La scorsa settimana, George W. Bush si è per due volte presentato a un pubblico di grossi nomi di Washington scherzando su di sé e sulla propria politica. Il presidente è un maestro nel volgere queste opportunità a proprio vantaggio politico, dal momento che incarna perfettamente quell’immagine pubblica, che così tanto lo ha aiutato dopo le elezioni, del ragazzone non-ideologico, accattivante e amichevole, certamente conservatore eppure “compassionevole” e comprensivo. Cosa che gli ha permesso di perseguire con risolutezza obiettivi politici conservatori senza per questo inimicarsi la maggioranza della popolazione, eccezion fatta ovviamente per i suoi critici liberal che si stupiscono di come un presidente forte solo di una maggioranza congressuale risicatissima possa così risolutamente invertire la rotta rispetto all’Amministrazione Clinton su questioni nodali quali gli affari esteri (Corea del Nord, Russia e Cina), la politica militare (limitandola alla sola difesa della sicurezza statunitense), l’ambiente, i tagli fiscali, il diritto di aborto e le riforme scolastiche. L’amministrazione Bush è convinta di poter continuare a descrivere i liberal solo come una banda di perdenti inaciditi. Ma è proprio così? William Kristol, uno dei principali intellettuali e giornalisti neoconservatori, dice di no. Recensendo un libro su Barry Goldwater, il primo candidato presidenziale Repubblicano che sfidò la maggioranza Democratica liberal dell’era post-rooseveltiana da posizioni fortemente conservatrici, Kristol ricorda che la sconfitta totale di Goldwater operata da Lyndon B. Johnson nel 1964 oscurò un fatto certo: la nazione era in realtà pronta per quel nuovo consenso che avrebbe poi reso possibile l’ascesa di un altro leader conservatore come Ronald W. Reagan, capace di ottenere quei risultati che Goldwater subodorò ma non riuscì a concretizzare. Analogamente, sostiene Kristol, i conservatori non dovrebbero oggi semplicisticamente credere che la sconfitta di Al Gore, battuto con un margine infinitamente minore di quanto accadde a Goldwater, indichi la volontà del popolo nordamericano di tornare al conservatorimo. Al contrario, questa situazione potrebbe portare alla comparsa di un nuovo leader che, appoggiato dalla maggioranza degli statunitensi, faccia quanto Gore non è stato capace di fare e ovviamente Bush, costretto com’è a celare il proprio conservatorismo dietro l’immagine del ragazzone normale e divertente, non può. Non so se Kristol abbia ragione, ma è certamente interessante leggerlo mentre descrive quella campagna elettorale in cui fu membro di un gruppo chiamato “Scienziati e ingegneri per Johnson”: «Mi attivai contro Goldwater, senza peraltro sospettare che un giorno avrei sentito l’urgenza di votare per Ronald Reagan. E non perché convinto del conservatorismo, ma perché scottato dalla vittoria dei liberal radicali su quelli moderati avvenuta nel frattempo nel Partito Democratico».
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi