
Bisogna sempre saper accettare le critiche, soprattutto quando sono autoprodotte
“La critica è in sé stessa un’arte“, diceva Oscar Wilde. Il critico però, a dirla tutta, è un mestiere un po’ infame. Giudicare un film, un quadro, uno spettacolo teatrale, un disco non è per niente facile, del resto non sono pochi quelli che spesso bocciano a priori: «Critica perché non saprebbe fare di meglio», sulla falsariga di quello che si dice da anni dei docenti che: «Insegnano perché non sono capaci». Poi ci sono le competenze, quelle non sono in discussione: gli studi e i maestri giusti, l’esperienza, centinaia e centinaia di dischi ascoltati e libri letti, assieme a estenuanti seminari il sabato e la domenica pomeriggio. Un bagaglio culturale impressionante che consente al critico di potersi esprimere con cognizione di causa, con i termini tecnici precisi e misurando adeguatamente la pura analisi, il gusto personale e un pizzico d’inconfessabile “invidia”.
Ma cosa succede quando a giudicare un’opera ci si mette l’autore stesso? Uno scrittore che decide – ironicamente ma non troppo – di criticare una sua produzione e, cosa peggiore, l’ultima. La curiosa operazione è partita in Italia sul sito Satisficition.com che si occupa in particolare di letteratura. Il sito ha inaugurato da poco la sezione “Scrittori stroncati da scrittori (se medesimi)” e il primo a sottoporsi a questa curiosa tortura è stato Antonio Scurati. Non certo uno qualunque ma un docente universitario e autore del romanzo Il sopravvissuto, con cui nel 2005 ha conquistato l’ambito Premio Campiello. Senza timidezza e senza paura Scurati si lancia nella stroncatura del suo ultimo lavoro La seconda mezzanotte: “È magnifico, ma questa non è guerra!”, si racconta che abbia protestato il maresciallo di Francia Pierre Bosquet dopo aver assistito dall’alto di un colle alla sublime, futile e suicida carica di cavalleria della Brigata Leggera contro l’artiglieria da campo schierata dai russi ad attenderla nella piana di Balaklava il 25 ottobre del 1854. “E’ orribile, ma questa è letteratura!”, sembra voler proclamare al mondo (ma è dubbio che qualcuno lo stia ad ascoltare) Antonio Scurati con La seconda mezzanotte, il suo ultimo pretenzioso e programmaticamente ributtante romanzo (in ciò indubbiamente riuscito).
Pretenzioso e programmaticamente ributtante romanzo: parole che nemmeno Vittorio Sgarbi avrebbe utilizzato con tanta leggerezza. E leggendo il resto non è le le cose vadano meglio: Ma di cosa avrà mai fame un romanzo come questo, e tanti altri simili a lui, tutti scritti da autori con la pancia piena? Si direbbe che abbia fame di “realtà”. Purtroppo, però, la va a cercare in una iperfinzione che per darci prova della sua autenticità sprofonda sempre più nei toni crudi della vita, nel sangue, nello sperma, rimesta nel torbido, nell’abietto, in un’orrida rappresentazione del mondo che per farci credere di essere il mondo ce ne getta in faccia il cadavere, che per provarci di essere viva, di essere “vita”, ci esibisce continuamente certificati di morte, sostituendo l’osceno al tragico. La peggior televisione, insomma.
Non c’è pietà per La seconda mezzanotte, nemmeno da parte del suo creatore. A chi verrebbe mai in mente di comprarlo dopo questa recensione? Il pensiero però corre veloce alla casa editrice, in questo caso la Bompiani. Possibile che abbia autorizzato un autogol così clamoroso senza battere ciglio? Probabilmente sì, perché attraverso questo modo originale di parlare di libri si riporta la letteratura in primo piano, denigrandola forse le si conferisce nuovamente la dignità che perde troppo spesso. Del resto, come enunciano gli autori del sito, l’intenzione di queste stroncature è «di trovare nuovi spunti per un dialogo non solo letterario ma civile attraverso l’autoriflessione e l’autocritica». Dopo Scurati con le recensioni cattivissime contro se stessi si misureranno anche il giallista Joe Landsale ed Edoardo Nesi, premio Strega nel 2010 (con un romanzo edito ancora da Bompiani). Non sarebbe una cattiva idea se anche qualche regista prendesse esempio e urlasse ai suoi spettatori: «Vi prego, non guardate il mio film!».
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