Cinquant’anni fa moriva Togliatti. Ecco come lo descriveva su Tempi il suo storico segretario, Massimo Caprara

Di Massimo Caprara
18 Agosto 2014
"Il migliore" si portò nella tomba il segreto dei duecento antifascisti giustiziati dai compagni sovietici. Per loro non mosse un dito né disse una parola

Il 21 agosto è il cinquantesimo anniversario della morte di Palmiro Togliatti (Genova, 26 marzo 1893 – Jalta, 21 agosto 1964), storico leader del Partito comunista italiano. Gli storici si interrogano sulla sua figura, tempi.it vi propone il ritratto che ne fece sulle nell’estate 2002 sul settimanale Tempi il suo segretario, Massimo Caprara. Caprara, che per vent’anni fu al fianco di Togliatti, arrivò poi ad abbandonare il comunismo e a convertirsi al cattolicesimo. In più di un’occasione scrisse anche su Tempi.

Togliatti, il migliore. Carnefice
di Massimo Caprara
Quando il gorgonzola era “sabotaggio socialfascista”. Quando il leader dei comunisti italiani avallò il massacro sovietico. E il colpo alla nuca per duecento compagni italiani. 

Fu nell’aprile del 1944 che una durissima e documentata Lettera aperta diretta a Palmiro Togliatti comparve sulla stampa mondiale. Essa riguardava oltre mille antifascisti italiani perseguitati in Urss e duecento comunisti uccisi dai plotoni di esecuzione o nei gulag della Gpu negli anni orribili dal 1935 ad oltre il 1940. Togliatti non rispose mai a quella Lettera che gli era stata rivolta da Victor Serge, già funzionario del Komintern, l’Internazionale comunista. «Voi, compagno Togliatti, siete stato testimone delle persecuzioni di cui i vostri stessi compatrioti e compagni di partito rifugiatisi in Unione Sovietica sono vittime da una decina d’anni a questa parte», denunziava Serge. «Non potete ignorare i nomi di coloro che sono già stati fucilati, di coloro che sopravvivono in prigionia, di coloro che oggi potrebbero ancora essere salvati… è a voi che dal fondo delle prigioni i rifugiati italiani perseguitati dalla Ghepeù indirizzavano appelli perfettamente inutili: voi avete infatti preferito collaborare con i persecutori e i carnefici dei vostri compatrioti e compagni di partito».

Al Paese del Soviet
In questi giorni, a cura della Fondazione Feltrinelli, escono, consultabili on-line, le “Biografie degli scomparsi” (www.gulag-italia.it). Tutta la materia, che fu già oggetto nel 1983 di un coraggioso libro di Guelfo Zaccaria, pubblicato dalle Edizioni Sugarco di Milano, costituisce un tragico atto d’accusa contro lo stalinismo e la sua nomenklatura. All’indomani della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, un grande entusiasmo e una fiduciosa speranza avevano infiammato i cuori degli antifascisti italiani. In numero assai elevato, molti di loro erano riusciti ad arrivare nel “Paese dei Soviet” per dare il loro contributo alla costruzione del Mondo nuovo. Le loro vicende furono alcune grottesche, altre orrende. Andrea Bertazzoni, socialista di Mantova, era riparato in Urss nel ’32 per sfuggire alla condanna di vent’anni inflittagli dal Tribunale militare italiano. Già segretario delle Cooperative agricole di San Benedetto Po, esperto di allevamenti e latterie, era stato destinato dai sovietici nella regione di Rostov, dove era riuscito a installare una fabbrica di formaggi. Nel 1936, avvenne l’incredibile. Il formaggio da lui prodotto era il gorgonzola, nel quale un funzionario dell’Oblastnoi Komitat, il Comitato locale della Gpu, il comandante Viktor Harm, scoprì il crimine e denunziò l’autore, Bertazzoni, come “avvelenatore”. Sconosciuto ai russi, il gorgonzola emanava il suo particolare odore e conteneva striature verdastre. «Sabotaggio socialfascista. Una congiura trotzkista inquina il formaggio», asserì il comandante e ordinò l’arresto del socialista mantovano. Solo nel 1942 fu scoperto che il formaggio incriminato era simile al commestibilissimo roquefort francese. Bertazzoni fu trasferito dal gulag ad un caravanserraglio nell’impervio Uzbekistan, a lavorare di piccone e di badile, nell’inclemente sterro del canale di Ferghanà. Per altri duecento la sorte fu assai più dura e spietata. Essi vennero condannati a morte o alla deportazione per «deviazionismo trotzkista» senza prova alcuna. I loro nomi riemergono dal tragico oblio del passato. Sono, fra gli altri, Vincenzo Baccalà, la moglie Maria Piccioni e tre figlie in tenera età, Rodolfo Bernetich, Renato Cerquetti, Ugo Citterio, Ernani Civalleri, Francesco Ghezzi, Giuseppe Guerra, Edmondo Peluso, Natale Premoli, Dante Serpo, Francesco Prato. Il torinese Emilio Guarnaschelli, operaio meccanico di precisione, venne arrestato a Mosca il 2 gennaio del 1935, dichiarato «nemico del popolo», inviato nel campo di concentramento a Miakit-Uat, nella Siberia meridionale. Vi morì fucilato. Altri vennero torturati e morirono di stenti nel gulag di Magadan, territorio di Kolima, la regione più fredda del mondo. Molti vennero calati nelle “Serpantinka”, buche di fango e ghiaccio, celle di contenzione dalle quali non si tornava.

Cosa avrebbe fatto Gramsci?
Nel gennaio del 1964, uscì un libro di Renato Mieli, che aveva abbandonato il Pci dopo essere stato direttore dell’Unità e responsabile della Sezione Esteri del Comitato Centrale. Si intitolava Togliatti 1937, edito da Rizzoli, ed aveva come sottotitolo “Come scomparvero i dirigenti comunisti europei”. L’autore riprendeva il filo della denunzia dei duecento comunisti italiani scomparsi nell’Urss. In particolare, documentava l’efferata esecuzione avvenuta nel ’37 di tutti i membri della Direzione del Partito operaio unificato polacco, dichiarati ebrei e trotzkisti.
Togliatti risultava chiaramente di essere stato firmatario del mandato di condanna, in quanto uno dei potenti capi dell’Esecutivo del Komintern. Io ebbi l’occasione di parlarne personalmente con lui. Riferendomi alla figura del fondatore nel 1921 del Partito comunista italiano, gli chiesi: «Antonio Gramsci, al tuo posto, che cosa avrebbe fatto?». Togliatti tacque un istante. Poi, secco, perentorio, algido, mi rispose: «Gramsci sarebbe morto». Non avrebbe, cioè, sottoscritto quell’atroce ed ingiusta condanna e ne avrebbe pagato le conseguenze. Lui, Togliatti, invece visse in Urss. Benché avesse l’autorità per farlo, non mosse un dito per salvare la vita dei duecento comunisti italiani e dei dirigenti polacchi. Pur di sopravvivere, accettò di seppellire la sua coscienza sotto un cumulo di fango e sangue.

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12 commenti

  1. carolus

    Giornata da festeggiare quella dell’anniversario della morte di Togliatti, cancellando il suo nome dalle strade che gli sono state intestate contribuendo così a ripulire un poco l’Italia.

  2. Markus

    Sicuramente e’ al corrente di questi fatti l’attuale Presidente, che al pari di Palmiro , giustificava i crimini sovietici e quindi , a mio avviso, e’ indegno di ricoprire la attuale carica . Se a questo si aggiunge di aver abusato del suo potere per fare sparire le prove della trattativa ” Stato/mafia ” giungo alla conclusione che entrambi questi 2 esponenti di spicco del comunismo italiano , originale e revisionato o meglio adattato ai tempi attuali , hanno nel DNA il gene della menzogna e , pertanto, non sono meritevoli certamente di elogi e riconoscimenti.

  3. Markus

    Sicuramente e’ al corrente di questi fatti l’attuale Presidente, che al pari di Palmiro , giustificava i crimini sovietici e quindi , a mio avviso, e’ indegno di ricoprire la attuale carica . Se a questo si aggiunge di aver abusato del suo potere per fare sparire le prove della trattativa ” Stato/mafia ” giungo alla conclusione che entrambi questi 2 esponenti di spicco del comunismo italiano , originale e revisionato o meglio adattato ai tempi attuali , hanno nel DNA il gene della menzogna e , pertanto, non sono meritevoli certamente di elogi e falsi riconoscimenti.

  4. Markus

    Sicuramente e’ al corrente di questi fatti l’attuale Presidente della Repubblica, che al pari di Palmiro , giustificava i crimini sovietici e quindi , a mio avviso, e’ indegno di ricoprire la attuale carica . Se a questo si aggiunge di aver abusato del suo potere per fare sparire le prove della trattativa ” Stato/mafia ” giungo alla conclusione che entrambi questi 2 esponenti di spicco del comunismo italiano , originale e revisionato o meglio adattato ai tempi attuali , hanno nel DNA il gene della menzogna e , pertanto, non sono meritevoli certamente di elogi e falsi riconoscimenti.

    1. Francesco Crestini

      Nel 1956, invasione sovietica dell’ Ungheria, io so che il nostro applaudì, mentre Pajetta, grande esponente del partito comunista italiano, si dissociò.
      Nel 1968, invasione sovietica della Cecoslovacchia, non so cosa fece il nostro; sicuramente non protestò!

  5. francesco taddei

    ho assistito ad una conferenza di caprara anni fa. è da tempo che va dicendo queste cose e non compare mai in un giornale o in una rete tv. ma pur senza la stessa violenza fisica oggi vedo cose simili. vedo la violenza verbale tra diverse fazioni diventare vero rancore, vedo gente che vuole distruggere il cristianesimo dagli animi e grida inascoltate di chi chiede aiuto (non solo quelli che vengono dalla libia ma pure gli italiani se la passano male). non vedo qualcuno che abbia una vera preoccupazione per il popolo italiano nel suo insieme, anche per quelli dell’altra pare, da togliatti al presidente, passando per renzi, i preti o Berlusconi. nemmeno la nazionale di calcio serve più come nell’82 (non che sia lo scopo ma come ultima risorsa). chi ci salverà? boh?

    1. Mappo

      Caprara è morto nel 2009, quindi è difficile che possa apparire sui giornali o in tv salvo che articoli o interviste postume.

      1. francesco taddei

        sarebbe il caso di ripubblicarlo, invece che sorbirci le solite filosofie moraliste e ipocrite di tanti “uomini delle istituzioni”.

  6. Kan63

    …e quante vie Togliatti ci sono ancora in Italia…

    1. michele

      Però i film nostalgici li fanno, guarda caso, solo su Berlinguer, l’uomo della tattica. Il Migliore è oggi nascosto anche a sinistra.

      1. michele

        Sia ben chiaro, non ho alcuna simpatia per il comunismo, sia vetero e post. E Migliore, Togliatti, lo è solo nel soprannome ufficiale.

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