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Cina, docente: «Siamo sull’orlo della bancarotta ma non possiamo dirlo»

Sono parole del docente cinese Larry Lang, la cui lezione universitaria a porte chiuse è stata registrata e diffusa su internet. «Siamo come la Grecia ma questo sistema politico non ci permette di dire la verità. Diventeremo uno dei paesi più poveri del mondo». Cinque i segnali della crisi: debito, inflazione, bassi consumi interni, bassa crescita e tasse alte

Redazione
02/12/2011 - 9:43
Esteri
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«Tutto quello che sto per dire è vero. Ma, secondo i canoni di questo sistema politico, non abbiamo il permesso di dire la verità. L’economia cinese è sull’orlo della bancarotta, le nostre province hanno i conti simili a quelli della Grecia». Non sono parole di un dissidente né di un analista di una qualsiasi “potenza straniera” desiderosa di screditare il regime. A sbilanciarsi sulla situazione economica della Cina è Larry Lang, docente di Studi finanziari presso l’Università cinese di Hong Kong e noto opinionista della televisione nazionale della Cina continentale.

La lezione, tenuta a porte chiuse dal professore a Shenyang, è stata registrata e l’audio in lingua cinese, diffuso tramite Youtube, è stato tradotto e rilanciato dall’Epoch Times e poi AsiaNews. Secondo Lang ci sono cinque segnali della crisi cinese. Il primo è il debito reale di Pechino che si aggira intorno ai 36 mila miliardi di yuan (circa 4 mila miliardi di euro): oltre a quello dei governi locali, tra i 16 e i 19,5 mila miliardi, c’è anche quello delle imprese statali pari a 16 mila miliardi. «Un debito in continuo aumento visto che gli interessi sono di circa 2 mila miliardi l’anno: le cose peggioreranno presto».

Secondo una ricerca del South China Morning Post le imprese statali in Cina, che rappresentano il 70% del totale, producono solo il 30% del Pil e nonostante i continui aiuti del governo comunista, che ha speso più di 560 miliardi di euro per fronteggiare la crisi, tante continuano a fallire. A indebitarsi sono soprattutto le imprese immobiliari, che continuano a costruire su ordine del Partito, chiedendo a prestito i soldi dalle banche, ma si calcola che almeno il 50% degli immobili resti vuoto a causa dei prezzi troppo elevati, pari a migliaia di euro al metro quadro a Pechino, ad esempio, a fronte di uno stipendio medio mensile di circa 200 euro. Il 30% delle agenzie immobiliari cinesi che ha chiuso negli ultimi due mesi e il timore per lo scoppio della bolla immobiliare cinese è stato espresso nelle ultime settimane dal Fondo monetario internazionale.

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Il secondo segnale è l’inflazione, che i numeri ufficiali dicono attestarsi al 6,2%, mentre per Lang è in realtà salita fino al 16%. Numeri del tutto plausibili viste le continue proteste sociali che scoppiano a causa del caro vita. L’inflazione, tra l’altro, ha del tutto vanificato gli aumenti del salario minimo che in tutte le regioni si sono verificati negli ultimi anni. Il terzo segnale è lo squilibrio tra produzione industriale e consumo interno. Per il docente universitario solo il 30% dei beni prodotti dalle attività cinesi viene consumato, il mercato interno è molto debole. Questo avviene nonostante il governo abbia cominciato da qualche anno a mettere i bastoni fra le ruote alle imprese straniere, che vanno a produrre in Cina, per favorire quelle locali. Propio il mancato sviluppo di un mercato interno solido è, per Lang, il motivo del nuovo crollo del tasso di produzione industriale, che ha toccato il minimo storico di 50,7%.

Lang afferma poi che anche la crescita, che nell’ultimo trimestre ha toccato il 9.1%, percentuale più bassa degli ultimi due anni, è in realtà molto più bassa anche se i numeri vengono truccati: solo così si spiega una disocuppazione che riguarda il 9 per cento della popolazione. Infine, il docente cinese ha parlato dell’enorme pressione fiscale:  per l’industria raggiunge il 70 per cento del totale dei guadagni di un’impresa. Per i privati, invece, il 51,6%. Non a caso, la seconda economia del mondo ha un Pil pro capite pari ad appena 7.500 dollari l’anno, contro i 46 mila degli Stati Uniti e i 27 mila dell’Italia. «Appena lo tsunami economico inizierà a colpire la Cina – ha detto terminando la lezione – il regime perderà la sua credibilità e il nostro paese diventerà uno dei più poveri al mondo».

Tags: Cinacrescitacrollodisoccupazioneinflazionepressione fiscale
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