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Benigni, il furbetto che sfrutta l’ignoranza della gente

L'operazione del comico a Sanremo è stata subdola e scorretta verso il testo, i cattolici e gli ebrei. Chi deve, parli

Ignazio La China
09/02/2020 - 16:49
Società
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Pubblichiamo la lettera inviata da don Ignazio La China, Direttore dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della Diocesi di Noto, a Vittorio Robiati Bendaud, che l’8 febbraio ha rilasciato a tempi.it un’intervista sulla performance di Roberto benigni al Festival di Sanremo («Benigni ha ridotto il Cantico a un poemetto erotico»).

Caro Vittorio, caro amico, come tu hai ben rilevato, l’operazione fatta da Benigni, nel presentare il Cantico dei Cantici a Sanremo, è una azione da rigettare con tutte le forze. E, ovviamente, non per quello che potrebbe sembrare a prima vista, cioè lo scandalo di aver citato scene a forte connotazione erotica: queste ci sono ed è innegabile e, diciamolo subito, né la tradizione ebraica né la susseguente tradizione cristiana ha mai cercato di negarlo o di nasconderlo, come il nostro furbetto insinua (altrimenti non avremmo avuto una santa Teresa d’Avila o un San Giovanni della Croce, se la Chiesa avesse censurato la cantica biblica per eccellenza!). 

Solo chi non conosce la Bibbia si sarà meravigliato di questo: perché ci sono altri passi in cui il linguaggio dell’autore è altrettanto “spudorato” per franchezza e plasticità di immagini. Si veda ad esempio il rimprovero che Dio fa al suo popolo tramite il profeta Ezechiele quando rimprovera Israele, immaginata come una promessa sposa infedele, che rimpiange i maschi di Egitto perché hanno il loro membro come quello degli asini e montano con la foga degli stalloni (Ez 23,20). Ma è qui il punto: che la lettura del rapporto tra Dio e il suo popolo come un rapporto tra sposo e sposa è già insita nella Bibbia a partire da tutta la tradizione profetica (si veda Ez 16 ma anche Isaia, Geremia,Osea e tanti altri) e non è una operazione di rivestimento censorio operato dopo dai rabbini o dai preti in un secondo momento! 

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È proprio per questa dimensione simbolica che rabbi Akiba nel primo secolo dimostrò che il Cantico ha un posto, e preminente, nella sacra Scrittura. E la valenza simbolica sta proprio nel suo essere anzitutto il richiamo ad una esperienza reale, vera, e qui aggiungo, umana. Lo dice anche a chiare lettere il protestante Bonhoeffer. D’altronde non potrebbe essere altrimenti per una esperienza, quella dell’amore sponsale di coppia tra marito e moglie, anche e proprio nella sua dimensione carnale («e i due saranno una carne una») che Dio ha benedetto fin dalla creazione e a cui la Chiesa lungi dal censurare riconosce talmente un valore sacramentale (cioè simbolico) da dichiarare nulle quelle nozze dove non c’è stata consumazione sessuale!

E immaginate: la Chiesa ha così censurato il Cantico da farlo proclamare come prima lettura nel rito del matrimonio e la Sinagoga ha così censurato il Cantico da farlo leggere nel giorno di Pasqua! E sarebbe ora di dire che il cristianesimo non ha paura della carne, anzi: la amiamo talmente da credere che il Dio si sia incarnato e da proclamare la resurrezione della carne e non la sola immortalità dell’anima! Chi pensa alle belle anime e non ai corpi non è cristiano, è gnostico: che lo si sappia.

Ecco perché l’operazione di Benigni è subdola (e ha fatto bene Diego Fusaro a rilevarlo): perché ha voluto insinuare che la Chiesa è la solita oscurantista di sempre, che nega la bellezza dell’amore sponsale. E il nostro comico lo ha fatto fra l’altro suggerendo di stare leggendo da un testo che non sarebbe quello contenuto nelle edizioni ufficiali! Ma sarei curioso di sapere a quale ur-redaktion, redazione originale primitiva extrabiblica lui si riferisca, quando il testo (masoretico ebraico, traduzione greca dei LXX, Vulgata latina) è disponibile in tutte le librerie! E di grazia, converrete che il proclamare in chiesa o in sinagoga traduzioni poetiche e non letterali (evitando di parlare dall’ambone di peni, testicoli e monti di venere) è solo questione di estetica e di buon gusto e non certo operazione censoria!

Ma per me, lo scandalo più grave è ancora un altro: che pur di addossare tutte le colpe alla Chiesa Benigni ha strappato il Cantico al suo legittimo proprietario che è Israele, e vi dico il perché. Perché è lui, sì lui, che ha invece censurato il testo: perché l’invito della bella Sulamita ad aiutarla a cercare lo sposo non è rivolto genericamente a “figlie”, ma l’invito è rivolto alla “figlie di Gerusalemme”, cosa che lui ha deliberatamente omesso tutte le volte che ha citato il testo. E in questa omissione sta il peccato più grave: decontestualizzando il Cantico dal popolo che lo ha espresso (ma d’altronde, dicendo che leggeva da un testo extra biblico più antico, lo aveva già strappato dalla Bibbia), ha reso così un canto, espressione della più alta spiritualità biblica (e quindi espressione della fede secondo la tradizione ebraica prima e cristiana dopo), un inno generico all’amore che, con un po’ di impegno un bravo poeta avrebbe potuto fare: ridotto così cosa c’è di diverso tra una poesia di Baudelaire o una di Garcia Lorca dal Cantico?

Ma siamo in fondo al vero punto in questione: l’operazione più subdola ancora, quella di insinuare che il cantico inneggia all’amore, ad ogni tipo di amore (sponsale, efebico, saffico). Comprendetemi: non si tratta in questa sede di dare un giudizio morale su cui qui non voglio entrare, ma anzitutto di rilevare una scorrettezza di metodo, esegetica. Benigni doveva qui dire, necessariamente che il Cantico dei cantici narra la storia di un fidanzato e di una fidanzata innamorati: per onestà, come per onestà io debbo dire che dal balcone di Verona si affacciava una Giulietta che spasimava per il suo Romeo (e non posso parlare di due Giuliette o di due Romeo). Punto. 

Che se poi voleva cogliere l’occasione per parlare l’amore omoerotico tra maschi (non mi risultano seguaci della poetessa di Lesbo nella Bibbia) poteva citare la storia di Davide e Gionata (perché nella Bibbia c’è pure questo e nessuno ha mai avuto timore di ammetterlo) ma non il Cantico. E ripeto, qui la morale non c’entra (né tanto meno, per favore, si tirino in ballo omofobia e simili), ma solo il dato oggettivo di quello che è il racconto, la trama del Cantico dei cantici.

Certo, Benigni fa furbescamente il suo mestiere e strizza l’occhio ai suoi ascoltatori, ma quello che mi preoccupa è come sia facile abbindolare le persone sfruttando la loro ignoranza e giocando sui sentimenti e oscurando l’intelligenza (ma come anche facilmente la gente si lascia abbindolare). Questo è pericoloso. Non solo per la fede. Ma anche per la democrazia e il dialogo che si basano sul rispetto della persona e l’onesta intellettuale per rigettare con forza ogni tipo di manipolazione. Per questo temo questi applausi a scena aperta, ma anche il silenzio di chi dovrebbe parlare eppure tace, atei o cristiani o ebrei che siano.

Foto Ansa

Tags: roberto benigni
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