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Il caso Volkswagen spiegato a mio figlio: Dieselgate, ma non esageriamo

I tedeschi hanno sbagliato e pagheranno. Ma qui si parla di auto che emettono gas più puliti di certa aria che respiriamo

Stefano Cordara
12/10/2015 - 2:00
Motori
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Mentre mi accingo a scrivere questo articolo, la tv accesa trasmette l’ennesimo servizio sul caso Volkswagen. Il minore dei miei due figli – 9 anni – passa, ascolta distrattamente e sentenzia: «La Volkswagen fa schifo perché inquina moltissimo, l’ho sentito dai miei amici». Domenica scorsa, invece, ero in auto con l’altro figlio – il più grande, 13 anni – e un suo amico. Incrociamo una Passat e i due ragazzi iniziano con battute più o meno pesanti sulla Volkswagen. Avete presente l’imprinting? Quel fenomeno per cui alcuni animali scambiano come propria madre il primo essere vivente che incontrano? Ecco, il fenomeno a cui sto assistendo mi pare uguale, il cosiddetto Dieselgate è stato assorbito completamente dalle menti “libere” di ragazzi che, magari, in futuro quando dovranno comprare un’auto ricorderanno che la Volkswagen aveva barato. Basta questo per comprendere il disastro assoluto che sta colpendo e colpirà per lungo tempo il colosso di Wolfsburg, azienda che ha costruito sulla perfezione tecnica, sulla tecnologia d’avanguardia e sulla qualità tedesca tutto il proprio successo.

Già, ma la tecnologia non basta; in perenne lotta con Toyota per il trono di primo gruppo automobilistico al mondo, il gruppo Volkswagen (che comprende i marchi Audi, Volkswagen, Seat, Skoda, ma anche Bugatti, Porsche, Bentley, Lamborghini, Ducati, Scania e MAN) ha bisogno anche dei grandi numeri, numeri che ormai solo certi mercati consentono di raggiungere e in cui bisogna vendere a tutti i costi. Cina e Stati Uniti sono le grandi vacche da mungere per tutti i costruttori, ma se in Cina sono piuttosto “leggeri” con le emissioni, negli Stati Uniti non si scherza. Il che, consentitemelo, in un paese che non ha firmato il protocollo di Kyoto e dove la cilindrata media dei veicoli a motore è ben oltre i 3.000 cc, fa un po’ sorridere.

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La prova per l’omologazione
Così l’International council for clean transportation si è preso la briga di effettuare un test lungo 1.300 miglia, andando da San Diego a Seattle con tre automobili, una Jetta, una Passat e una Bmw X5, misurandone le emissioni nella vita reale. Risultato: Bmw promossa, Volkswagen bocciate senza appello, con emissioni di ossidi di azoto superiori fino a 35 volte al consentito. Messa di fronte ai fatti, Volkswagen prima ha tergiversato, poi ha fornito risposte insoddisfacenti, poi ha richiamato 500 mila veicoli aggiornando le centraline (non sufficiente, perché le emissioni erano ancora oltre il limite), infine ha confessato il misfatto: un software nella centralina consentiva alle auto di passare i test di omologazione.

Come è potuto accadere? Semplice: i test di omologazione avvengono simulando cicli di guida su un banco a rulli: sono cicli piuttosto anacronistici (perché molto lontani da un utilizzo normale) e soprattutto assolutamente ripetitivi. Piuttosto semplice, quindi, per chi programma una centralina, far riconoscere alla centralina stessa che la vettura sta compiendo un ciclo di omologazione e adottare una mappatura specifica che consenta di rientrare nei valori delle emissioni, e spiccando consumi che nemmeno il piede più vellutato è in grado di ottenere. Insomma, una furbata bella e buona. Proprio del tipo che fa arrabbiare molto gli americani, che come sappiamo sono molto libertini su parecchie cose, ma se dici una bugia (Bill Clinton se lo ricorda molto bene) non ti perdonano.

Delirio di informazioni
Ebbene sì, Volkswagen ha barato. Ha mentito sapendo di mentire, e questo è sicuramente molto grave, soprattutto perché arriva da chi non ti aspetteresti mai possa fare una cosa del genere. Sapere fino a che livello il management fosse a conoscenza dei trucchi adottati per rientrare nei livelli di emissioni richiesti sarà molto dura, a Wolfsburg crediamo ci sia in giro molta gente che fischietta facendo finta di niente. Ovviamente, però, qualche testa deve saltare; la prima è stata quella Martin Winterkorn, Ceo del gruppo, fresco vincitore di una battaglia politica interna con Ferdinand Piech, ora gentilmente invitato a lasciare la sua poltrona con una buonuscita di 60 milioni di euro. Intanto il valore delle azioni del gruppo è crollato (15 miliardi di capitalizzazione persi in un solo giorno) e il governo tedesco ha messo all’angolo gli uomini di Wolfsburg con un ultimatum di quelli pesanti: la Casa tedesca dovrà spiegare in pochissimo tempo come intende porre rimedio al problema delle centraline truccate. Non certo una passeggiata. Centinaia di uomini stanno lavorando 24 ore su 24 per trovare la soluzione nei tempi previsti, i grandi capi – il posto di Winterkorn è stato preso da Mathias Müller – hanno adottato la linea dura: spietatezza, rigore, chiarezza sono le parole che continuano a circolare, forse un pelo troppo tardi. Se entro il termine indicato dal governo tedesco non ci dovesse essere nessuna risposta chiara e attendibile, la situazione dalle parti di Wolfsburg potrebbe diventare incandescente. Insomma, per i tedeschi è una mazzata paurosa, un colpo che ha ripercussioni politiche ed economiche per tutta la nazione e per il governo – la signora Merkel non l’ha presa molto bene – che in questo periodo (guarda caso) stava rinegoziando molti accordi commerciali proprio con gli Stati Uniti.

Tedeschi a terra, quindi, e pur considerando che un bagno di umiltà di tanto in tanto fa bene a tutti, è curioso osservare tutto quello che si è scatenato attorno a questa vicenda. Il mondo è stato invaso da un vero e proprio delirio di informazioni, commenti, allarmismi, richieste di risarcimento. Il mondo dell’informazione esplode, Volkswagen fa notizia, anzi è “La notizia” e come spesso accade in questi casi superare il limite del buon senso è questione di attimi. Così scattano gli articoli dei giornali, le richieste di fermo per automobili perfettamente sicure e in grado di circolare. Nascono le class action, le denunce per truffa, in un circo di persone (i veicoli coinvolti nel mondo sono 11 milioni) che si sentono “moralmente offese” dalle bugie del gruppo tedesco.

Giusto, sacrosanto. Chi ha speso i propri soldi è giusto che abbia un’auto con le caratteristiche per cui ha pagato, ma forse ci si è fatti prendere un po’ troppo la mano. Leggendo, ascoltando, parlando, ora pare che tutti i mali del mondo dipendano dagli ossidi di azoto emessi dall’ormai famigerato motore EA 189. Ossidi di azoto che, vale la pena ricordare, non sono assolutamente l’inquinante più pericoloso emesso dallo scarico di un’automobile (la Co2 è di gran lunga più pericolosa), anzi. Tanto è vero che durante la revisione periodica delle auto non sono nemmeno misurati.

Ma a noi cosa cambia?
È questo il vero male del mondo? Direi di no. Forse stiamo ingigantendo la questione (che Volkswagen pagherà comunque molto cara) oltre i limiti, dimenticando che in passato altri grandi gruppi si sono visti comminare multe non meno salate per lo stesso identico motivo: i consumi (e di conseguenza le emissioni) non corrispondenti al dichiarato. In quei casi non ci fu lo stesso clamore, certo che se a barare sono i tedeschi…

Parliamoci chiaro: i cicli di omologazione di oggi servono solo per omologare auto che poi nella vita reale saranno utilizzate in tutt’altro modo, consumando ed emettendo in modo totalmente diverso da quanto rilevato sui rulli e questo con o senza software truccati. È un fatto che le auto di oggi sono estremamente “pulite”, hanno emissioni che confrontate con quelle di solo 10 anni fa si possono definire irrisorie. Potremmo azzardare che in certe aree del mondo particolarmente inquinate un’automobile Euro 6 emette gas più puliti di quelli che respira. Un po’ come una cozza pulisce il mare, queste automobili in certi casi potrebbero pulire l’aria. Le auto “incriminate” sono sicure, non mettono a repentaglio l’incolumità di nessuno, non aumentano l’effetto serra (causato dalla Co2 e non dagli Nox). Insomma, alla fine sono auto normali, con emissioni molto inferiori rispetto alla media del parco circolante (che dalle nostre parti è ancora largamente legato a motori Euro 3), o di una caldaia a gasolio – magari non revisionata – come ce ne sono a migliaia nelle nostre città. Per questo motivo le richieste di fermo al parco circolante o la preoccupazione di qualche automobilista che il proprio veicolo possa diventare fuorilegge o non poter più circolare rasentano il ridicolo.

Volkswagen non se la caverà con una pacca sulla spalla, questo è certo, le multe si preannunciano salatissime e i danni (economici e di immagine) che sta subendo sono quasi incalcolabili. Il mondo dell’automotive non sarà più come prima? Forse. Ma state certi che presto il Dieselgate sparirà dalle prime pagine dei giornali, come l’Ebola, come il terremoto ad Haiti, come i treni che deragliano. E tutti torneranno a godersi la propria auto tedesca. Scommettiamo?

Foto Ansa

Tags: angela merkelVolkswagen
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