Anche un sasso ha un motivo per “essere qui”. E io? Perché vivo?
Articolo tratto dal numero di dicembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Perché vivere? Cioè, perché vivo? Cos’è quella cosa che ci fa aver paura di contagiarci, cercare disperatamente una cura, inveire contro tutto e tutti perché magari il Covid ce lo siamo preso o se l’è preso un nostro amico, parente, padre o nonno? Che cosa ci, anzi, che cosa mi tiene attaccato a questa cosa che è la vita? Te lo sei mai chiesto? Io comincio a chiedermelo e non so se sono totalmente sano di mente. Perché porsi una domanda così è come chiedersi perché l’erba è verde.
Anzi, no, peggio, perché un botanico ti potrebbe spiegare perché l’erba è verde, ma chi ti spiega perché siamo attaccati alla vita? Chi è in grado di dare questa risposta? Un vecchissimo film di Krzysztof Zanussi, L’imperatif, oggi introvabile (e se lo trovate ditemelo, vi prego) raccontava la storia di un uomo che si faceva esattamente questa domanda. E andava a cercare la risposta prima da un politico, poi da uno psicologo, poi da un prete. Il titolo sta a indicare esattamente questo, che trovare la risposta a questa domanda è un “imperativo”, solo che qualsiasi risposta ottenesse il protagonista del film, era per lui insoddisfacente. Non vi dico il finale.
Torniamo a noi, cioè a me. Allora: perché vivo? Non “perché sono vivo”, perché quella è roba da biologi o da preti, ma “perché vivo” qui ed ora. Boh. Io credo di voler continuare a vivere non perché la vita è bella, come diceva Benigni, perché la vita non è bella, è piena di complicazioni, fatiche, delusioni, incidenti, malattie e poi se hai la sfiga di vivere nell’anno che capita ogni 500 anni, ti becchi pure la pandemia. No. La vita non è bella.
Io non vivo per rendere bella la mia vita, ma vivo perché continuo, nonostante tutto, a credere che un motivo per vivere c’è, non sono magari sicuro di quale sia, ma c’è. Per forza ci deve essere. Nel film La strada di Federico Fellini il pagliaccio prende in mano un sasso e dice (cito a memoria): «Io non so perché questo sasso è qui, ma un motivo c’è». Io certamente valgo più di un sasso.
Un giorno un mio caro amico non credente disse, commuovendosi davanti a centinaia di persone: «Io credevo che voi aveste bisogno di Dio per sublimare la paura della morte, da qualche tempo, frequentandovi, comincio a pensare che ci sia bisogno di Dio per poter dire grazie a qualcuno». La mia vita è una continua rincorsa verso quel grazie lì. Io vivo per poter dire grazie. Anche se quel grazie ha il volto del Covid-19. Non so perché, ma grazie.
Foto Ansa
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