Che festival fa?
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’esaurirsi delle stagioni teatrali tende a coincidere con l’inizio di un periodo primaverile/estivo altrettanto interessante di focolai multidisciplinari rintracciabili qua e là per la penisola. Quindi, con il progressivo avanzare del clima mite – si dice stimoli il buon umore – oltre alle giornate che si allungano, la voglia di aria aperta, e l’ansia per la prova costume, si fa largo anche un percorso di manifestazioni culturali che in queste righe ci proponiamo di ri-conoscere, o almeno consigliarne alcune, come “imperdibili” per gli appassionati di teatro e non solo. In altre parole, con l’estate alle porte, invece di suggerimenti per miracoli di bellezza psico-fisica lampo, vogliamo fornire indicazioni per uno stimolo cerebrale di emozione, coscienza e cuore, attraverso una mappa, una guida all’orientamento geografico e cronologico (da maggio ad agosto) tra gli eventi più rilevanti.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Come premessa diremo che c’è una parola d’ordine condivisa individuabile in molti cartelloni di festival, che è la commistione linguistica, declinabile (tra classicità e contemporaneità) in messinscena, concerti, arte visiva, di strada, mostre, incontri, proiezioni. E c’è una notevole dose di quote rosa nei calendari, nelle ospitalità, nelle tematiche, e nelle storie protagoniste. A cominciare dall’imminente Sky Arte Festival, che dal 5 al 7 maggio sceglie una Napoli cosmopolita come culla dell’edizione inaugurale (centro nevralgico sarà il Museo Pignatelli) per una full immersion performativa, in collaborazione con Sky Academy, che rispetta la mission di Sky di attivo e partecipato sostegno all’evoluzione culturale. “Rigenerazione” sarà il comune denominatore di spettacoli, masterclass, anteprime, street art, e installazioni permanenti che coinvolgeranno direttamente la cittadinanza, come – e va segnalato – l’art workshop di Roxy In The Box che tradurrà in toni pop storie locali collettive e private, o JR che darà volto al lungomare con fotografie di visi partenopei. E non mancheranno Manuel Agnelli, Erri de Luca, Carlo Lucarelli, Geppi Cucciari, Oliviero Toscani, Cristina Donadio, Sergio Rubini, Alessandro Haber, Vinicio Capossela (che chiuderà il festival con un live inedito).
Il capoluogo campano, dal 5 giugno al 10 luglio, festeggia anche il decennale del Napoli Teatro Festival Italia che, con l’esordio direttivo di Ruggero Cappuccio, ha in serbo 80 lavori italiani e internazionali per dieci sezioni (inclusi anche teatro-danza, letteratura, cinema, sport-opera, mostre) con rievocazioni del mito, riflessioni sull’attualità, miscellanea autoriale di ieri e oggi. Compaiono i nomi di Stefano Massini, Alessandro Preziosi, Fabrizio Gifuni, Enzo Moscato, Roberto Herlitzka, Peppe Servillo, Iaia Forte, Ascanio Celestini, Cristina Comencini, e debutti come quelli imputabili a Dimitris Papaioannou, tra i principali pionieri della danza contemporanea; Angelica Liddell, geniale performer, regista, scrittrice catalana capace di scatenare estreme reazioni di “odi et amo” intorno alla sua opera provocatoria; e l’altrettanto discusso Jan Fabre, qui occupato a “guardare in faccia” la sua nazione, il Belgio.
È un Festival che mira a una interdisciplinarietà comunicativa tra esseri umani: «Non esiste altro luogo al mondo – rivela Cappuccio – in cui autori di altissimo livello sono stati anche indimenticabili attori, come Viviani, Eduardo, Petito. È il Teatro che contiene i Teatri: Napoli è il tessuto urbano, la stoffa onirica, la potenza genetica dell’arte scenica che seduce le nuove generazioni chiedendo alta responsabilità critica da praticare su una preziosa eredità. Ed è proprio sul rapporto tra maestri e giovani talenti che si concentra questa decima edizione». Infatti, se da un lato sono confermati i laboratori con grandi firme quali Nekrosius, Janezic, Peter Brook, dall’altro va sottolineato il non meno rilevante presidio pedagogico in aree periferiche a cura di alcuni artisti del Nest.
Intanto, in Sicilia, e precisamente a Siracusa, dal 6 maggio al 9 luglio, la Fondazione Inda dà inizio al 53° ciclo di rappresentazioni classiche, con tre testi antichi intrecciati in 55 repliche per due mesi (quella del 2017 è l’edizione più lunga di sempre) nello splendido Teatro Greco. Il che significa Sette contro Tebe di Eschilo con regia di Marco Baliani, Fenicie di Euripide diretto da Valerio Binasco e le Rane di Aristofane firmato da Giorgio Barberio Corsetti; con, tra gli interpreti, Marco Foschi, Guido Caprino, Isa Danieli, Anna Della Rosa, Gianmaria Martini.
E se la commedia aristofanesca prevede una rivisitazione moderna dai grandi effetti visivi e musicali, più un curioso intervento di Ficarra e Picone, le due tragedie si misurano con Tebe assediata come una Sarajevo di ieri, o una Aleppo d’oggi, tra violente spartizioni di terre: «Come è accaduto alla Libia dopo Gheddafi – riflette Baliani –, come accadrà a Mosul tra breve, come accadde a Berlino nel secolo scorso». Viene da dire: rileggere il mito per comprendere il presente. «Il Teatro Greco di Siracusa – nota il direttore del festival Roberto Andò – è lo spazio ideale dove, attraverso vicende eterne, richiamare in causa quel senso dell’umano che è il nucleo essenziale ereditato dalla tragedia, lo stesso in cui si giocano l’avvenire del mondo e del teatro. Vogliamo che questo palcoscenico sia un cantiere per linguaggi e forme dai quali nascano spettacoli in grado di far risuonare, ancora più urgenti e vicine a noi, le tante domande essenziali sul vivere, sull’amare, sul lottare, sul morire, consegnateci dai tragici».
Di scoperta, attenzione per le ultime generazioni, la nuova drammaturgia e gli inediti progetti e prospettive, se ne occupa molto bene Primavera dei Teatri (dal 30 maggio al 4 giugno), che per la diciottesima volta fa di Castrovillari sede d’incontro e riferimento teatrale per un meridione minimamente valorizzato da istituzioni e organizzazioni artistiche. Si ribadisce allora la volontà di invadere con i nuovi talenti dello spettacolo dal vivo spazi inconsueti del patrimonio storico e architettonico della città calabrese: e per l’occasione sarà riaperto il Teatro Vittoria che diventerà uno dei poli centrali del festival, finalmente sottratto, dopo anni di ristrutturazione, all’abbandono, cioè agli effetti consapevoli di degrado e lesioni vandaliche.
A giugno bisogna impostare anche coordinate nordiche, perché dal 4 al 22 ritorna il Festival delle Colline Torinesi diretto da Sergio Ariotti, che da anni ormai richiama il più influente panorama artistico attuale italiano e non, e che non nega un’indole attrattiva, nella ricerca d’offerta e proposta, per alcune suggestive rassegne europee, nonostante le note, croniche difficoltà del settore nostrano.
Edizione XXII per quello che si definisce (anche) un “anno da donna”, con molte registe, autrici e attrici, per un focus sul ruolo femminile nelle metamorfosi sociali, nelle lotte per i diritti, per le libertà e l’emancipazione. Ecco perché Chiara Guidi sarà alle prese con i racconti di Nelly Sachs, Elena Bucci con le nostalgie della poetessa rom Bronislawa Wajs, Milena Costanzo con i pensieri di Emily Dickinson. E ancora Deflorian/Tagliarini, Babilonia Teatri, Cuocolo/Bosetti, Valter Malosti, Frosini/Timpano, Saverio La Ruina, Licia Lanera, con i quali conosceremo luoghi e personalità appartenenti a paesi culturalmente meno chiacchierati, meno risonanti, e rifletteremo sulla relazione del teatro con la musica, col cinema, con la video arte. Saremo testimoni di commistioni linguistiche che vanno dal video-collage del collettivo berlinese She She Pop, al rap, ai concerti multiculturali, alle installazioni wallaciane della Ballata dei Lenna; fino a – indicazione particolare – scoprire il singolare approccio che i Motus avranno con Jean Genet, in un ribaltamento di genere da vivere negli spazi di un albergo.
Naturalezza e senso critico
Sessant’anni compie invece il Festival di Spoleto (dal 30 giugno al 16 luglio) che, sotto la direzione decennale di Giorgio Ferrara, ha visto un forte recupero in termini di presenza di artisti e pubblico, tutti immersi tra opera, prosa, danza, musica. Tra le anticipazioni si annuncia la tappa del “Combattente Tour” di Fiorella Mannoia, il coinvolgimento rinnovato con Emma Dante (al lavoro con un titolo pensato ad hoc per il festival), e la direzione del concerto finale di Piazza Duomo affidata per la prima volta a Riccardo Muti.
Luglio significa altre due cose: primo, VolterraTeatro, a fine mese, che trasforma gli spazi prossimi alla Fortezza Medicea in fulcro virale di eclettica contaminazione e sperimentazione non lineare, non convenzionale, con la guida di Armando Punzo nel fondamentale attraversamento di habitat e vite legate al carcere. Secondo, Santarcangelo, alias la “città del teatro” con il 47° Festival Internazionale (dal 7 al 16): un laboratorio all’aperto di spettacoli, workshop, dibattiti per nuove produzioni e un pubblico eterogeneo. Un’occasione di abbraccio artistico dell’intero tessuto urbano, con piazze, cortili, edifici dismessi, palestre adibiti a terreno di costruzione e scambio creativo.
Chi si trovasse poi in zona veneziana tra il 25 luglio e il 12 agosto, non perda la Biennale e il 45° Festival Internazionale del Teatro che vanta come neo-direttore Antonio Latella, artefice del cardine tematico “Atto primo: REGISTA”: «Accompagnare per quattro anni la Biennale – spiega Latella – vuol dire essere accompagnato da lei. Ciò che mi sembra di aver capito in questo breve periodo è che la Biennale non può e non deve essere una sorta di clonazione dei tanti festival d’Europa e non solo, non può essere un contenitore, una vetrina di spettacoli; per il suo valore storico e culturale, è quel luogo dove una volta l’anno si osservano insieme i tanti linguaggi del teatro e il loro continuo evolversi».
Dunque, regia e registe (donne) – lo stesso Latella esorta: ladies first! –, innanzitutto. E così Maja Kleczewska (Leone d’argento 2017), Ene-Liis Semper, Nathalie Béasse, Maria Grazia Cipriani, Livia Ferracchiati, Anna Sophie Mahler, Suzan Boogaert & Bianca Van Der Schoot e Claudia Bauer sono le 9 autrici europee intorno alle quali nasceranno lavori volti a ritrarne l’evoluzione professionale: «Su come nasca un processo creativo – prosegue Latella – cala sempre uno spietato velo di silenzio, neppure un regista, o un autore, è in grado di chiarire a posteriori il momento dell’ispirazione. La sola cosa che può aiutarci a capire è seguire un processo artistico, verso quella zona di mistero che ci avvicina alla creazione di nuovi linguaggi. Bisogna provare a mettere in mostra i registi e le loro opere, e perciò vogliamo creare per ogni regista ospite delle piccole “personali”. E con le registe donne è più facile intravedere l’evoluzione dei linguaggi: molte di loro sono capaci di evolvere con grande naturalezza, ma profondo senso critico, l’unione dei linguaggi che fanno da ponte tra il secolo scorso e questo. Perché nella ricerca del linguaggio abbiamo riscontrato un’esigenza, una necessità mai gratuita, mai legata a un bisogno puramente carrieristico o di affermazione, ma a una sincera urgenza creativa».
Un calendario al femminile, come al femminile è pure il titolo della maratona conclusiva della rassegna: “You Know I’m No Good”, dal singolo di Amy Winehouse, per l’esito dei laboratori della Biennale College – Teatro incentrati sull’individuazione di un’artista donna della seconda metà del Novecento scomparsa misteriosamente (tra gli altri, Simone Derai si dedica a Marilyn Monroe, Maria Grazia Cipriani a Amy Winehouse, Luk Perceval a Sinéad O’Connor).
Infine, sconfinando oltralpe, ci si può imbattere, dal 6 al 26 luglio, in un 71° Festival d’Avignon (molto corroborante), impegnato su Africa, donne e battaglie per i diritti. Oppure, se si opta per una distanza maggiore, c’è sempre – dal 1947 – Edimburgo con il suo Fringe Festival più grande al mondo, che per tutto agosto propone un programma di oltre 200 pagine di cabaret, e circo, e opera, e danza, e teatro, e…
Foto Sky Arte, Luca Del Pia
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