«Non si può mandare in malora i sacrifici di un anno, che sono ricaduti spesso sulla fasce più fragili. Ciò che lascia sbigottiti è l’irresponsabilià di quanti pensano a sistemarsi mentre la casa sta ancora bruciando». In un’intervista a Gian Guido Vecchi pubblicata oggi sul Corriere della Sera, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, interviene sulla situazione politica italiana dopo l’annuncio delle dimissioni del premier Mario Monti.
«La preoccupazione più grande – dice Bagnasco – è la tenuta del nostro Paese e quindi la coesione sociale». Ciò che sta accadendo in questi giorni è la riprova di «una crisi che non è solo economica e sociale ma culturale e morale. Per troppo tempo i partiti sono stati incapaci di pervenire a decisioni difficili e a parlare il linguaggio della franchezza e non quello della facile demagogia».
La decisione di Monti «era forse inevitabile» anche se «la chiusura anticipata della legislatura è sempre un segnale negativo per la politica e un Paese. Ma i grandi sacrifici che sono stati richiesti hanno il diritto di vedere frutti concreti, oltre ad avere permesso di non cadere nel baratro del fallimento del sistema-Paese. Inoltre è saggio tenere in seria considerazione l’autorevolezza che l’Italia ha acquisito in campo europeo e internazionale».
Ipotizzando un prossimo scenario politico, il cardinale dice che «sarebbe un errore in futuro non avvalersi di chi ha contribuito in modo rigoroso e competente alla credibilità del nostro Paese in campo europeo e internazionale evitando di scivolare verso situazioni irreparabili».
Il presidente della Cei insiste su due prospettive: i giovani e la famiglia. «Sono profondamente persuaso che i giovani siano in grado di dare una spinta decisiva al cambio di passo richiesto in questa fase. La famiglia (…) è l’unico ammortizzatore umano e sociale garantito pressoché a tutti».
Sull’impegno dei cattolici, Bagnasco afferma che «il fermento nelle file del laicato cattolico per un impegno a favore di una buona politica ha registrato in questi mesi una significativa accelerazione». Per il cardinale «pensare alla transizione del nostro Paese a prescindere dalle sue radici cristiane appare un’operazione antistorica, puntualmente contraddetta dall’esperienza di tanti che sperimentano la prossimità dei servizi sociali della Chiesa, sparsi capillarmente ovunque».