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Giulio Andreotti, la commemorazione al Senato: «Parlava col prete, ma anche con Dio»

La famosa battuta di Montanelli va rivisitata e corretta. Il discorso in aula del senatore Carlo Giovanardi

Carlo Giovanardi
17/09/2013 - 19:21
Politica
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Oggi si è tenuta in Senato una commemorazione di Giulio Andreotti, pubblichiamo l’intervento in aula di Carlo Giovanardi

Signor Presidente, Onorevoli colleghi, sono onorato e commosso di poter commemorare oggi Giulio Andreotti, come uomo, parlamentare e servitore dello Stato.

Innanzitutto la sua famiglia:

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Sposato nel 1945 con Livia Danese, ha avuto 4 figli due maschi e due femmine, 4 nipoti tra cui uno porta il suo nome: una famiglia discreta, unita, che non ha mai fatto parlare di sé.

Poi Giulio Andreotti parlamentare, deputato e senatore dal 1946 al 6 maggio 2013 ininterrottamente per 68 anni.

Si può dire che il Parlamento sia stata la sua seconda casa, ha sempre garantito una presenza assidua ai lavori parlamentari, amava il Parlamento, conosceva tutti gli abitanti del Parlamento dall’ultimo dei commessi al Segretario generale, per non parlare dei colleghi di cui ricordava tutto anche se conosciuti negli anni ’40 e ’50.

Andreotti ha onorato il Parlamento anche nell’ambito della sua sterminata produzione di libri di successo e con le decine di edizioni, compresa quella economica, del famoso libro “Onorevole stia zitto” che accompagnava i lettori a conoscere da vicino la vita del Parlamento.

Giulio Andreotti è stato l’uomo di Governo italiano sicuramente più conosciuto nel mondo, ma anche il più profondo conoscitore della macchina burocratica, dei ministeri, degli uomini e delle donne che andavano a rappresentare lo Stato ai vari livelli. Tutto questo non sarebbe stato possibile se dalle cinque del mattino sino a notte inoltrata la giornata del senatore non fosse stata piena di incontri e di relazioni personali, dagli elettori che lo volevano incontrare e lo hanno sempre gratificato con suffragi plebiscitari al tempo delle preferenze apprezzando anche la normalità di chi come lui frequentava le corse dei cavalli, tifava per la Roma, amava giocare a carte, collezionava francobolli sino ai capi di Stato che doveva incontrare per ragioni protocollari: nella giornata di Andreotti c’era spazio per tutti.

Ma poiché le ore sono quelle che sono chiunque abbia frequentato il Parlamento, i congressi di partito, i convegni avrà ben presente che Andreotti, che di solito arrivava per primo e si sedeva per partecipare diligentemente ai lavori, occupava contemporaneamente il tempo sbrigando corrispondenza, con quella calligrafia minuta di una volta, come sanno tutti coloro che hanno avuto modo di scrivergli e hanno ricevuto una sua immancabile risposta.

Il partito, la Democrazia Cristiana è stato il suo esclusivo amore politico da quando è nata a quando è morta nel 1994.

Per cinquanta anni insieme a grandi personaggi come De Gasperi, Moro e Fanfani agli occhi del mondo e soprattutto degli italiani Giulio Andreotti ha rappresentato i vizi e le virtù di quel grande partito.

Giulio Andreotti, uomo di partito, nella prefazione del libro “DC, il partito che fece l’Italia” edito nel 2011 aveva scritto: “la Dc ha rappresentato per me l’invito costante a considerare non occasionale ciò che accade giorno dopo giorno, come tanti fatti slegati fra loro ma anzi a considerare tutto come correlato, come attraverso una tela di ragno che ti consente di cogliere il senso profondo delle cose che accadono e che passano…”

Ed ancora con parole di grande attualità: “Una lezione che emerge dalla DC e che può valere anche oggi è che senza un punto di riferimento che vada oltre l’occasionale, il contingente, è quasi impossibile creare un nuovo soggetto politico…”

“se manca la base morale, direi anche spirituale, è difficile essere poi capaci di attrarre la gente e in particolare i giovani …”

Indro Montanelli scriveva però che mentre Alcide De Gasperi, che come Andreotti partecipava alla Messa tutte le mattine, si recava in Chiesa per parlare con Dio Andreotti invece parlava con il prete.

In realtà credo che questa battuta vada rivisitata e corretta nel senso che Giulio Andreotti, come la sua intensa religiosità ha sempre dimostrato, riusciva a parlare sia con Dio che con i preti.

Difetti ed errori nell’uomo e nello statista?

Sfido chiunque a non trovarne a chi è stato per: sette volte Presidente del Consiglio con le formule più diverse; otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, tre volte ministro delle Partecipazioni Statali, due volte ministro delle Finanze,ministro del Bilancio e ministro dell’Industria, una volta ministro del Tesoro, ministro dell’Interno (il più giovane della storia repubblicana, a soli trentaquattro anni), ministro dei beni culturali (ad interim) e ministro delle Politiche Comunitarie.

Certamente Andreotti in tutta questa vicenda politica e umana non ha mai rinunciato a quello spirito romano che ne alimentava da una parte la straordinaria vena di umorismo disincantato e dall’altro lo scetticismo un po’ fatalista di chi è nato in un luogo che ha più di 2000 anni di storia e che nella storia ha visto svilupparsi le vicende più intricate e contraddittorie. E solo nella città eterna un uomo politico poteva essere così popolare da essere affettuosamente e maliziosamente soprannominato Divo Giulio, zio Giulio, Belzebù e Papa nero.

Ma  la sua visione cattolica della politica,  contraria al perfettismo,  ma ben radicata nella convinzione che le debolezze umane e il peccato originale non consentiranno mai di costruire il paradiso su questa terra lo portava a  coltivare quello spirito di tolleranza che ha contribuito a fargli subire  anni e anni  di tormenti giudiziari.

Su questa dolorosa fase  della sua vita sarà la storia a giudicare comprese amicizie e frequentazioni politiche con ambienti a rischio.

Anche allora non sono mancati significativi gesti di solidarietà come quello compiuto da Papa Giovanni Paolo II che per gli  80 anni del senatore a vita  gli fece pervenire questo messaggio: “Auspico che le prove e le sofferenze, su di lei riversate in questi ultimi tempi, possano nei misteriosi disegni della  Provvidenza, rivelarsi fonte di bene per la sua persona e per l’intera società italiana”.

Quello che però si può dire senza tema di essere smentiti è che mai nessun governo, come quelli da lui presieduti ha fatto tanto in termini di provvedimenti punitivi nei confronti della mafia, quando lo Stato finalmente si è reso conto del pericolo mortale che questa associazione criminale rappresenta per le nostre istituzioni democratiche.

Mi rendo perfettamente conto che è impresa temeraria riassumere in dieci minuti il profilo di un personaggio che ha caratterizzato la storia politica italiana dalla prima metà del secolo scorso sino ai primi dieci anni del terzo millennio, ma è giusto ricordare infine l’affabilità, la cortesia e la disponibilità che ha sempre dimostrato nei confronti dei colleghi di ogni schieramento politico e rinnovare le condoglianze ai famigliari presenti, che saluto, immaginando Giulio Andreotti in quel Paradiso, in cui ha sempre creduto anche se ironicamente  ringraziava Dio per le tante proroghe che gli aveva concesso  per arrivarci senza fretta.

Tags: carlo giovanardidcDe Gasperidemocrazia cristianaFanfaniIndro MontanelliMoro
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