Paolo Massobrio, “Bicchiere mezzo pieno”, in un suo articolo apparso a dicembre sull’Espresso, dopo aver rilevato come i nostri cugini d’oltralpe ci avessero dato la birra! – perdonate questa mia “schiumata” extra-wine – nella gestione del business “botto di fine millennio”, provocatoriamente chiedeva ai produttori di Asti, lo spumante più venduto nel mondo dopo lo champagne, di spiegare la “destinazione” di “quella parte di uva della medesima vigna che eccede i 90 quintali a ettaro e che non viene considerata Doc. Una parte di uve lo sarà, e l’altra no. E nessuno butta via nulla”. Niente male, eh? E come era nelle previsioni, nessuno si è premurato di rispondere. Alla faccia di chi vuol fare il furbo, qualche giorno fa, all’interno della “Giornata di resistenza umana” organizzata a Santo Stefano Belbo dal club di Papillon (0131/261670), dopo un’emozionante rilettura dei testi di Cesare Pavese che il Consorzio beni culturali Italia in collaborazione con la fondazione Ippolito Nievo di Roma ha realizzato “tra le vigne”, su un testo dello scrittore Luca Doninelli – soprattutto a chi opera nel mondo della scuola, consiglio di appuntarsi il numero di telefono del Consorzio Beni Culturali Italia, 011/4400111, un indirizzo prezioso nel caso in cui si volesse organizzare “una lezione” fuori dagli schemi, ma di grande suggestione – si è svolto un acceso dibattito in cui l’interrogativo sulla tutela della qualità dell’Asti e del Moscato d’Asti è stato riproposto. Poiché, purtroppo, anche durante il dibattito nessuno ha saputo, o meglio ha voluto rispondere – della serie, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire – rilanciamo dalle colonne di questo settimanale la provocazione, ricordando a chi sta giocando con l’Asti e il Moscato che, alle sorti dei due gioielli di casa nostra, sono legati i destini dell’economia di ben 52 comuni a cavallo di Asti, Alessandria e Cuneo! E visto che, nella tradizione contadina, il Moscato è il vino della festa e della gioia, brindiamo insieme agli amici Giovanna e Vito alla nascita di Anton, nuovo lettore di Tempi, con un calice di Moscato d’Asti Farfarello (0141.844293) di Giacinto Gallina di Santo Stefano Belbo, dal colore giallo oro e dai profumi intensi di glicine, di cedro e di limone. Auguri! ([email protected]) P.S. Per amore alla verità, voglio chiarire quanto scritto nell’articolo apparso sul numero 9 di Tempi (2/8 marzo), nel passo “E questo e quello si incazzano con Raspelli & Co, che fanno i cronisti della gastronomia, senza vergogna di avere “ristoratori amici” da cui vanno a cena annunciati, magari senza pagare il conto”. Il riferimento a tale atteggiamento non riguardava in nessuna maniera (nelle mie intenzioni) né l’amico Carlin Petrini, né il collega Davide Paolini, che peraltro stimo per la genialità del loro lavoro e per la correttezza fino ad ora manifestata.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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