
Tentar (un giudizio) non nuoce
Chi sono gli italiani veri?

Toto Cotugno cantava “sono un italiano, un italiano vero”. Anche io mi sono sempre sentito un po’ così, un italiano vero, orgoglioso della mia appartenenza a questo popolo “di santi, poeti e navigatori”: la frase è di Mussolini, che la pronunciò, ironia della storia, in opposizione alle Nazioni Unite che condannavano l’Italia perché voleva far diventare italiani gli abissini. La frase campeggia ancora oggi nella sua versione completa sulla facciata del Palazzo della Civiltà e del Lavoro all’Eur a Roma: lì ci sono anche altri attributi: artisti, eroi, pensatori, scienziati, trasmigratori. Insomma un popolo tanto creativo e geniale, incline alla retorica, quanto refrattario all’organizzazione.
Ma chi sono gli italiani veri? Hanno fatto rumore le dichiarazioni di Vannacci sulle nostre pallavoliste, che hanno fatto gioire tutto il Pese per la medaglia d’oro alle Olimpiadi, ma i cui «tratti somatici (di Paola Egonu) non rappresentano la maggioranza degli italiani».
E sant’Ambrogio?
Che cosa significa questo: che chi non ha i nostri tratti somatici non può essere un italiano vero? È una domanda che mi sono posto anch’io. E mi sono venuti in mente alcuni fatti: chi più di sant’Ambrogio rappresenta Milano e la milanesità? Eppure egli era un tedesco di Treviri. Chi può dire che il nostro pensiero non sia stato influenzato e forgiato da sant’Agostino, che ha vissuto a Milano ed è sepolto a Pavia? Eppure egli era un magrebino, noi diremmo un po’ dispregiativamente “un marocchino” di Ippona. Mi è tornato alla mente come Roma è diventata grande nel mondo, includendo attraverso la cittadinanza romana le élite di tutto il mondo che aveva saputo conquistare, fin ad avere imperatori di ogni dove. Tra tutti i 221 imperatori (ufficiali e usurpatori) succedutisi nelle capitali Roma e Costantinopoli, solo 22 nacquero sicuramente nella città oggi capitali d’Italia, mentre 48 nacquero a Costantinopoli cioè nell’odierna Turchia. In definitiva gli imperatori italiani furono 43 mentre quelli nati in Turchia ben 69, più 97 di altri Paesi a dimostrazione di quanto Roma fosse un impero aperto nel dare il massimo potere ai suoi sudditi di qualsiasi origine.
Non so se Vannacci a quel tempo avrebbe potuto e voluto dire che l’imperatore non rappresentava le caratteristiche somatiche tipiche della romanità.. ma posso facilmente immaginare quali avrebbero potuto essere per lui le conseguenze di una dichiarazione simile.
Poi mi sono voltato a dire queste cose ai miei figli e mi sono trovato di fronte loro tre: di origine cilena, due di loro con tratti somatici che ricordano gli abitanti originari del Sudamerica, con noi praticamente da sempre e cittadini italiani a pieno titolo. Ho pensato a Vannacci e mi sono trovato a pensare a cosa avrebbe fatto l’Imperatore…
Identità e cultura
Al di là delle battute, mi preoccupa quello che c’è dietro questo pensiero: una idea distorta e un po’ razzista di cosa debba costituire l’identità di un Paese. Un’idea che ignora la storia e trascura come le nostre origini siano già frutto di un mix di etnie e di provenienze diverse. Al tempo stesso, un’idea che non vuol vedere il futuro, destinato a darci una società sempre più multietnica e multireligiosa, non fosse altro che per le inesorabili dinamiche demografiche che ci caratterizzano.
Non è dunque dei tratti somatici che dobbiamo preoccuparci, ma della forza della nostra identità e cultura. È proprio questo che critico del pensiero di Vannacci e di tutti coloro che gli danno spazio: è un pensiero debole, vestito di forza ma ripieno di paure, che si fonda su ciò che apparentemente è ovvio per sfuggire alla complessità, temuta e rifiutata. Ma la complessità è un fatto, che comunque accade, piaccia a Vannacci o no, e richiede dunque un pensiero forte e adeguato, che la sappia comprendere e indirizzare.
Questo a me sembra oggi il compito dei cattolici: non sventolare gridando i nostri valori tradizionali per paura di perderli, sperando così di preservarli, mentre così li perderemo di sicuro, ma dimostrare nei fatti una capacità di incontro e di dialogo con l’umano di ogni cultura e religione, per costruire una società inclusiva e una vita buona per tutti. Certo, per questo occorre un cattolicesimo saldo e forte, magari meno “adulto” e più bambino nel senso evangelico, consapevole della forza della speranza che porta al mondo, dono ricevuto e buona notizia da portare a tutti. Anche a Vannacci.
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