Tentar (un giudizio) non nuoce

Biden o Trump? Questo è il problema

Di Raffaele Cattaneo
01 Giugno 2024
Impressioni da un viaggio recente negli Stati Uniti. Chi vincerà? Difficile dirlo. Si ha la sensazione che entrambi gli schieramenti preferirebbero altri candidati, ma nessuno ha avuto la forza di imporsi
Joe Biden e Donald Trump (Ansa)
Joe Biden e Donald Trump (Ansa)

La scorsa settimana ho avuto l’opportunità di visitare gli Stati Uniti con una missione Istituzionale di Regione Lombardia, che si è svolta in tre tappe: Washington, Chicago e Indianapolis. Dove vanno gli Usa? Cosa sta davvero accadendo nel cuore di questo grande Paese? Voglio condividere con voi alcune impressioni tratte da questo viaggio.

Innanzitutto, non so chi vincerà tra Trump e Biden! Mai come questa volta le elezioni per il futuro presidente degli Stati Uniti sono davvero incerte. Se otto anni fa, in occasione di un analogo viaggio, ero tornato con la convinzione che Trump avrebbe potuto davvero vincere le elezioni, come poi è avvenuto, questa volta non saprei su chi scommettere. La situazione è davvero molto complicata, non solo perché i sondaggi danno i due candidati a una incollatura, ma perché dalle testimonianze che ho raccolto si percepisce una reale disagio e incertezza.

Economia e scenario internazionale

Da un lato, c’è la consapevolezza di uno scontro tra due candidati non ritenuti ottimali dalla grande maggioranza. Si ha la sensazione che entrambi gli schieramenti, se sostituissero Trump o Biden con candidati più giovani e più attrattivi, potrebbero sbaragliare il campo, ma nessuno pare abbia la forza o le condizioni per cambiare.

D’altro canto, non si capisce davvero quale sia l’umore dell’America più profonda: combattuta tra una ripresa economica incerta e uno scenario internazionale complesso e indesiderato. La prima, di cui si intravvedono i primi segni, dovrebbe favorire Biden, ma non è ancora convincente, perché i tassi d’interesse restano alti, come l’aumento dei prezzi di beni simbolo a cominciare dagli hamburger, impatta sul bilancio di tutte le famiglie, ecc; il secondo, è uno scenario internazionale che chiede nuovamente agli Stati Uniti un ruolo di leadership globale e quindi una capacità di intervento anche militare. Intervento che nessuno dei due contendenti desidera veramente, benché ne ravveda necessità, per la volontà di dare priorità alle esigenze interne e per i timori e i fantasmi di guerre passate, dalla Corea, al Vietnam, all’Iraq, all’Afghanistan, che l’opinione pubblica americana non ha mai del tutto digerito.

Se proprio dovessi scommettere un dollaro, non di più, stavolta lo punterei su Biden: Trump ha quattro processi in corso che ne limitano la campagna elettorale e sta raccogliendo meno fondi. Mi è parso che le grandi corporation cerchino stabilità e la vedano più nella continuità con Biden che nel ritorno a Trump.

Repubblicani e democratici

Sullo sfondo, comunque, si vede la competizione tra due linee politiche differenti. Sullo sfondo, comunque, si vede la competizione tra due linee politiche differenti. Una divisione che si vede soprattutto sui temi etici, con la contrapposizione tra pro-life (repubblicani, antiaborto) e pro-choice (democratici per la libertà di scelta della donna). Tra MAGA (make America Green again), difesa dei valori tradizionali, e cultura woke (tutto ciò che possiamo identificare come il relativismo etico progressista).

Quella che confida di più nella società e nella libera organizzazione dal basso dell’economia e delle risposte ai bisogni collettivi, cioè la posizione del Partito repubblicano, riassunta dalle proposte dell’America for Tax Reform di Grover Nordquist, che in sintesi, nell’incontro che abbiamo avuto, ci ha detto: la chiave è una drastica riduzione della pressione fiscale; la sua ricetta è “lasciateci in pace, togliete le mani dalle nostre tasche” perché la prosperità passa dall’autorganizzazione del mercato e della società e gli elettori “votano con i piedi”, spostandosi dove si pagano meno tasse.

L’altra linea politica, cui dà voce il Partito democratico, percepisce invece come necessario un maggior intervento pubblico per correggere le disparità crescenti, rese visibili dalla quantità di homeless che popolano le strade delle grandi città, e l’assenza di un sistema di welfare generalista e gratuito, per cui, ad esempio, chi non ha una buona assicurazione privata continua a non aver accesso a cure sanitarie adeguate.

Chi ha ragione? A me sembra un po’ tutti e due: benché mi senta più vicino alle idee e alla sensibilità dei repubblicani, capisco le ragioni di molte proposte dei democratici, a cominciare dal potenziamento di Medicare e Medicaid, i programmi statali per garantire assistenza sanitaria ai meno abbienti. Forse anche gli Stati Uniti, come l’Europa, avrebbero politicamente bisogno di meno polarizzazione e più centro moderato.

Cina, e poi tutto il resto

Infine, conta lo scenario globale, che sta spostando fortemente l’interesse degli Stati Uniti dall’Atlantico verso l’Indo-Pacifico, per contrastare il competitor principale che è senza ombra di dubbio la Cina. La Russia è considerata un problema, ma non mi pare sia più ritenuta il principale pericolo strategico.

Sul rapporto con la Cina nei palazzi di Washington mi è parso si scontrino due teorie diverse. C’è chi sostiene che è necessario dare segnali di forza, anche militare, per evitare che la Cina manifesti la propria assertività con azioni violente, come nel caso di Taiwan, e c’è invece chi ritiene si debba mantenere un legame diplomatico forte e costruire le condizioni per una collaborazione economica nell’interesse globale. Probabilmente entrambi le posizioni hanno elementi di verità, ma concordano sul fatto che la Cina sia oggi il grande competitor.

Certamente, in questo contesto, situazioni particolari come la guerra in Ucraina o la crisi tra Israele e Palestina possono rappresentare detonatori potenziali di nuove crisi globali che nessuno vuole ma che forse nessuno potrebbe essere in condizioni di evitare.

Italia e Lombardia

Emerge in ogni caso con chiarezza che gli Stati Uniti rimangono un grande partner economico, interessato, oggi più di ieri, ad avere rapporti con Paesi amici che ne condividano i valori e che possono garantire affidabilità nelle forniture, negli accordi, nelle azioni imprenditoriali. Questo vale anche per noi; certamente l’Europa e l’Italia non possono fare a meno di una relazione positiva con gli Stati Uniti, il partner commerciale più importante (l’interscambio con la sola Lombardia vale circa 20 miliardi di dollari anno) e l’unico che può permetterci di sviluppare collaborazioni nei settori decisivi per il futuro in un clima di alleanza e non di avversità.

La “Air and Space Economy”, l’Artificial Intelligence con le sue prospettive ancora indeterminate, la transizione energetica e digitale specialmente nell’automotive, la necessità di disporre di semiconduttori e microchip per poter realizzare queste innovazioni, così come di energia a condizioni di costo non esorbitante sono i temi su cui si gioca questa collaborazione strategica. Mi ha fatto piacere constare come l’Italia e la Lombardia siano ritenute, in questo scenario, partner rilevanti, più che per la propria dimensione, oggettivamente poco influente, per la creatività, la qualità, la capacità di risolvere problemi con flessibilità, l’intelligenza operativa dei tanti nostri imprenditori, docenti e professionisti che operano in quel contesto.

Questo, in conclusione, è l’aspetto più positivo che ho potuto riscontrare. Dove c’è un italiano c’è un valore aggiunto di qualità, creatività, intelligenza, che gli americani da soli faticano a trovare. Questa rimane una formidabile leva strategica per il nostro Paese e in particolare per la Lombardia, che la nostra missione ha posto le basi per poter ulteriormente valorizzare nell’interesse reciproco.

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