
Come mi piacerebbe parlare con Craxi di questa epoca di «regressione antropologica»

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Alla vigilia del Family Day, Boris intende dire cose strane, ma l’unica cosa interessante è la stranezza. Ad esempio, mettere insieme Craxi con quello che sta accadendo in Italia, e il relativismo vincente per cui tutto è uguale dunque l’unica legge plausibile è vietato vietare qualunque cosa che ciascuno proclami come suo diritto.
Dicevo: Bettino Craxi. C’è stato l’anniversario della sua morte ad Hammamet pochi giorni fa. Ero stato a trovarlo, come tanti, e gli volevo bene. «C’è troppo poco Cristo», mi disse nell’aprile del 1998, confermando una frase che aveva pronunciato sulla fine degli anni Ottanta. Per lunghi anni era stato a fianco dei radicali, e ne aveva condiviso le scelte referendarie. Eppure in quel tempo di esilio ripensava a tante cose. Aveva ritrovato la strada di una religiosità profonda, capace persino di espressione artistica. Sul suo immenso tavolo componeva quadri trascrivendo preghiere in arabo dal Corano, ma ripeteva: «Non c’è mai abbastanza Cristo». Aveva riscoperto o trovato, non so, due amici, due grandissimi uomini. Uno era Giovanni Paolo II. Mi disse che spessissimo l’arcivescovo di Tunisi, oggi patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, veniva a informarsi della sua salute e a portargli i saluti del Pontefice. Craxi era stato il propugnatore del Nuovo Concordato del 1984, aveva attivato il finanziamento della Chiesa, con la libera scelta degli italiani di concorrere al mantenimento non del clero ma di una presenza anche sociale, non solo cultuale (cultuale senza r). Craxi, da socialista turatiano e milanese, amico di gloriosi sacerdoti sin dall’infanzia a Cantù, desiderava che la Chiesa contribuisse a dare fondamento solido alla nazione italiana, a dare un’impronta alla vita comune degli uomini. E Giovanni Paolo II per lui era importante. Aveva un altro legame importante, mi disse, e nulla aggiunse, con un sacerdote milanese scomparso in odore di santità, e mi consegnò una lettera per lui.
Due erano i grandi temi di Craxi a quel tempo: il suo rapporto con Dio (volle fossero celebrati funerali nella cattedrale di Tunisi dall’amico arcivescovo arabo, anzi palestinese) e l’Italia, che entrava in forma di tricolore nelle sue opere di artista.
Il cristianesimo è anzitutto un dramma personale, altrimenti non sarebbe per nulla interessante, ma se non diventa dramma sociale vuol dire che era molto poco personale; se non accetta le dimensioni della politica, con le dovute forme e distinzioni, vuol dire che non è una cosa per cui morire, ma una “spiritualità civettuola” (dai diari di Kierkegaard) per anime tisiche, un Dio tappabuchi, per usare un’espressione di Bonhoeffer, che oggi va molto di moda, ma che quasi nessuno ha letto.
Non mi metto a fare la gara a chi cita la frase di don Giussani più idonea al momento storico e valida per tutti. Altri hanno questo compito magnifico e terribile, e lo assolvono con dedizione totale. Boris si immedesima e si slancia come può nel compito della umile, obbediente testimonianza. E crede si congiunga perfettamente con la pagina 193 di La familiarità con Cristo: «È dentro queste cose banali che il nuovo deve accadere: dentro il vostro modo di studiare, dentro il vostro modo di spazzare il pavimento o di chiacchierare con la vostra ragazza faccia a faccia, come dentro il rischio politico in cui dovrete mettervi, se vorrete essere uomini completi, e in cui la carità vi dovrà per forza spingere». Per «essere uomini completi» occorre «il rischio politico». Così scrive don Giussani. E questo implica giudicare le leggi, promuoverle od opporsi. E cercare di farle buone, magari. O di farle modificare con tutti i metodi pacifici e senza odio consentiti in democrazia. Anche se, certo!, non è la legge che salva, ma solo Gesù, e Gesù lo si incontra personalmente, non attraverso regole. Il fatto è che sarebbe un Gesù spolpato del suo cuore, se inducesse chi lo ha incontrato a rinunciare al rischio dei sì e dei no. Sbaglio?
Cosa c’entra Craxi? C’entra che mi piacerebbe potergli parlare di queste cose, con franchezza: se ritenga, come disse Bergoglio da cardinale, che una legge che avalla un para-matrimonio e le adozioni senza padre e madre sia «una regressione antropologica» oppure no. Ma Craxi non c’è più, e pure Cossiga e Andreotti sono morti.
Foto Ansa
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