Chi è Kais Saied, il populista conservatore che ha conquistato la Tunisia

Di Rodolfo Casadei
14 Ottobre 2019
La sua vittoria è un sintomo del parziale fallimento della "rivoluzione dei gelsomini” che diede il via alla controversa stagione delle “primavere arabe”

Per gli standard europei, il nuovo presidente della Tunisia Kais Saied è un populista conservatore. Promette di rovesciare la piramide del potere nel paese attraverso una fortissima dose di decentramento politico-amministrativo che comporterebbe anche l’abolizione delle elezioni legislative nazionali, sostituite da elezioni di secondo grado attraverso le quali gli eletti delle province nominerebbero i rappresentanti nazionali. Ha annunciato che non si trasferirà al Palais de Carthage, la residenza presidenziale dai tempi del padre della patria Habib Bourghiba, ma continuerà a vivere a casa sua insieme alla moglie, che non potrà essere qualificata come “prèmiere dame” del paese, essendo tutte le tunisine “prime dame” del paese, e ha giurato che non assumerà parenti fra i suoi collaboratori alla presidenza. Tanto meno pescherà nei ranghi dei partiti che al ballottaggio hanno invitato a votare lui, che si era candidato da indipendente.

Si è presentato come il candidato irreprensibile, al quale nulla può essere rimproverato del suo passato e del suo presente, intenzionato a scatenare una lotta senza quartiere contro la corruzione. Fin qui il populista. Che questo docente di diritto costituzionale in pensione e commentatore politico televisivo senza partito sia un conservatore si desume dal fatto che è favorevole a ristabilire la pena di morte nel paese, è contrario ad abolire la legge (che risale ai tempi della colonizzazione francese) che punisce la sodomia e gli atti omosessuali in genere e a modificare quella, ispirata alla sharia, che favorisce gli uomini sulle donne nella ripartizione delle eredità.

In forza di tutte queste prese di posizione, Saied ha stravinto il ballottaggio con il 72,7 per cento dei voti, dopo essere arrivato in testa ai contendenti del primo turno con il 18,4 per cento dei voti. Secondo gli analisti hanno votato per lui soprattutto i giovani fra i 18 e i 25 anni (con un massiccio 90 per cento stimato); per quanto riguarda il voto femminile, mentre non ci sono ancora stime per il ballottaggio, al primo turno lo avrebbero scelto il 22 per cento delle donne tunisine: sarebbe stato cioè il candidato più votato dalle donne, avendo il secondo classificato Nabil Karoui ricevuto il 15,6 per cento di tutti i voti espressi e il 20,4 per cento del voto femminile. Avevano invitato a votare per Saied sia i partiti dell’ultrasinistra che quelli islamisti, e in particolare Ennahda, considerato la gemmazione dei Fratelli Musulmani in Tunisia, che alle elezioni politiche del 6 ottobre scorso ha registrato il peggior risultato da quando è stato legalizzato: il 17,5 per cento contro il 27,8 per cento conquistato nel 2014 e il 37,4 per cento del 2011.

La vittoria schiacciante dell’outsider Saied è un sintomo del parziale fallimento della transizione politica della Tunisia innescata dalla “rivoluzione dei gelsomini” che nel 2011 cacciò dal potere il dittatore Ben Ali e diede il via alla controversa stagione delle “primavere arabe”. La Tunisia è l’unico paese arabo che ha sviluppato una democrazia parlamentare sull’onda delle sommosse del 2011, ma non è riuscita a legittimare la nuova classe politica, vista dalla popolazione come una continuazione del vecchio sistema, né a modificare in profondità la realtà socio-economica nazionale. La disoccupazione è scesa dal 20 al 15,5 per cento negli otto anni che ci separano dalla caduta del precedente regime, la povertà relativa dal 24,4 per cento al 15 per cento, ma questo non sembra bastare alla maggioranza degli elettori. Il paese è stato governato in questi anni prima da una coalizione tripartita fra Ennahda e due partiti laici, poi negli ultimi quattro anni da un bipartito comprendente gli islamisti e la nuova formazione laica di centrosinistra Nidaa Tounes, il cui leader Beji Caid Essebsi sarebbe poi diventato capo di Stato, carica mantenuta fino alla morte nel luglio scorso.

Per evitare di fare la fine dei Fratelli Musulmani egiziani, i loro affini tunisini hanno accettato ruoli di secondo piano nei governi che si sono succeduti pur avendo vinto le prime elezioni libere del paese, e hanno gradualmente emarginato le componenti più radicali. L’annacquamento ideologico non ha però giovato alla classe dirigente di Ennahda: gli elettori islamisti convinti l’hanno abbandonata per l’astensionismo e il voto giovanile e moderato l’ha snobbata accusandola di pensare solo a occupare posti di potere remunerativi. Il fronte laico si è a sua volta sfaldato per rivalità personalistiche e scontri settari fra le componenti che si erano riunite sotto l’ombrello di Nidaa Tounes: al primo turno delle elezioni presidenziali nel settembre scorso una mezza dozzina di candidati provenienti dal partito nato nel 2012 si è presentato al voto con una propria nuova formazione politica alle spalle; alle politiche del 6 ottobre quel che restava di Nidaa Tounes ha guadagnato appena 3 seggi, contro gli 86, e il primo posto, di cinque anni prima.

Al ballottaggio con Kais Saied è arrivato uno dei fondatori di Nidaa Tounes, il magnate dei media Nabil Karoui proprietario di Nessma TV, che nell’ottobre 2011 venne assalita dagli islamisti per aver trasmesso Persepolis, un film di animazione da loro considerato blasfemo. Karoui ha dovuto condurre gran parte della campagna elettorale dal carcere, essendo stato arrestato il 23 agosto per riciclaggio e appropriazione indebita, e rilasciato solo il 9 ottobre, quattro giorni prima del voto. Nonostante il grande dispiego di manifesti, pubblicità televisive e donazioni di alimenti e generi di prima necessità nelle province più povere (Karoui è stato soprannominato monsieur Macaroni), la campagna elettorale del candidato detenuto non è riuscita a strappare il voto di più di un tunisino su quattro.

Negli otto anni trascorsi dai giorni della “rivoluzione dei gelsomini” la percentuale di tunisini che manifestano il desiderio di emigrare all’estero è aumentata dal 22 al 33 per cento della popolazione (56 per cento fra i giovani dai 18 ai 29 anni di età). Saied è stato evidentemente plebiscitato in quanto candidato anti-sistema, ma i suoi poteri come capo di Stato sono piuttosto limitati, concentrandosi su difesa, sicurezza e politica estera. Non disponendo di un partito o di una coalizione di partiti a cui appoggiarsi in parlamento, difficilmente riuscirà a realizzare i suoi obiettivi più ambiziosi, come quello della riorganizzazione politico-amministrativa del paese dal basso.

Foto Ansa 

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