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Antonio Conte. Dovevamo scommetterci

Che il ct si fosse fatto coinvolgere in una frode sportiva non ci avremmo creduto nemmeno se l’avessero condannato. Ecco perché. (E perché non è ancora scritta neanche la sentenza sulla sua Italia)

Roberto Perrone
30/05/2016 - 3:00
Sport
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

L’Europeo di calcio – primo fischio il 10 giugno – ha già tante novità e tante incognite generali (le 24 squadre, la Douce France sotto attacco, un accenno di moviola in campo, il pericolo-hooligans, non solo inglesi), e particolari (per la prima volta nella storia dell’Italia è già noto che il commissario tecnico se ne andrà, comunque vada). Almeno non avremo – e anche questa sarebbe stata una primizia – un allenatore condannato per frode sportiva al comando degli azzurri in una grande competizione calcistica. Antonio Conte è stato assolto lunedì 16 maggio dal giudice per l’udienza preliminare di Cremona, in arte gup. E adesso vi spiego il perché, al di là della motivazione che in pratica dice che di prove non ce n’erano o ce n’erano molto poche: «Un quadro gravemente deficitario in riferimento alla prova della conoscenza da parte degli imputati Conte e Alessio della esistenza di operazioni di scommesse collegate a partite del Siena, e di eventuali ipotesi/proposte di corruzione».

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Qualche anno fa, m’imbarco con la Juventus. Quasi tutte le squadre, per le trasferte europee, ammettono a bordo i giornalisti, ma visti i prezzi non ci va più nessuno. Neanche io, ma nel caso in questione la destinazione è a est e siccome sono cresciuto a pane, salame e Cortina di Ferro, quando vado in posti che m’inquietano preferisco viaggiare allineato e coperto. Ognuno ha le sue fissazioni. Quindi è la prima volta che viaggio con Conte al comando. Passa l’assistente di volo con i beveraggi e chiedo una Coca-Cola. «Mi dispiace, non ne abbiamo». «Una Fanta». «No». «Una Sprite». «Nein». «Un’acqua con gas?». «Niet, guardi, abbiamo solo acqua naturale e succhi di frutta». Investigo e scopro che è stato Antonio Conte a proibire che sull’aereo salissero bevande con gas. «Anche per me che non sono un atleta?». «Anche per lei, anche per noi». Insomma, per eliminare le tentazioni, niente bolle o bibite zuccherate (alcol figuriamoci).

«Antonio Conte capitano», come cantavano i tifosi della Juventus, è un maniaco del controllo, vuole decidere tutto, vuole sapere tutto. È un manager all’inglese in una nazione dove l’allenatore è considerato un fantoccio dalla stragrande maggioranza dei presidenti, ed è per questo che appare ruvido e spigoloso. È uno che quando era alla Juventus stressava tutti, dal presidente all’ultimo degli uscieri, ma soprattutto i dirigenti dell’area tecnica, con cui aveva un rapporto più diretto, Paratici e Marotta. Per qualsiasi cosa. Non solo su tutto quello che riguardava la squadra, dagli orari agli allenamenti, dal cibo allo psicologo. Metteva bocca sull’ufficio stampa, sul colore delle tende da mettere sulle recinzioni per coprire/nascondere le lezioni di tattica. A questo proposito pretese i vetri fumé sulla vetrata del centro media con vista non sul campo, ma su un tratto del cammino che i giocatori dovevano compiere dallo spogliatoio al terreno. Secondo me gestiva anche i posti al parcheggio.

Se lui non controlla, non esiste
Ecco perché ho sempre pensato che Conte fosse innocente per l’accusa di frode sportiva riguardo la presunta combine su AlbinoLeffe-Siena del 29 maggio 2011, da cui è stato appena assolto dal gup. Un uomo che controlla se c’è l’acqua gasata sull’aereo, un uomo che è talmente fissato con i risultati e il successo che quando perde è così distrutto che non riconosce neanche i parenti, ecco uno così come poteva lasciare che altri prendessero delle decisioni per lui? Come sapete, di riscontri non ce n’erano, di testimonianze incrociate nemmeno. C’era solo la parola di Filippo Carobbio. La procura e i giudici della Federcalcio lo hanno ritenuto credibile, più o meno per la stessa ragione per cui lo reputavano attendibile a Cremona, e cioè  che Carobbio (con l’altro “pentito” Coppola) ha detto il vero su altre questioni e altri accusati, molti dei quali hanno confessato. Quindi se ha ragione una, due, tre volte, ha ragione anche su Conte. I giudici calcistici hanno aderito alla tesi condannando l’allora – siamo nel 2012 – allenatore della Juventus a 10 mesi, poi ridotti a 4, di squalifica per omessa denuncia. Cioè non c’entra nella frode ma sapeva.

Per come la vedo io, paradossalmente, sarebbe stato più credibile se Carobbio avesse accusato Conte di aver organizzato tutto, di essere il Grande Vecchio e non un tale di passaggio, che si volta dall’altra parte. Non corrisponde al profilo, direbbe l’Unità di Scienze Comportamentali di Quantico. Sono stato sempre convinto della sua innocenza (e lo sarei stato anche se il gup di Cremona Pierpaolo Beluzzi non lo avesse assolto), ma se me l’avesse chiesto, avrei spiegato al pm Roberto Di Martino, che dopo quattro anni ha tirato le fila dell’inchiesta sul calcioscommesse, che sarebbe stata più credibile la tesi che dietro tutto c’era lui, Conte. Perché un Conte che lascia fare i giocatori, un Conte che non controlla, per me non esiste. Vabbè. Riassunto delle puntate precedenti.

tempi-conteAltri coinvolgimenti “curiosi”
L’inchiesta “Last bet” (Ultima scommessa) entra nelle nostre vite all’inizio di giugno 2011. E come tante altre inchieste è destinata a rimanerci per un bel po’. Essendo già adulto, anzi direi proprio anziano, di scandali scommesse posso dire di averne visti tanti, fin dal primo, il più celebre, quello del 1980, con i cellulari (allora intesi solo come camionette delle forze dell’ordine) posteggiati sulle piste di atletica degli stadi (adesso non sarebbe più possibile, per fortuna quelle assurde piste che da quando hanno abolito i Giochi della Gioventù non usava più nessuno, le hanno tolte). Tutti al passo con i tempi. Allora dovevi andare “cor sorcio ’n bocca”, cioè con l’assegno in mano dal bookmaker, adesso si fa tutto online o via cellulare (inteso come telefono). Siamo passati dai ristoratori romani agli zingari. Però il segreto di uno scandalo è sempre lo stesso. Come per le diete, anche l’interesse per le inchieste ripetute tende a scemare. La prima sconvolge il popolo, dell’ultima non frega quasi nulla. A meno che non ci sia il campione, il Grande Nome.

Ecco perché nell’inchiesta della procura di Cremona, alla fine i pesci pescati alla prima ora (Mauri, Doni, il vecchio Beppe Signori, Sartor, Paoloni, Milanetto e altri 50) ci sono ancora quasi tutti, mentre dei pezzi ’e 90, come direbbe il Padrino (1, 2 e pure 3), rimaneva solo Antonio Conte. Come succede spesso in Italia, ci si dimentica che tra effettivi indagati e nomi spediti sulla pista del circo mediatico da giornalisti in vena di scoop, oltre al ct della nazionale, ci sono stati Totti e De Rossi (mai coinvolti, neanche di striscio, però citati), Gattuso (indagato e poi, con nonchalance, disindagato), Bonucci e Criscito (indagati e poi archiviati). Perfino Gigi Buffon viene tirato dentro.

Curiosa (eufemismo) la storia che riguarda Criscito, Bonucci e Buffon. Nel maggio del 2012 i due difensori si trovano, all’alba, la polizia sull’uscio della camera nel ritiro azzurro di Coverciano dove viene preparato l’Europeo. L’inchiesta di Cremona va avanti a strappi semestrali, seguendo solstizi ed equinozi. Ogni sei mesi il botto. Anche l’abitazione di Conte viene perquisita alle prime luci del giorno (ma perché non la sera prima, che cambia? Mai capito). Lo ha ricordato lui stesso il giorno dell’assoluzione: «Quattro anni fa, con la perquisizione della mia abitazione alle 5 del mattino, iniziava per me un periodo di incubo che a tratti mi è sembrato non dovesse mai finire. Chi mi è stato vicino conosce la mia sofferenza per la sola idea che si potesse accostare il mio nome alla vergogna del calcioscommesse».

La belva dietro il plexiglas
Ma ritorniamo a Coverciano. Criscito deve lasciare il ritiro azzurro e perde l’Europeo del 2012. Praticamente chiude con l’azzurro. Nessuno lo risarcirà mai per questo. Bonucci, invece, resta a disposizione. Gigi Buffon, capitano della Nazionale, l’indomani critica tutto questo Barnum giudiziario, la perquisizione all’alba, il mostro sbattuto in prima pagina. E il giorno dopo ci finisce lui, nelle vesti di mostro, in prima pagina. “Le scommesse di Buffon”. Qualche manina misteriosa (ma neanche tanto), estrae da qualche polveroso faldone sepolto in archivio una storia vecchia di due anni e già (dagli organi preposti, sia penali sia sportivi), appunto, archiviata. Una faccenda di assegni staccati a una tabaccheria di Parma che è anche ricevitoria (ufficiale) per le scommesse sportive. Fatevi un giro su Google o quel che volete voi, nessuno di quelli che trattano l’argomento si fa la domanda più ovvia: ma come mai questa faccenda vecchia e senza nessun appiglio né giudiziario né sportivo – infatti dopo avere sortito l’effetto voluto, infangare il portierone, è ritornata nel polveroso archivio – esplode proprio il giorno dopo che Buffon si è scagliato, dall’alto della sua fama e della sua forza comunicativa, contro il circo giudiziario-mediatico? Se siete malfidati come me, la risposta è ovvia.

L’Italia va agli Europei, perde in finale con la Spagna. Nel frattempo comincia la lunga estate calda di Antonio Conte che subisce il processo sportivo e viene squalificato per dieci mesi, ridotti poi a quattro, dopo appelli e arbitrati. Per lui è una doppia ferita. Sente di aver subìto un’ingiustizia, ma questo potrebbe sopportarlo. Quello che non regge è l’esistenza “on the box” che lo attende. Per quattro mesi deve stare chiuso in una di quelle scatole di plexiglas che si vedono sotto la volta degli stadi ma in qualche caso, come a Firenze, non ha neanche questa protezione. Ma non è quello dell’incolumità il problema, piuttosto quello dell’incomunicabilità. Antonio Conte sbuffa furioso come un toro davanti all’apertura del condotto che lo porterà nell’Arena. Fabio Paratici, il direttore sportivo che lo affianca come telefonista, invecchia di sei mesi a ogni partita.

Pare che il momento più difficile sia a Stamford Bridge, lo stadio del Chelsea, dove, per l’intasamento di smartphone, la rete collassa e ogni forma di comunicazione con la panchina risulta impossibile. Conte cerca di scherzare sulla sua situazione: «Mia moglie mi ha regalato una panchina e l’ha piazzata davanti alla tv». Moglie e figlia sono fondamentali per sorreggere questo allenatore che, ben più di altri, soffre senza potere urlare, gesticolare, saltare a bordo campo.

Torna una domenica piovosa d’inverno, il 9 dicembre 2012 a Palermo. Tutto il tempo sotto la pioggia, protetto solo da un cappellino. Il primo incubo, quello sportivo, è finito. Rimane quello giudiziario, ma, nel bene e nel male, i tempi saranno molto lunghi, ancora tre anni e mezzo.

Dall’altra parte della barricata
Conte riprende la sua vita, vince il secondo e il terzo scudetto con la Juventus. Il suo è un modo di essere prosciugante, pretende molto, da sé e dagli altri. È fondamentale questo suo essere sempre in guardia, nel ricostruire la fragile psiche bianconera, uscita devastata dallo sconquasso del 2006 quando il turbinio delle intercettazioni porta al processo, alla retrocessione in serie B e soprattutto alla soppressione dell’identità bianconera, quel senso, perfino arrogante e antipatico, di superiorità, di dominio sul campionato italiano. Negli anni prima di Conte si tenta pure una fallimentare operazione simpatia. Conte, al suo arrivo nel ritiro di Bardonecchia, nel 2011, la abolisce. Tanto, lo sa benissimo, la Juventus non sarà mai simpatica, neanche da perdente. Quindi meglio vincere, fa capire ai giocatori. Assume subito quel controllo di cui parlavo. Un particolare. Tutti hanno l’obbligo di controllare la casella di posta elettronica prima di coricarsi (23.30 l’orario “suggerito”), perché fino a quell’ora il programma del giorno dopo non viene comunicato. Così tutti stanno sulle spine e nessuno programma nulla. In tensione.

Conte lascia la Juventus alle idi di luglio del 2014. Al di là della sua convinzione che Madama non abbia chance in Europa («non si va con 10 euro in un ristorante da 100 euro»), avverte un logorio in se stesso e negli altri. Senza di lui non ci sarebbe la Juventus dei record, ma lui non è allenatore da grandi cicli. Dopo aver esitato (erano mesi che dice di volerlo fare, poi a maggio ci ripensa) abbandona la Juventus a metà luglio. Qualche giorno dopo accetta di guidare la Nazionale uscita malissimo dal secondo Mondiale consecutivo. Fa un buon lavoro, come sempre, lo testimoniano i giocatori che non lo conoscono e che a Coverciano si trovano a faticare come non hanno mai fatto.

Qualifica l’Italia con meno giganti, a parte la linea difensiva della Juventus, della storia azzurra. Però sa benissimo che è una situazione temporanea. Per tre motivi: gli manca la quotidianità dell’allenamento, quella routine elettrica, e poi non può esercitare un vero totale controllo. Lo ha fatto anche lui, quando era Prandelli ct, ognuno recita un ruolo in commedia. Vorrebbe avere i giocatori per più tempo, vorrebbe altri stage, vorrebbe allungare i tempi per la nazionale. Ci hanno provato tutti i ct da Sacchi in poi. Anche lui deve subire l’ostracismo dei club.

Infine, Conte è molto attento al soldo. E l’offerta di Abramovich è allettante. Si troverà in una Premier con tanti compagni d’avventura italiani. Claudio Ranieri, a Leicester, per vincere ha tolto pressione ai giocatori. Conte farà esattamente il contrario. Sì, sarà divertente vedere Conte all’opera, senza fardelli giudiziari sulle spalle. Ma prima, liberato da questo peso, vediamo cosa farà all’Europeo. E toglietevi dalla testa che pensi già al Chelsea.

@Perri57

Foto Ansa

Tags: antonio contecalcioeuropeiItaliaJuventuslast betserie Asiena
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