Attentato a New Orleans. «Il terrorismo è ancora la minaccia globale più grave»

Di Piero Vietti
03 Gennaio 2025
Non solo jihad. «Il terrorismo si sta diffondendo come pratica violenta indipendentemente dalle ragioni che lo motivano», dice a Tempi l'esperto Lombardi (Cattolica). «Su Sala sono stati fatti errori, va riportata subito a casa»
New Orleans attentato
La via di New Orleans colpita dall'attentatore la notte di Capodanno (foto Ansa)

«Abbiamo finito male il 2024 e cominciato il 2025 ancora peggio», dice l’esperto di terrorismo Marco Lombardi in una conversazione con Tempi che parte dall’attentato di New Orleans, passa per la detenzione della giornalista del Foglio Cecilia Sara a Teheran e finisce su quello che dobbiamo aspettarci sul fronte delle minacce terroristiche nel 2025.

Il 20 dicembre scorso un medico saudita residente da anni in Germania ha travolto con la sua automobile centinaia di persone che affollavano il mercatino di Natale di Magdeburgo, uccidendone 5 e ferendone oltre 200. La notte di Capodanno, a New Orleans, il 42enne Shamsuddin Jabbar ha ucciso almeno 14 persone investendole con un furgone in Bourbon Street, nel centro della città. Nelle stesse ore, a Las Vegas, una Tesla presa a noleggio è stata fatta esplodere di fronte alla Trump Tower, provocando la morte del conducente e il ferimento di alcune persone presenti nei paraggi. La sera dell’ultimo dell’anno, in Italia, un egiziano ha accoltellato quattro persone per strada a Rimini, prima di essere ucciso da un carabiniere (ora indagato) contro il quale si era poi scagliato. A quanto risulta, l’uomo teneva in tasca un corano.

Lombardi: il terrorismo «si diffonde come pratica violenta»

Professore ordinario di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore dove insegna, tra le altre cose, Cooperazione nelle aree di post conflict e Sicurezza e contrasto al terrorismo, e direttore del centro di ricerca ITSTIME (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies), Lombardi mette in fila questi episodi prima di rispondere alla domanda di Tempi: quanto dobbiamo preoccuparci? «Tanto. Parliamo di attacchi che segnalano la grande vitalità del terrorismo». Non soltanto quello di matrice islamista.

Tesla attentato Trump Tower
I resti della Tesla esplosa nell’attentato davanti alla Trump Tower di Los Angeles (foto Ansa)

«A Magdeburgo non era jihad, a Rimini non si sa ancora, a New Orleans sembrerebbe di sì – c’è la bandiera nera di Daesh, ma ci sono anche video dell’attentatore che parla di preoccupazioni personali famigliari concretizzatesi in una attività violenta sotto il cappello dello Stato islamico prima che in una forma di radicalizzazione. Quello che deve preoccuparci è il fatto che il terrorismo si sta diffondendo come pratica violenta indipendentemente dalle ragioni che lo motivano». Questo è il punto, insiste Lombardi.

«Il pericolo resta anche se i media ne parlano poco»

L’automobile lanciata sulla folla è un’eredità dell’Isis, sottolinea il professore, e noi identifichiamo subito quel gesto come atto di terrorismo. «Quello che ci sta dietro in molti casi è un punto di domanda. Questo pone una serie di difficoltà per il 2025, e una serie di problemi nuovi». Negli ultimi anni ci eravamo forse illusi che l’emergenza per gli attentati terroristici in Occidente fosse finita, «ma il pericolo resta anche se i media ne parlano poco».

Polizia Municipale tra gli stand del mercatino natalizio di piazza Navona, Roma, 21 dicembre 2024 (foto Ansa)

In tutti i report delle intelligence e delle polizie di tutto il mondo il terrorismo resta la minaccia principale, spiega. «Chi si è stupito di vedere un attentato collegato al jihad a New Orleans, ignora che nel 2023 negli Usa sono stati “solo” 9 gli arresti legati al terrorismo dello Stato islamico e nessuno legato alla preparazione di attentati, mentre nel 2024 gli arresti sono stati 14 e ben cinque gli attentati programmati. Siamo dunque di fronte a un risveglio del jihad anche in America, e la minaccia – estremamente rilevante – è più difficile da intercettare perché più slegata rispetto al passato da una causa prettamente ideologico-religiosa: più i processi di radicalizzazione si abbreviano e diversificano più è difficile intercettarli prima. Gli attentatori di New Orleans e di Magdeburgo erano difficili da intercettare».

Chi era l’attentatore di New Orleans

Interessante studiare il profilo di Jabbar, sottolinea Lombardi: «Un ICT man, impiegato in Deloitte, ha l’iPhone in tasca e ha servito nell’esercito USA per una decina d’anni. Non è il “marginalizzato” a cui spesso si può pensare come più “adeguato” al reclutamento jihadista. Eppure lo ha fatto. Ci sarebbe una rivendicazione di affiliazione all’Isis fatta in un video su Facebook mentre si trasferiva verso New Orleans, quindi “all’ultimo minuto”, un mix di rancore per il divorzio e l’intenzione di uccidere la propria famiglia, poi trasformato in una adesione all’Isis come catalizzatore di questa sua espressione distruttiva».

«Lotta al terrorismo. Il 2025 sarà un anno complicato»

Incertezza sull’origine del terrorismo da una parte, e certezza dell’esito violento di questa pratica dall’altra, rendono «il 2025 un anno potenzialmente molto complicato perché è difficile anticipare mosse di questo tipo». La discussione tra FBI e sindaco di New Orleans sull’aggettivo “terroristico” da affiancare all’attentato di Capodanno «è una cosa che non sta né in cielo né in terra, e dimostra che la definizione di terrorismo sia sempre più staccata dalla realtà e vicina agli interessi politici. Indebolire quella che è una definizione chiara di terrorismo con una serie di distinguo vuol dire rendere più vulnerabile l’intera società».

È realpolitik anche questa? «Uno dei più grandi macellai del jihad, Al-Jolani, è improvvisamente diventato un leader rispettabile in Siria, passando in pochi giorni da terrorista con una taglia milionaria sul capo a persona con cui interloquire», sorride amaro Lombardi. «Va benissimo la realpolitik, ma attenzione alla scioltezza con cui maneggiamo queste definizioni perché hanno un impatto sull’intera società: una definizione chiara di terrorismo, non solo è necessaria per le agenzie che devono sapere contro chi devono combattere, ma è altrettanto necessaria per i cittadini che devono sapere chi è il nemico».

Che cosa è “terrorismo”?

Un atto di terrorismo lo definisci per gli effetti che ha e non per le ragioni che lo promuovono, ripete l’esperto della Cattolica. Sì, ma come fare a prevenirlo e combatterlo? «Lavorare sulle aree di incubazione del terrorismo, quindi quelle reti che danno il substrato anche affettivo, morale, culturale alla violenza, che sono molteplici. Faccio un esempio: dopo l’attentato di New Orleans ci sono stati undici morti ammazzati in una discoteca a New York, il tipico caso in cui si dice “non è un atto di terrorismo perché sembra un litigio”. Ma ci sono undici morti! C’è una forma di indifferenza diffusa verso la violenza che la fa diventare quasi normalità. Lo vediamo anche in molte città italiane, che dobbiamo presidiare con un’attenzione non immediatamente repressiva, ma culturale. Perché la legittimazione della violenza porta a legittimare quel terrorismo non più legato alle ragioni ideologiche ma all’espressione di violenza in sé».

«Non c’è stato un aumento di adesioni alla lotta armata jihadista»

Il 7 ottobre 2023 e la recente caduta di Assad in Siria, con la salita al potere di Hts, hanno aumentato l’allerta su potenziali attentati in Occidente? «Sì, ma in un’ottica di attenzione generale alla violenza. A differenza di quanto accaduto alcuni anni fa con lo Stato islamico, non abbiamo registrato una significativa risposta diretta alla chiamata al terrorismo da parte di Hamas, Hezbollah, Hts e altri gruppi legati al jihad. Ma questo non ci fa stare tranquilli, la vicenda siriana dimostra che è possibile conquistare aree di potere anche se prima si è stati terroristi».

Questo non significa che le definizioni dei singoli tipi di terrorismo siano superate, anzi: «Non dimentico nessuno di questi terrorismi specifici, dal jihad all’Alt Right: sono etichette utili, perché quando devi andare ad arrestare qualcuno devi colpirlo e individuarlo all’interno di un’organizzazione specifica. Ma la distanza che c’è tra questi gruppi organizzati non è abissale».

Il ruolo dei media e la post verità

Nella narrazione corrente degli atti di terrorismo giocano un ruolo decisivo i media, che tendono a enfatizzare e nascondere dettagli a seconda della propria ideologia di riferimento: una testata di destra si affretta a trovare legami con immigrazione ed estremismo islamico, una di sinistra con il suprematismo bianco e il complottismo. «È sempre così», constata amaro Lombardi, «non a caso si parla di post-verità, spesso i media piegano i fatti alla narrazione che devono portare avanti: purtroppo quella che da almeno vent’anni sottolineavamo come necessaria, un’alleanza forte tra chi gestisce la sicurezza e le crisi e i mezzi di comunicazione, non si è mai fatta, anzi».

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C’è la fretta di dare la notizia, di spiegare tutto prima che lo facciano altri, ma questo non aiuta in un ambito in cui le informazioni emergono poco a poco. Quello dell’attentatore di New Orleans, per esempio, all’inizio sembrava un profilo poco digitale, «poi abbiamo scoperto, utilizzando i suoi numeri di telefono, che era connesso a più di venti piattaforme social, abbiamo riscontrato più di 20 email di cui una buona parte su VK, il Facebook russo per intenderci, e su Yandex, quindi un profilo complesso che potrebbe riservare delle sorprese».

New Orleans un fallimento. «Rimettere le barriere di cemento»

Se è vero che attentati di questo tipo sono più difficili da prevedere, si può fare qualcosa per impedirli, ammonisce Lombardi: «Sia a New Orleans sia Magdeburgo i terroristi hanno potuto colpire anche a causa della mancanza pratica di sicurezza nelle città. Purtroppo dobbiamo tenerne conto, rendere più difficile le cose a un uomo che vuole entrare in auto in un corso affollato del centro. Saranno anche brutte ma funzionano quelle barriere di sicurezza in cemento che fino a qualche tempo erano ad esempio in piazza del Duomo a Milano che costringono un veicolo a rallentare e fare zig zag per immettersi in una via e quindi essere controllato. Sappiamo come attaccano, rendiamolo almeno difficile!».

Il terrorismo è ancora sveglio, «basta leggere i report delle agenzie di sicurezza: non ha mai smesso di minacciare l’Occidente. L’assenza di attentati non è l’assenza di minaccia, semmai dimostra il successo del nostro contrasto finora».

La giornalista italiana Cecilia Sala

«Riportare a casa Cecilia Sala»

«Mi auguro che la politica lasci lavorare in pace le agenzie che devono preoccuparsi della nostra sicurezza», conclude Lombardi, che non lesina però critiche ai servizi – soprattutto esteri – nella vicenda che ha portato all’arresto da parte del regime iraniano della giornalista italiana Cecilia Sala: «La faccenda, come ormai chiaro, è la risposta all’arresto del 16 dicembre a Malpensa di Mohammad Abedini Najafabadi. Detto questo, non si capisce perché gli italiani debbano fare gli “sbirri” degli americani, i quali hanno spiccato un mandato di arresto per Abedini, e soprattutto non si capisce perché, prima di fermarlo, non si siano riportati in Italia dall’Iran potenziali obiettivi sensitive come la Sala, ben sapendo che l’Iran non è nuovo a praticare la cosiddetta diplomazia degli ostaggi. Una figuraccia per polizia e servizi esteri. La questione delicata ora deve essere condotta con un solo obiettivo: riportare a casa la Sala».

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