
La caduta di Gerrard e il dramma del Liverpool: se la Premier appassiona fino all’ultima pagina
Era perfetto il verde di Anfield, ma non dove Steven Gerrard ha appoggiato ieri i piedi verso la fine del primo tempo. A essere sinceri, il campo c’entra fino ad un certo punto nello scivolone del capitano del Liverpool: l’errore che ha regalato la palla all’attaccante del Chelsea Demba Ba è tutto suo, e pesa come un macigno in una gara come quella contro i Blues. Perché i londinesi erano l’ultimo scoglio da superare per i Reds, e con una vittoria il titolo sarebbe diventato in pratica una formalità. La sconfitta, invece, ha riaperto drammaticamente le cose, e più dei pullman di Mourinho adesso c’è da temere le berline del Manchester City, che stanno a -3 dagli Scousers ma hanno una partita in meno. E le paure si catalizzano tutte attorno a quella caduta, l’immagine di un capitano che erano anni non correva così e invece va giù nel momento topico, consegna la palla più facile all’avversario ed è costretto a inseguirlo. Da dietro, senza raggiungerlo, impotente nel guardare la palla entrare diretta in porta.
ICONA GLOCAL. Sulla carriera incredibile di Steven Gerrard si potrebbero scrivere enciclopedie. Ma l’aspetto che rende tanto incredibile la vita umana e sportiva di Stevie G è proprio il legame con quel campo, Anfield Road. La penna di Giuseppe De Bellis lo ha battezzato l’icona del glocal, il ragazzino figlio della provincia di Liverpool che da queste terre non se n’è mai voluto andare. Questo nonostante il club negli ultimi anni abbia nuotato in acque finanziarie tutt’altro che tranquille, e dall’estero facessero la fila con offerte sempre imponenti per avere il capitano degli Scousers. Ma il suo «no, grazie» è sempre stato fermo, educato, discreto. Mai strombazzato ai quattro venti, a meno che fossero i giornali a chiederglielo. Stevie non è un colosso da copertina, uno alla Beckham, alla John Terry. La popolarità se l’è conquistata restando fedele alla maglia rossa. Si dirà che nel pallone di oggi non ci sono più bandiere, una frase fatta ma pur sempre vera. Gerrard è la prova che qualche calciatore simbolo esiste ancora, qualcuno con cui la piazza si identifichi in toto.
LA CARRIERA E L’ULTIMA STAGIONE. E fino a ieri pomeriggio avremmo detto che l’eroe buono finalmente vinceva. Pareva una favola perfetta, dove il calcio finalmente sorride a una squadra che da anni non riesce più ad emergere in Premier e incorona il suo capitano, 34enne, tanto forte quanto mai vittorioso tra le mura amiche.
Gerrard col Liverpool ha vinto una Champions (in una finale epica contro il Milan) una Coppa Uefa (che partita anche quella contro l’Alaves…), 2 FA Cup e 3 coppe di Lega. Mai il campionato. La corsa al titolo di quest’anno si stava dipingendo come il successo più gustoso, maturato in una stagione sussultante, dove ben 4 club si sono alternati in testa al campionato. A rompere l’equilibrio era stata proprio la squadra che la scorsa estate ha speso meno, e dopo un suo calo iniziale in pochi si aspettavano un suo ritorno in testa. Invece nella seconda metà della stagione, ecco le 11 vittorie di fila che hanno ribaltato la classifica. A chiudere la storia romantica, c’è l’anniversario tondo della strage di Hillsborough, 25 anni fa. E tra i 96 tifosi del Liverpool morti sulle gradinate dello stadio di Sheffield c’era anche un cugino proprio di Stevie G.
SIMBIOSI RISTABILITA? Poi però Gerrard ha tradito Anfield con quell’errore. E Anfield ha tradito Gerrard con quella zolla maledetta. È la lotteria terribile del pallone, che a volte bacia i più avari e getta nel fango i più meritevoli. Si è inceppato qualcosa? No, è stata solo una distrazione. Un sussulto da nulla, che però vanifica tutta la favola di questa stagione. Dopo l’errore nessuno ha rinfacciato nulla a Gerrard: nulla gli han detto i compagni, nulla gli ha detto lo stadio. La Kop, cuore del tifo più caldo, lo ha applaudito più di prima: la simbiosi si è ristabilita, forse ancora più sincera. Ma adesso al Liverpool rimangono 120 minuti per sperare che il Manchester City faccia qualche errore: il rischio più grande è che le due squadre arrivino a pari punti e, in tal caso, il titolo andrebbe per differenza reti (ora +8) proprio ai Citizens. E a quel punto la caduta di Gerrard sarà pesata spaventosamente. Quanto è grande il calcio, che non si inventa favole già scritte ma si nutre di storie vere e vive fino all’ultima pagina.
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1 commento
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Il mio modello è Gerrard, disse una volta un giovane Riccardo Montolivo. Rimasto purtroppo tale, verrebbe da dire adesso.
Cuore, testa, corsa e una facilità di calcio impressionante.
Mi auguro di tutto cuore che ciò che gli ha tolto la zolla di Anfield gli venga restituito, con un bel capriccio del destino, dai cugini che giocano dall’altra parte di Stanley Park.