noi individuiamo due referenti che collaborano con lo staff di progetto. Questi ultimi sono formati al master in “Mediazione come strumento operativo all’interno degli ambiti familiare, penale, comunitario, civile e commerciale” dell’Università degli Studi di Padova”. Il Mater si basa sui presupposti della Scienza Dialogica (detta delle interazioni) orientata a mettere in Dialogo tutti coloro che appartengono alla Comunità.
Praticamente, gli operatori dialogici gestiscono quello che accade tra i membri della Comunità attribuendo dei ruoli ai giovani accolti. Coloro che ne vengono investiti, di conseguenza, sono chiamati a rispondere di come la Comunità procede e vive quotidianamente.

In questo modo evitate le dinamiche dell’assistenzialismo all’interno della comunità. Ma come cercate di superarle al di fuori, in un contesto più ampio come quello sociale in cui il modello assistenziale è spesso causa di conflitto tra chi arriva nel nostro Paese e chi ospita?
Altro passo per superare la dinamica del semplice assistenzialismo, è la così detta mappatura di ciò che i migranti, al loro arrivo, sanno fare. Si parte dalle risorse, dalle capacità e competenze che questi giovani hanno e, una volta individuate, vengono messe a disposizione dell’intera comunità. Essendo un progetto che ha come obiettivo la coesione sociale con la comunità accogliente, abbiamo individuato una serie di attività a carattere di volontariato, oltre al corso di italiano che però è obbligatorio. Le attività consentono un inserimento dei migranti nel tessuto che li accoglie, al di là del riconoscimento dello status di rifugiato.

Può farci un esempio di queste attività?
La collaborazione con i volontari Angeli del Bello. È un’associazione formata da cittadini impegnati nella pulizia delle aree verdi e ai quali la Municipalizzata fornisce tutti gli strumenti di lavoro e i materiali utili alla pulizia. Non solo Istituzioni e cittadini collaborano, ma il migrante, nel momento in cui viene inserito nel progetto, diventa volontario tra i volontari del luogo, concorrendo a rendere “più bella” la Comunità di cui diventa parte.

Uno scambio reciproco…
Sì, perché come riceve, nello stesso modo il migrante può offrire il proprio contributo per migliorare, insieme alla comunità locale, la città che lo accoglie.
Abbiamo anche intenzione di adottare 4 parchi del nostro quartiere che saranno gestiti e coordinati direttamente dai migranti che vivono con noi. Faranno un corso di formazione per occuparsi delle aree verdi e saranno sul territorio tutti i giorni insieme alla gente del luogo che vive questi parchi.
Poi c’è la campionessa di marcia Milena Megli che allena alcuni di questi ragazzi per prepararli a maratone sia competitive che non. Abbiamo anche un allenatore di calcio con il quale stiamo costruendo una squadra per far si che i selezionati partecipino ai campionati Aics.
C’è inoltre la possibilità di farli lavorare con le parrocchie del quartiere.
Tra le altre attività, anche quella di seguire gli incontri con i sindacati perché costruirsi un futuro in Italia, vuol dire conoscere il mercato del lavoro.

Si può dire che la vostra scommessa è quella di lavorare sull’integrazione-interazione per cambiare la percezione che la società in generale ha dell’immigrato?
Di solito quando pensiamo agli immigrati, pensiamo che siano vittime, che abbiano storie da vittime e che quella sia la loro essenza, il loro status. Quanto più riusciamo a lavorare sull’interazione tra il migrante e la città, tanto più siamo in grado di scoprire le competenze culturali, umane e professionali che ognuno di noi ha e può sviluppare. E’ un percorso che ci può aiutare a pensare che l’Italia, ma non solo, può ricevere da queste persone un grande contributo. Imparare dunque a percepirli e conoscerli non soltanto attraverso la concezione di bisogno che attribuiamo loro, ma come risorse che possono essere utilizzate per il nostro continente.

Cosa determina la durata della permanenza di questi giovani all’Ostello di Villa Camerata?
Come richiedenti asilo e protezione internazionale vengono affiancati dal nostro staff competente per la loro identificazione definitiva, per ricevere il permesso di soggiorno temporaneo e per incontrare la commissione territoriale che alla fine deciderà se potranno godere del diritto di ricevere asilo e protezione internazionale. Una volta ottenuto, il loro percorso a Villa Camerata finisce.

I ragazzi che ospitate vengono da zone di conflitto, hanno affrontato viaggi estenuanti e rischiosi. Da quando li avete accolti lo scorso settembre ad oggi che tipo di cambiamenti avete notato?
È cambiato il loro sguardo. Alcuni di questi giovani sono arrivati dall’Afghanistan lasciandosi alle spalle le famiglie, rischiando di essere uccisi. Arrivati in Europa hanno camminato per mesi, derubati dei loro soldi e dei loro documenti. Si, se dovessi parlare dei risultati ad oggi raggiunti, dire che è cambiato il loro sguardo perché è cambiato il modo in cui si raccontano e percepiscono la loro vita. Partecipando come cittadini (per quanto al momento temporanei) in una serie di attività, piano piano iniziano a pensare al contributo che possono dare alla comunità accogliente. Sono cambiati i loro discorsi, perché prima parlavano di quanto era loro accaduto, delle preoccupazioni per il futuro, ora iniziano a vedersi come persone che hanno una possibilità. Si concentrano sulle attività a loro affidate e cercano di farle al meglio.

In che termini il loro percorso di rinascita e riscatto può aiutare noi?
Può aiutarci a capire che l’Italia, ma non solo, può ricevere da queste persone un grande contributo. Impariamo allora a percepirli e a conoscerli non soltanto attraverso la concezione di bisogno che attribuiamo loro, ma come risorse che possono essere utilizzate per il nostro Paese, anzi, per il nostro continente.

foto Ansa

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2 commenti

  1. Rolli Susanna

    Qualcuno mi risponda, prego. Perchè i profughi fuggono dalle loro terre? Perchè dovrebbero essere felici qua da noi quando POTREBBERO esserlo a casa loro con i nonni, gli zii, i cugini, i fratelli, i genitori -gli amici di sempre, i vicini di casa? A noi italiani piacerebbe tanto scappare dall’Italia per andare non so dove?, non sarebbe meglio rimanere in Italia e cambiare quel che non va? Avete letto di quella bambina cristiana rifugiata che come desiderio ha quello di TORNARE A CASA (forse dalla nonna, dagli zii, dai cugini, dai fratelli,dagli amici e dai vicini?).Cosa c’è il diavolo a casa loro che fuggono tutti via -alcuni rimettendoci la vita?
    Mi aiutate, per favore?

    1. Filippo81

      Sinceramente Susanna, dovremmo chiederlo a loro,Ad ogni modo aldilà dei pochi veri profughi che vanno accolti, gli altri vanno respinti.Nessuno ha il diritto di partire dall’Africa o dall’Asia e chiedere con le buone o con l’arroganza di essere “accolto”a tutti i costi.Il diritto all’invasione non esiste, esiste invece il diritto-dovere di non farsi invadere.Se poi costoro sono “migranti economici” raggiungessero i ricchi paesi arabo-mussulmani del golfo,ad es., dove ci sono sicuramente più opportunità di lavoro che da noi.Soprattutto troverebbero condizioni culturali e religiose più adatte a loro, visto che il verbo integrarsi non vale per loro qui in Europa.Inoltre tutti i discorsi legati a “fughe dalla guerra”, ecc sono sciocca propaganda di regime,anche perche quali guerre ci sono in Pakistan,Bangla Desh, Senegal,Marocco , Ghana, ecc?Altra favoletta è quella che dobbiamo accoglierli tutti perche in passato “li abbiamo sfruttati”…La cosa più preoccupante è poi l’ambizione di tantissimi di questi “migranti” di islamizzare l’Europa, e questo sinceramente a tanti Europei come il sottoscritto non sta bene, anzi…..

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