Bobby Fischer, l’unico che fu capace di fermare le armate scacchistiche dell’Urss
Tra l’11 luglio e il 3 settembre 1972, a Reykiavik, Islanda, si giocò la finale del campionato del mondo di scacchi tra lo sfidante venuto da Chicago Robert James Fischer, meglio noto come “Bobby”, e il campione in carica, il russo nato a Leningrado Boris Spasskij. La partita, vinta dallo statunitense, passò alla storia con l’appellativo di «incontro del secolo». Fischer fu il primo nonché l’unico scacchista non appartenente all’Unione Sovietica a vincere il titolo negli anni tra il 1948 e il 1991. Il titolo, poi, nel 1975, fece ritorno in Russia, dove rimase fino al 2000, ben oltre il crollo dell’Urss, dunque. Quell’anno fu vinto da un indiano, Viswanathan Anand, attuale campione del mondo in carica. Oggi, sabato 9 marzo 2013, cade il 70esimo anniversario dalla nascita di Bobby Fischer, scomparso nella “sua” Reykiavik il 17 gennaio 2008. Tempi.it ha voluto ricordarlo insieme a Michele Cordara, presidente della Società scacchistica torinese, maestro e organizzatore egli stesso di competizioni ed eventi, tra i quali il campionato italiano giovanile under 16 che si terrà quest’anno ai primi di luglio a Courmayeur, in Val d’Aosta.
Cordara, che ricordo conserva di quell’estate del ’72?
Avevo sedici anni ma ricordo che scrissero dell’incontro praticamente su tutti i giornali e ricordo anche che si giocava a scacchi dappertutto, persino in spiaggia. Forse, ma solo in parte, fu per via dell’idealizzazione che del gioco degli scacchi si fece durante la guerra fredda.
Lei sapeva già giocare?
Sì, sapevo giocare e mi piaceva, ma fu proprio in quei giorni che decisi di iscrivermi alla Società scacchistica torinese: un po’ per spirito di emulazione, forse. Da adolescente subii il fascino del giocatore che vince e decisi di diventare anch’io uno scacchista. In pochi anni, la Società passò dall’avere un centinaio di iscritti a più di cinquecento; e la stessa cosa successe un po’ in tutta Italia.
Cos’è stato Bobby Fischer per il gioco degli scacchi?
Senza dubbio uno spartiacque nel ‘900, a suo modo un precursore del gioco moderno. Il modo di giocare di Fischer, infatti, era più dinamico degli altri, che si conformavano allo stile statico e un po’ ingessato della scuola sovietica, che metteva al primo posto sempre e comunque l’ortodossia della posizione. Lui, invece, oltre all’importanza della posizione, sosteneva anche che un pezzo più dinamico è un pezzo più forte, magari meno sicuro, ma capace di indurre l’avversario in errore. Fischer, oltretutto, seppe rivalutare anche vecchie varianti attualizzandole. E poi, va detto, fu il primo e l’ultimo a sconfiggere i sovietici.
E quella partita come andò?
Fischer la vinse per 12,5 a 8,5. Ma la cosa che pochi ricordano è che lo sfidante, non solo sconfisse Spaasskij, che era il campione in carica, ma arrivò anche a giocare per il titolo dopo una lunga marcia trionfale alle qualificazioni, dove sconfisse Taimanov (6-0), Larsen (6-0) e Petrosian (6,5-2,5), ex campione del mondo prima di Spaasskij.
Perché Fischer, dopo il «match del secolo», sostanzialmente smise di giocare, rinunciando persino a difendere il titolo di campione, che perse nel 1975?
Di illazioni se ne sono dette molte, anche perché, se solo Fischer avesse voluto continuare a giocare, c’erano sponsor pronti a coprirlo di soldi; personalmente, però, credo che lui abbia preferito lasciare perché aveva raggiunto la sua meta, quella di diventare campione del mondo, appunto, e non aveva più motivazioni adeguate per competere. Certo è stato uno shock, un po’ come è successo, nel mondo della musica, con Mina.
Oggi in Italia si gioca ancora a scacchi? Dove e a che età?
Ai miei tempi il primo contatto con gli scacchi avveniva negli anni del liceo; ora, a quell’età, tanti smettono già di giocare, anche perché il contatto è molto precoce, avviene in età scolastica. D’altronde, basta vedere la carta d’identità di Fabiano Caruana, classe 1992 e Gran Maestro a soli quattordici anni, per capire quanto presto bisogna cominciare se si vuole giocare a buoni livelli. Quanto alla diffusione, in Italia, è un po’ a macchia di leopardo: alcune città importanti per gli scacchi, per esempio, sono Milano, Torino, ma anche Palermo, Barletta e Frascati.
Ai giovani piacciono ancora gli scacchi?
Le faccio solo un esempio: quando abbiamo giocato le finali degli ultimi campionati individuali under 16 c’erano almeno 800 ragazzi e ai campionati studenteschi anche più di mille. Il movimento degli scacchi nelle scuole, infatti, è enormemente diffuso, non in maniera omogenea, forse, ma molto diffuso.
Dove si possono seguire gli eventi sportivi?
Oltre che sul posto, di solito su internet, grazie a collegamenti via web predisposti in occasione di campionati e tornei. E il bello è che si possono seguire partite che, per esempio, si stanno giocando in Cina.
Giocare su internet è diverso?
È diverso, perché non hai l’avversario davanti a te, pronto a metterti sotto pressione psicologicamente. E anche la bidimensionalità dello schermo altera la tradizionale tridimensionalità del gioco. Quando dobbiamo riabituare un atleta che ha giocato tanto su internet, non è semplice nemmeno fargli recuperare la manualità. Per non parlare poi della questione psicologica.
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