C’è una tribù di selvatici che non ama il global village

Di Redazione
16 Luglio 2020
Chi è Jack Donovan, l’impresentabile che ha conficcato la penna nel nervo scoperto del politicamente corretto

Articolo tratto dal numero di luglio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Essere un uomo, quello gli interessa. Jack Donovan è un fuorilegge con tutti i crismi, una bestia tatuata, l’aria di chi ha appena steso satana al fight club, il corpo teso in un rito iniziatico tribale. È un antimperialista, antiglobalista, antirazzista e androfilo: è l’incarnazione di tutto ciò che un torace intarsiato di rune, aquile, scritta Honor, cranio rasato suscita, roba da alt-right e combattimento di strada. Ma Jack Donovan è un uomo libero. Uno che dieci anni fa ha conficcato la penna nel nervo scoperto d’America in caduta libera verso le odierne beatitudini isteriche del metoo, il gender fluidissimo, il maschio bianco carogna, ferita purulenta della storia da neutralizzare nelle gabbie di santa madre burocrazia. Lo ha fatto scucchiaiando una domanda: «Di chi sei, tu?». 

Quando è uscito, il suo The Way of Man è diventato un best-seller pluritradotto, ha dato dimora al maschio strappato a suo territorio d’origine, dalla sua struttura fondamentale, umana. Cioè naturale. E noi seguaci di Claudio Risé lo sappiamo che l’uomo originario, selvatico, non è il buon selvaggio: non è neutro, ha una sua radicata e radicale identità di genere, è politicamente scorretto. Per questo va neuralizzato. «La via degli uomini è la via di quella gang», «le tribù di uomini salveranno il mondo», scriveva Donovan dieci anni fa e se oggi possiamo ritrovarci tutti fratelli e sorelle di quella gang di uomini è solo perché Andrea Ansaloni ha pensato di tradurre il libro per gli amici. E quando la casa editrice Passaggio al Bosco ha ottenuto i diritti ha proposto a lui e Domenico di Tullio di curarne l’edizione italiana. 

La via degli uomini è uscita così, nell’anno del virus, a ricordarci senza concessioni sentimentali o scorciatoie religiose, che all’origine di tutto vi è stata e vi sarà ancora una fratellanza di conio speciale maschile, un’appartenenza sostanziale e biologica, che fin dalla notte dei tempi ha visto le unità più piccole del “noi” radunarsi alla luce di un fuoco notturno, oltre il quale, nell’oscurità, erano in agguato i “loro”, un assedio, quello della vita, in cui l’uomo sceglie di chi fidarsi, a chi affidarsi, a chi appartenere e per cosa vivere. Noi qui li si chiama amici, ciurma, compagni di viaggio, luogo umano, elementare, precedente ad ogni altra forma culturale, e tuttavia fondante ogni cultura a cui è affidata la continuazione della vita. Jack Donovan è un impresentabile. Ma scrive duro di forza, coraggio, onore e maestria. Dell’istinto vitale del maschio ribelle a un mostro acefalo chiamato politicamente corretto. Ed è un bel leggere.

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