Banche venete. Travolti dal solito destino?
[cham_inread]
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «La messa in liquidazione delle due banche venete non era l’unica soluzione possibile». Giancarlo Giorgetti, vicesegretario nazionale della Lega e mente finanziaria del partito di cui è voce autorevole e ascoltata anche ai vertici, è convinto che ci potevano essere altre strade per salvare Popolare di Vicenza e Veneto Banca, se solo il governo Gentiloni avesse scelto di negoziare in sede europea la natura dell’intervento finanziario necessario a sostenere la fusione tra gli istituti di credito. In ogni caso, a Giorgetti, e non solo a lui, non va giù che il decreto sia arrivato in Parlamento blindato dal voto di fiducia, cosa che ha impedito ai deputati di apportare qualsiasi modifica alla Camera. E ora che il testo passa al Senato, anche se i margini appaiono ristretti, la Lega è pronta a presentare alcune mozioni per evitare sperequazioni sui rimborsi agli obbligazionisti subordinati e agli azionisti.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]In questa intervista a Tempi, Giorgetti, noto per una certa ritrosia a comparire sui media, non si sottrae a una riflessione a tutto tondo sulla vicenda delle banche venete che ha fatto emergere un sistema di potere che, perdendo la bussola, ha portato gli istituti di credito sull’orlo del crac, si è trascinato dietro centinaia di migliaia di risparmiatori in buona fede e ha gettato un’ombra sull’intera rete dei rapporti che per anni ha sostenuto quel sistema, politica e vigilanza comprese. Il risultato di questo cortocircuito è che la “locomotiva d’Italia” perde i suoi punti di riferimento per l’accesso al credito e si ritroverà di fronte a nuove dinamiche e a nuovi canali attraverso le filiali di una grande banca come Intesa Sanpaolo. Una nuova epoca si apre per il tessuto economico e sociale di una regione in cui la Lega è da tempo ormai forza politica predominante.
Il Veneto sembra piuttosto provato da tutta questa vicenda. Come risponde la Lega alle critiche di chi pensa che non abbia fatto abbastanza per evitare che la situazione precipitasse, o peggio, che sia stata in qualche misura compartecipe di un sistema fuori controllo?
Se si riferisce ai Cinque Stelle, le loro sono accuse ridicole. Quello governato da personaggi come Zonin era un sistema di potere finanziario fortemente autoreferenziale, arroccato. Un sistema che, anzi, talvolta si rapportava ai rappresentanti della Lega addirittura con la puzza sotto al naso.
Qualcuno ha anche notato l’assenza della voce del governatore Luca Zaia in tutto il percorso che poi ha portato alla scelta della messa in liquidazione delle due banche.
Zaia ha un ruolo istituzionale e ha atteso con rispetto che si concludessero i negoziati con Bruxelles. D’altronde, neanche un mese fa erano state date a lui e ad altri rassicurazioni sulla percorribilità dell’altra soluzione, quella che puntava all’integrazione tra Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Mancavano 1,2 miliardi di euro di risorse “private” per consentire questo percorso. Ebbene, questi fondi potevano essere messi a disposizione dal Fondo interbancario per la tutela dei depositi.
Ma sarebbero stati considerati soldi pubblici da Bruxelles… è così?
Questo è il punto: il governo avrebbe potuto negoziare con l’Europa la natura di questo intervento, attribuendogli una connotazione di tipo privatistico. Invece ha preferito negoziare l’utilizzo di 20 miliardi di aiuti “in deroga”, che vanno ad aumentare il debito dello Stato, per operazioni sul sistema del credito in generale. In questo modo ha fatto una scelta ben precisa. Tutto il resto è stata una conseguenza.
Evidentemente, il governo teme altre crisi come quelle venete.
Evidentemente. E mi domando come sia possibile che dopo tre anni di gestione di crisi bancarie, compreso l’intervento del fondo Atlante, siamo arrivati a questo punto. Ci avevano fatto intravedere una prospettiva di uscita dalla crisi del credito che, invece, non esiste. Le soluzioni adottate sono di tutt’altro tenore.
Messa in liquidazione e scorporo delle sofferenze. Poi suddivisione tra asset buoni e cattivi e l’arrivo di una grande banca. In più l’avvio di una gigantesca operazione di recupero crediti. Come impatterà tutto questo su una regione come il Veneto?
Bisognerà intervenire per contenere il disagio sociale. Questo è anche il senso delle mozioni che ci apprestiamo a presentare in Senato, vorremmo evitare il più possibile discriminazioni tra risparmiatori, con la massima tutela di chi si è mosso senza intenti speculativi. Ma bisognerà vigilare anche su tutto quello che verrà dopo. L’economia del Veneto è vitale per l’Italia e non ci si può permettere che perda la sua forza propulsiva e trascinatrice del paese.
Per il momento, i due maggiori istituti di credito stanno per scomparire e al loro posto arriva una grande banca. Come cambierà questo i rapporti di forza all’interno della regione?
Banca Intesa si è impegnata in un processo di continuità, vedremo se sarà così. Speriamo. Ma è evidente che una grande banca ragiona in modo diverso e non sarà più la stessa cosa. Si allontanano i centri decisionali, restano casse rurali e Bcc. Cambieranno tutte le dinamiche economiche in una regione che è seconda per prodotto interno lordo in Italia.
Con le regole di Basilea il modello delle banche dei territori viene messo in discussione. Lei che ne pensa?
Al netto di irregolarità e scorrettezze nella governance, questo modello è ancora valido. E poi il processo di integrazione con l’Europa non può andare avanti a colpi di machete, cioè sacrificando quello che di buono è stato costruito sui territori.
Ciò che accade in Veneto oggi è stato già sperimentato dal Mezzogiorno negli ultimi vent’anni dopo il tracollo e la vendita del Banco di Napoli. E le cose non sono andate granché bene da quelle parti.
In Veneto ci sono antidoti per reagire.
A quei tempi fu proprio la Lega a sollecitare la fine dell’intervento straordinario nel Sud “assistito”. Questo spinse l’intero territorio e la sua banca nel baratro…
Quello che è accaduto nel Sud, e non solo, è che non c’è stata la capacità di sostituire l’intervento pubblico nell’economia con la spesa dei fondi europei da parte delle Regioni. Del resto, eravamo alle soglie dell’ingresso in Europa e forme di aiuti di Stato in aree depresse non erano più consentite.
Cosa si aspetta dall’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche?
Che si faccia luce sulle responsabilità anche della vigilanza, in particolare sul passaggio di questa funzione dalla Banca d’Italia alla Bce. Spero solo che questa commissione, che nasce anche in ritardo perché trascinata nel tempo dal Pd, non abbia durata limitata alla fine della legislatura che è tra sei mesi. Bisognerebbe impegnarsi a riproporne la costituzione subito dopo la nascita di un nuovo governo. Qui c’è un tema di risparmio tradito e una ferita sociale profonda, sono temi su cui occorre riflettere per ritrovare la fiducia dei cittadini.
Foto Ansa
[cham_piede]
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!