Beneficenza d’affari

Si sente molto parlare nella comunità italo-americana delle nuovi leggi italiane rivolte a sviluppare le associazioni di promozione sociale, o come le chiamiamo qua, i non-profit business

Si sente molto parlare nella comunità italo-americana delle nuovi leggi italiane rivolte a sviluppare le associazioni di promozione sociale, o come le chiamiamo qua, i non-profit business. Prestate particolare attenzione a quest’ultima parola: business. Associazioni private, collettive, scuole, ospedali, librerie, pompieri, musei persino polizia, ogni giorno siamo martellati da richieste di offerte a scopo benefico. Ma a chi donare? La logica dice a chi ne ha più bisogno. Ci ritroviamo sempre a donare alle cause che ci danno più esposizione pubblicitaria possibile, anche se di salvare la balene ci interessa relativamente poco e le foreste vergini dell’Amazzonia sono sacre fino al giorno che finisce la legna per il forno della pizza. Anche se le leggi fiscali permettono di dedurre un’alta percentuale del valore delle donation, il costo principale è sempre il servizio ed il tempo, e questo non si deduce. Sembra illogico perché ho venduto all’asta una cena per 8 persone a favore dell’Association for Ritarded Citizens (Arc) per 3.800 dollari. Il compratore può dedurre tutto, io invece solo i costi fisici della cena, non il mio lavoro. Chissà se Andy Warhol ha mai donato quadri in beneficenza per dedurne il costo della tempera e della tela dalle tasse. L’Arc ci dà un’ottima presentazione pubblica organizzando un evento che mette insieme tutti i migliori ristoranti di San Francisco sotto una tenda, ed ecco perché 600 persone pagano un minimo di 500 dollari (naturalmente tax deductible) per entrare e perché noi assorbiamo il costo elevatissimo di partecipare a party di questo livello. Anche la beneficenza è diventata un business.

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