La mattinata di sabato 5 ottobre di Francesco Gangemi (nella foto a sinistra tratta da internet), 79 anni, storico giornalista e direttore del periodico di Reggio Calabria Il dibattito, è cominciata alle 9.30 quando alla porta si sono presentati gli uomini della squadra mobile con un’ordinanza di arresto. «Mio padre ora è in carcere. E per quale terribile delitto un uomo di quasi 80 anni, e molto malato, finisce in cella? Non omicidio, furto o rapina, spaccio: no, semplicemente per “delitti” d’opinione, per la diffamazione a mezzo stampa» spiega a tempi.it il figlio Maurizio, giornalista e direttore del sito ilreggino.it.
L’ordinanza di arresto è stata firmata dal sostituto procuratore generale di Catania, Elvira Tafuri, in esecuzione di 9 condanne a Francesco Gangemi dei tribunali di Reggio, di Catanzaro e – ultimo in ordine cronologico, quindi responsabile dell’esecuzione della condanna – di Catania.
Maurizio, cos’è accaduto sabato?
Intorno alle 9.30 si sono presentate le forze dell’ordine con il provvedimento. Sono stati educatissimi, pieni di tatto umano, quasi si sono scusati di dover adempiere al loro dovere. Hanno aspettato che mio padre mi chiamasse, facesse una doccia e si preparasse, poi l’hanno portato alla casa circondariale di San Pietro.
Per che cosa è stato condannato?
Mio padre è stato condannato otto volte per diffamazione a mezzo stampa dal 1990 ad oggi. Nell’ordinanza di carcerazione è poi aggiunta una nona condanna, per il reato di falsa testimonianza, con sentenza definitiva dal marzo 1997. Il singolo episodio in questione risale al 1992, quando mio padre era consigliere comunale di Reggio. All’epoca ci fu lo “scandalo delle fioriere”, una “tangentopoli” in salsa reggina: la giunta comunale aveva acquistato delle fioriere per 90 milioni di lire, e per questo acquisto vennero pagate delle mazzete. Mio padre, proprio in aula a Palazzo San Giorgio, pubblicamente ha denunciato di sapere che a Palazzo entravano delle valigette piene di denaro che poi uscivano vuote. Poco dopo sono stati arrestati il sindaco Licandro, che si pentì, e l’intera giunta. Quando si è aperto il processo mio padre è stato interrogato dai giudici su quella denuncia pubblica, ma lui ha invocato la segretezza delle fonti. I pubblici ministeri lo hanno citato a giudizio per falsa testimonianza, e poi, appunto, è stato condannato.
In un editoriale lei ha scritto che «le sentenze si rispettano. Si discutono e si commentano ma si rispettano, anche questa. Ma ci sono ancora cose da discutere sulla condanna di mio padre». Quali?
A 79 anni, nemmeno chi commette omicidio colposo, un reato decisamente più grave, finisce in carcere. Il problema è che mio padre non solo ha la sua età, ma ha subìto tre interventi per la rimozioni di tumori, ha un’ischemia cerebrale, ha un aneurisma all’aorta. Ogni giorno deve prendere 30 medicine salvavita. Come si fa a lasciarlo dietro le sbarre?
Per la procura generale di Catania suo padre ha omesso di presentare la richiesta di una misura alternativa, l’affidamento ai servizi sociali, e quindi è scattato il provvedimento.
In realtà proprio in queste ore sta emergendo qualcosa di più complesso. Mio padre aveva già incontrato i servizi sociali, il tribunale di Catania dice di non aver mai ricevuta la sua richiesta ma il nostro difensore ci ha spiegato che è lui a non aver mai ricevuto la notifica dal Tribunale della sentenza definitiva, per cui non poteva avviare nessuna altra pratica per l’affidamento ai servizi. Adesso faremo ricorso al tribunale di sorveglianza e si vedrà. A me non interessa dire se l’ordinanza di arresto sia legalmente giusta o sbagliata: dico solo che mio padre deve rimanere a casa, tutto il resto è un aspetto secondario.
Ha già incontrato suo padre, dopo l’arresto?
No, devo attendere l’interrogatorio di garanzia che non c’è ancora stato. Oggi è il terzo giorno in carcere per mio padre, e io in cuore speravo davvero che fosse già fuori, per incompatibilità delle sue condizioni di salute con il carcere.