
Canova-Thorvaldsen, scontro fra Grazie

Articolo tratto dal numero di gennaio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Entrambi erano diventati scultori lavorando a pelo d’acqua. Antonio Canova (1757-1822), figlio di uno scalpellino, aveva imparato l’arte a Venezia nella bottega dello scultore Torretti e poi alla scuola di nudo dell’Accademia, dove con mazza, trapano e scalpello si accaniva su informi blocchi di marmo. Ha soltanto 30 anni quando realizza nel 1785 Amore e Psiche giacenti, il suo primo capolavoro: un erotismo congelato nel marmo, una sensualità casta, da cuore solitario: «Moglie spero di non prenderla», scriveva a un amico. «Se mai lo dovessi fare la prenderei di età avanzata, per poter vivere sempre quieto e dedicarmi alla mia arte, che più di tutto amo».
Bertel Thorvaldsen (1770-1844) aveva cominciato la sua attività di scultore aiutando il padre, un modesto legnaiolo danese, intagliatore di polene di navi mercantili. Dotato di notevole talento, a dodici anni era entrato nella scuola gratuita della Reale Accademia di Belle Arti di Copenaghen. Quando il danese giunge a Roma la prima volta, nel 1797, con una borsa di studio, Canova è già una star suo malgrado e vive nell’Urbe da sedici anni. Sta scolpendo le due figure di Amore e Psiche stanti in un blocco di marmo bianco come la neve; le ha levigate con pazienza e perizia, una tecnica tutta sua per rendere il modellato sensibile alla luce e leggero come seta, vibrante come la superficie dell’acqua. Sembrano vivi nella loro casta immobilità.
È un veneto di Possagno e, quando il generale Bonaparte invade le sue terre, tifa per l’Austria. Oggi – per ironia della sorte – Canova è ricordato come lo scultore per eccellenza di quel gusto neoclassico con cui si impose in tutta Europa l’immagine di Napoleone, più volte celebrata anche dallo scalpello dello scultore danese.
Canova e Thorvaldsen si conobbero? Si frequentarono? Si stimarono?

Una mostra molto coraggiosa, inedita nell’ideazione e impegnativa nella realizzazione, ha ricreato l’ambiente artistico romano di inizio Ottocento, accostando le opere dei due artisti per illustrare la nascita della scultura moderna. Aperta fino al 15 marzo alle Gallerie d’Italia di piazza Scala, sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano e curata da Stefano Grandesso e Fernando Mazzocca, la rassegna propone il confronto, mai tentato prima, tra i due grandi protagonisti della scultura neoclassica, presentando al pubblico oltre 160 opere provenienti dai principali musei del mondo. La mostra, infatti, racconta il successo che i due artisti riscossero, ancora in vita, tra i critici e i collezionisti del tempo, ma sottolinea anche il segno che seppero lasciare nella storia dell’arte, influenzando una schiera infinita di allievi, seguaci ed emulatori.
A Roma, dove Thorvaldsen soggiornò ininterrottamente fino al 1818, per ritornarvi poi allo morte di Canova, i due artisti ingaggiarono una delle più note e produttive sfide culturali dell’epoca, lavorando su identici soggetti, tratti dalla mitologia classica e regalando all’arte alcuni insuperabili capolavori come Amore e Psiche, Venere, Paride, Ebe, Le Grazie. Sono opere monumentali, che incarnano nell’immaginario collettivo i temi universali della vita, della giovinezza, della bellezza, dell’amore.
Allestite a due a due, in un confronto diretto e avvincente, rivelano affinità e differenze, soprattutto nei piccoli dettagli: Canova è l’artista rivoluzionario, capace di dare calore al marmo e alla scultura un primato sulle altre arti; Thorvaldsen, al contrario, si ispira a un’idea della classicità più austera, algida e meno sensuale, avviando la nuova stagione dell’arte nordica ispirata alle civiltà mediterranee.
Per fare un esempio, le tre Grazie di Canova (provenienti dall’Ermitage di San Pietroburgo) si abbracciano in modo voluttuoso, quelle di Thorvaldsen (provenienti dal Thorvaldsen Museum di Copenaghen), realizzate venticinque anni dopo, si sfiorano con pudica delicatezza. Queste due opere sono circondate da una coreografia di quattro figure in cui i due artisti rappresentarono il motivo della danza, un tema mai affrontato prima di allora in scultura.

Canova e Thorvaldsen seppero emanciparsi dal vincolo che la committenza poneva tradizionalmente alla scultura (a causa dei costi elevati del marmo o del bronzo) e aprirono grandi atelier, simili a complesse officine, con numerosi collaboratori e allievi. Erano laboratori-museo, dove esporre il proprio operato e i modelli in gesso da copiare.
Il passaggio del testimone
Le innovazioni tecniche introdotte da Canova e utilizzate su larga scala da Thorvaldsen (come la creazione di un modello in gesso prima della statua in marmo) permettevano allo scultore di esprimere con libertà la propria poetica, svincolato dalla committenza. Lo documenta un filmato molto interessante, che illustra come nascevano i loro capolavori e ripercorre tutte le fasi del processo creativo, dallo schizzo iniziale al bozzetto in terracotta, dalla statua in argilla fino al modello in gesso su cui venivano fissati i chiodini (repère), per trasferire nel marmo le esatte proporzioni dell’opera.
Autore del mausoleo di papa Clemente XIII Rezzonico e di papa Clemente XIV Ganganelli, Canova sta lavorando a quello di Tiziano, ma il suo animo è turbato. Piegato da un forte male allo stomaco (cronico dal 1784 per un abbassamento delle costole del lato destro, dovuto a uno smodato uso del trapano), lavora tutto il giorno «come una bestia» – annota – mentre ascolta leggere i poemi greci e latini. Gli otto tomi di Omero li ha già uditi tre volte.
Alla sua morte, papa Pio VII Chiaramonti affiderà a Thorvaldsen, un fervente protestante, l’incarico di realizzare il proprio monumento funebre (che dal 1830 si trova nella Cappella Clementina della Basilica di San Pietro), riconoscendo in lui il vero erede di Canova.
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INFORMAZIONI
Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna
Milano, Gallerie d’Italia – piazza della Scala, 6
Fino al 15 marzo 2020
A cura di Stefano Grandesso e Fernando Mazzocca
www.gallerieditalia.com
Foto: Flavio Lo Scalzo
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