Che cosa significa per Israele il ritorno al potere di Netanyahu

Di Amedeo Lascaris
03 Novembre 2022
Fallita la linea progressista e di "unità nazionale" nata con il governo di Naftali Bennett, Netanyahu tornerà a governare lo Stato ebraico con una destra religiosa molto rafforzata
Benjamin Netanyahu vince le elezioni in Israele

Benjamin Netanyahu vince le elezioni in Israele

Lo storico leader del Likud e premier più longevo della storia di Israele, Benjamin Netanyahu, si appresta a guidare ancora una volta lo Stato ebraico, nonostante i guai giudiziari, un’opposizione che negli ultimi anni è divenuta un “partito anti-Netanyahu” e un mutato scenario geopolitico. In attesa dei risultati finali delle legislative del primo novembre, le quinte dal 2019, i dati parziali vedono il Likud in testa con 32 seggi, due in più rispetto alle legislative del marzo 2021, confermandosi primo partito dello Stato ebraico e prossima guida del governo se verranno confermati i dati che danno agli alleati di Netanyahu 33 seggi distribuiti tra Sionismo religioso (14), Shas (11), Giudaismo della Torah unita (8), per un totale di 65 su 120 seggi, superando, almeno in teoria, i 61 seggi necessari per ottenere l’incarico di governo.

Si rafforza la destra religiosa in Israele

Due dati sono già certi: il rafforzamento senza precedenti dei partiti della destra religiosa e un ritorno ad una partecipazione della popolazione alle urne con l’affluenza che si è attestata al 71,3 per cento, il dato più alto dal 2015. Il partito Sionismo religioso, in ebraico Tziyonut Datit, ha ottenuto ben 14 seggi (8 in più rispetto alle elezioni di marzo 2021), diventando il terzo partito di Israele, dietro Yesh Atid, il partito del premier uscente Yair Lapid, giunto secondo con 24 seggi (7 seggi in più rispetto alle elezioni di marzo 2021). Guidato da Bezalel Smotrich, ma spinto nella sua ascesa dal leader di Otzma Yehudit (Forza ebraica) Ben Gvir, il partito Sionismo religioso rappresenta un’ulteriore svolta a destra per il futuro governo targato Netanyahu.

Ben Gvir ha radici nel partito apertamente razzista Kach fondato da un rabbino americano radicale, Meir Kahane, e bandito da Israele. Ha costruito la sua carriera difendendo i coloni ebrei accusati di violenza e ha sostenuto l’espulsione da Israele dei cittadini “sleali”, compresi quelli di sinistra e i palestinesi. Il secondo partito della possibile coalizione di governo supporta il rafforzamento dell’identità ebraica, persegue una dura interpretazione del nazionalismo e la promozione dell’ebraismo ortodosso.

Le politiche sostenute dai suoi leader includono l’annessione della Cisgiordania e alterazioni del ruolo del sistema giudiziario e mettono a rischio anche lo storico accordo per la demarcazione del confine marittimo con il Libano firmato lo scorso 27 ottobre a Naqoura, ultimo atto in politica internazionale del governo ad interim di Yair Lapid.

Il nuovo governo di Netanyahu

L’ipotesi di un governo Netanyahu è stata fortemente contestata nei circoli ebraici statunitensi, tanto da spingere il presidente israeliano, Isaac Herzog, a chiedere apertamente lo scorso 31 ottobre i risultati elettorali anche se «non graditi».

Si prospetta dunque un nuovo periodo di rapporti “freddi”, probabilmente di “gelo”, tra l’amministrazione Usa guidata da Joe Biden – la cui tenuta verrà messa alla prova l’8 novembre con le elezioni di midterm – e il governo di destra guidato da Netanyahu, che fu uno dei più stretti alleati di Donald Trump e fautore degli storici Accordi di Abramo con Emirati e Bahrein.

Il fallimento dell’unità nazionale

Un altro dato emerso dalle elezioni del primo novembre è la conferma del fallimento della linea progressista e di “unità nazionale” nata con il governo di Naftali Bennett, che dopo le sue dimissioni del giugno scorso ha deciso di non ricandidarsi. Il partito del premier uscente Lapid, Yesh Atid, si è rafforzato rispetto alle elezioni del 2021, ma è stato accusato dai suoi alleati di aver “cannibalizzato” voti, favorendo di fatto la nuova ascesa di Netanyahu. Infatti, il partito Unità nazionale, guidato dagli ex ministri del governo Lapid Benny Gantz (Difesa) e Gideon Sa’ar (Giustizia) e dall’ex capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot, in base agli ultimi dati ha ottenuto 12 seggi, mentre Yisrael Beytenu dell’ex alleato di Netanyahu, Avigdor Lieberman, 5 seggi.

I partiti espressione dell’elettorato arabo-israeliano, divenuti di fatto parte dell’alleanza anti-Netanyahu alle elezioni del 2021, Ra’am – primo partito arabo a far parte di una coalizione di governo – e Hadash Ta’al avrebbero 5 seggi ciascuno, non sufficienti a consentire agli avversari del Likud e della destra religiosa di formare un governo di unità simile a quello del 2021. Il partito Laburista ha invece confermato il suo crollo, ottenendo in base ai risultati ancora provvisori, 4 seggi, mentre la formazione di sinistra Meretz è fuori dalla Knesset.

Foto Ansa

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