Hanno tra i 14 e i 21 anni, e improvvisamente si ritrovano tra le mani un test di gravidanza positivo. Sono le babymamme, adolescenti che diventano genitori prima di aver finito il ciclo scolastico. Ad aiutarle, a Milano, c’è il progetto “Babymamme” della Fondazione ambrosiana per la vita Onlus, che gestisce due sportelli di aiuto in zona Lorenteggio e in zona Quarto Oggiaro.
A raccontare a tempi.it i timori e la forza di queste ragazzine è Laura Boati, coordinatrice del progetto: «Ci si può rivolgere a noi in qualsiasi momento della gravidanza, oppure nel post nascita, non c’è una regola fissa. La maggior parte delle babymamme arriva da noi al quarto mese di gravidanza, quando ha superato la fase di dubbi iniziali, ed è riuscita a rispondere alle sue domande interiori sul portare avanti la gestazione o interromperla».
CRESCERE IN SOLITUDINE. Il progetto “Babymamme” è nato nel 2011, grazie alla Fondazione Cariplo, insieme con l’Università Bicocca e l’Ospedale San Paolo. Nel 2014 è poi passata sotto l’egida della Regione Lombardia, grazie alla legge 23 che regolava i servizi sociosanitari. Dal 2015 il progetto si regge sulle risorse stesse della Fondazione: «All’Ospedale San Paolo è stato aperto il progetto Saga (servizio di accompagnamento alla genitorialità in adolescenza), mentre noi ci siamo concentrate nelle periferie: a Quarto Oggiaro abbiamo aperto il progetto Agorà, a Lorenteggio il Girotondo».
La maggior parte delle ragazze che si rivolgono ai due centri sono di origine straniera, anche se c’è una piccola percentuale di italiane: «Tra loro hanno tutte dei punti in comune. Il più delle volte hanno vissuto traumi emotivi, pur nella loro giovane età, addirittura alcune sono state vittime di abusi, di violenze fisiche e psicologiche. Conquistare la loro fiducia in questi casi è davvero importante». Sono ragazze che hanno famiglie disgregate alle spalle e una rete amicale ridotta all’osso: «Vivono l’esperienza della gravidanza in solitudine, perché non sono state in grado di costruire un tessuto di amicizie, utili a supportarle. Quando organizziamo gli incontri per spiegare i cambiamenti del corpo in gravidanza o come rapportarsi con il nascituro, vediamo che fanno fatica a socializzare. Anche se si tratta di conoscere ragazze con la stessa esperienza».
Quando bisogna aiutare una ragazza straniera subentra anche la complessità culturale: «In ogni Paese c’è un modo diverso di immaginare la genitorialità, un modo diverso di cullare, di allattare, di giocare con un bambino. Modalità diverse da quelle italiane che devono però essere adattate al nostro contesto. Cerchiamo di aiutarle anche in questo senso, fino a che ognuna possa raggiungere la propria dimensione di essere madre».
PROSEGUIRE GLI STUDI. Se il post parto è un periodo delicato per ogni mamma, per queste ragazze lo è ancora di più: «Molte hanno il desiderio di concludere il ciclo di studi, solo che si scontrano con la realtà dell’occuparsi di un neonato. Una delle ultime ragazze che abbiamo incontrato, di origine filippina, desiderava tornare a scuola a fine gennaio, quando la sua bambina avrebbe avuto un mese. Un desiderio comprensibile, ma poco realistico. A un mese i bisogni del neonato sono totalizzanti, nessuno si può sostituire alla mamma. Il nostro compito è stato farle capire questo, cercando di toglierle l’ansia sul futuro. Che è poi la più grande domanda di queste babymamme».
A seconda dell’istituto che frequentano, le ragazze possono scegliere di congelare momentaneamente il percorso, per affrontare le fasi finali della gravidanza e la nascita del bambino, ma accade anche che, quando studiano in istituti professionali, perdano l’anno perché non in grado di frequentare gli stage in azienda: «Quello che conta è il desiderio di proseguire il percorso scolastico. Cerchiamo di far crescere loro e le loro ambizioni».