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La mia amicizia con Mirjam Viterbi Ben Horin

Si è spenta il 15 novembre una cara amica ebrea, poetessa, che conobbe le persecuzioni razziali e che maturò un interesse profondo per il dialogo interreligioso

Massimo Camisasca
16/11/2022 - 6:24
Società
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Monsignor Massimo Camisasca con Mirjam Viterbi Ben Horin a Gerusalemme nel 2022

All’inizio degli anni ‘80 vivevo a Roma. Mi occupavo di relazioni pubbliche tra CL e la Santa Sede. Soprattutto, attraverso il suo segretario, ero in contatto continuo con Giovanni Paolo II. Non so per quali vie conobbi Nathan Ben Horin, diplomatico presso l’ambasciata di Israele in Italia, in realtà si occupava di preparare l’ufficializzazione delle relazioni tra Santa Sede e Stato di Israele. Di tutto quel lavoro ha lasciato resoconto nel libro Nuovi orizzonti tra ebrei e cristiani (Edizioni Messaggero 2011).

Nathan oltre che un finissimo diplomatico era un vero figlio del “popolo santo”. Alla scuola di alcuni maestri come l’ambasciatore Maurice Fischer, andò mano mano crescendo in lui un interesse per il cristianesimo e per il dialogo fra cristiani ed ebrei, intessuto non tanto di dibattiti teologici quanto di rapporti personali.

Nathan e Mirjam

Attraverso di lui feci il mio primo viaggio in Terra Santa, invitato dal governo israeliano. Ebbi molti incontri, ma fui anche lasciato libero di visitare e vedere chi volevo. Nathan mi accompagnò in Galilea, andammo insieme in barca sul lago di Genesaret, mi portò fino a Cesarea di Filippi e al Golan al confine con il Libano e la Siria.

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Il mio rapporto con lui si andò approfondendo negli anni. Era interessato a tutto ciò che accadeva nella Chiesa. Voleva conoscere i movimenti e stimava tantissimo Giovanni Paolo II. Lo feci incontrare anche con don Giussani in via Martinengo a Milano. La sua famiglia restava per me allora sullo sfondo. A poco a poco, nei pranzi a cui lo invitato nel seminario della Fraternità San Carlo, prima in via Liberiana e poi in via Boccea, comparve la moglie Mirjam.

Mentre Nathan era nativo di un paese del centro Europa, Mirjam era italiana, di Padova, dove il padre era docente universitario. La loro famiglia aveva una storia antichissima in quella città. Mirjam mi raccontava di aver ricostruito l’albero genealogico risalendo fino al XV secolo. Nel 1943 lei, la sorella, il papà e la mamma, a seguito delle orribili Leggi Razziali, furono costretti a lasciare la loro casa e il lavoro. Trovarono rifugio ad Assisi, dove il vescovo Giovanni Placido Nicolini aveva incaricato un suo fedele sacerdote, don Aldo Brunacci, di accogliere in luoghi non esposti alcune famiglie di ebrei e soprattutto di creare documenti falsi perché celare la loro vera identità.

Scrittrice e poetessa

In quegli anni Mirjam scrive un romanzo. È una bambina di circa dieci anni. Di recente è stato ritrovato e pubblicato il quaderno che lo raccoglie, scritto a mano da Mirjam e illustrato da suoi disegni, che si intitola Gli abitanti del castelletto (Edizioni Francescane Italiane 2020). Nelle ore terribili di quei mesi nel nascondimento scrive una storia non per evadere, ma per affermare che pur dentro il buio si può trovare la luce.

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Nel tempo, in Mirjam maturò un interesse profondo per il dialogo interreligioso. Fu una delle animatrici dei Colloqui di Camaldoli. I suoi interventi in queste occasioni sono stati raccolti nel volume Verso l’Uno: una lettura ebraica della fede (EDB 2005).

Mirjam era una scrittrice – Con gli occhi di allora (Morcelliana 2008) è il racconto degli anni passati ad Assisi nel terrore di essere scoperti e nella gioia di sentirsi vivere – ma era una pianista, una neurologa, una psichiatra, e soprattutto una poetessa. Ho raccolto alcune sue poesie in un volumetto pro manuscripto che lei ha intitolato Il viandante (Roma 2013).

«Ho moltissime cose da fare»

Da quando Nathan si era ammalato Mirjam soffriva di solitudine. Poi Nathan è morto. Accanto a lei ci sono stati, certamente, i nipoti e i pronipoti. Uno dei rapporti privilegiati Mirjam ha voluto tenerlo con me. Mi leggeva le sue poesie, soprattutto quelle dedicate al grande mistero di Dio e delle diverse strade che conducono a lui. Me le faceva arrivare attraverso una suora, una clarissa di Gerusalemme. Mirjam non aveva né indirizzo mail, né computer. L’ultima che mi ha scritto, all’inizio dell’anno, mi ha talmente colpito che ho voluto ringraziarla con un mio piccolo commento (poesia e commento le potete leggere qui alla fine di questo ricordo).

Mirjam da tre anni viveva una mobilità sempre più ridotta, respirava a fatica, ma restava vivacissima: «Ho ancora moltissime cose da fare», mi diceva sempre. L’incontro tra le nostre due persone e le nostre due diverse religioni era diventato per lei un assillo, ma anche una fonte di ricerca continua. Il tema della preghiera era uno dei più assidui fra noi. Sempre mi chiedeva di pregare per lei e di benedirla.

Mirjam è salita al Cielo il 15 novembre alle 7 di mattina.

***

La nascita di un bambino

usualmente viene vissuta

come un evento festivo.

Ma non è così

o, per lo più, non è così.

Per la piccola creatura

che entra nel mondo

ha inizio un cammino sconosciuto

ove incontrerà

anche sofferenza e dolore.

Ma nel fondo di ogni oscurità

c’è, in ognuno di noi

una piccola luce, un punto luminoso

come segno di appartenenza

all’Eternità.

Noi dobbiamo scoprirlo

proteggerlo e aiutarlo

a crescere.

La crescita delle nostre

piccole luci

mira ad aumentare

la Grande luce.

Questa fusione

è, forse,

la vera nascita.

E in alto,

dove sono dirette,

c’è una grande

Cupola Luminosa

che guida e protegge

chi è ancora

in cammino.

Ma al di là

e al di sopra

di tutto questo

c’è uno spazio

immenso.

È il Luogo

del Mistero

ove tutto

ha origine.

È il Luogo

dell’Inconoscibile.

(Mirjam Viterbi Ben Horin, gennaio 2022)

 

Il testo che Myriam ci ha donato inizia con una riflessione luminosa e dolorosa.

Da una parte la nascita è sempre una sorpresa, anzi è la somma sorpresa, che mi interrogherà tutta la vita (“Perché io? Ed io chi sono?”), dall’altra essa immette in una serie di vicende che saranno segnate anche dal male e dal dolore. Il male e il dolore di cui Mirjam parla sono stati per lei soprattutto le Leggi Razziali e la Shoah. E qui le domande si infittiscono (“Perché a me? Perché questo male? Da dove viene tutto ciò?”). Rimangono, come espressione di tutto ciò, le parole di Giobbe e di Geremia, per limitarci all’ambito biblico: «Fosse andato perduto il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: È stato concepito un uomo» (Gb 3,3). «Maledetto il giorno in cui nacqui, il giorno in cui mia madre mi mise alla luce» (Ger 20,14).

Ma lo sguardo di Myriam, che pure ha visto il dolore e il male, non si ferma qui. Ella sa per esperienza che «al fondo di ogni oscurità c’è una piccola luce». Trovo, all’origine di questa certezza, che sembrerebbe contraddetta da tanta malvagità di cui siamo venuti a conoscenza nella storia del mondo, una pagina del libro della Genesi: Dio creò l’uomo e la donna a sua immagine (Gen 1,26). Tale immagine è la luce nascosta dentro di noi, spesso in un fondo lontano (sant’Agostino: nell’intimità più intima del mio essere), che non può essere spenta, a meno che l’uomo stesso non voglia soffocarla. È il segno attivo della nostra appartenenza all’Eternità, all’Eterno. Questo punto luminoso è affidato all’educazione. Lo scopo di una vera autorità che favorisca la nostra crescita è questa: proteggere e aiutare la luce.

Myriam parla di vera nascita che avviene quando queste piccole luci si fondono. Io preferisco parlare di incontro. La mia luce non sparisce nelle altre, ma si incontrano in una comunione.

Desidero mettere in evidenza alcune espressioni di Myriam. La piccola luce che c’è in noi è «segno di appartenenza all’eternità». Il nostro tempo post-moderno ha paura dell’appartenenza. Pensa che appartenere sia in contraddizione con la libertà. Non sa che la vera libertà coincide con la scoperta dei legami che ci costituiscono, con la nostra creaturalità.

Poi ci sono tre verbi: scoprire, proteggere, aiutare a crescere. Sono tre momenti fondamentali della vita: scoprire la sua fonte, la sua origine, proteggerla da chi la insidia, essere autorità che fa maturare nella giusta direzione.

La Grande luce chi è? Essa non è soltanto la somma, la fusione, l’incontro delle nostre piccole luci, ma è una Luce che ci precede e ci attende, che ha generato le nostre stesse piccole luci. La vera nascita è l’incontro delle piccole luci con la Grande luce: è un incontro in cui non perdiamo il nostro volto personale, ma lo scopriamo in relazione con gli altri e con la Grande luce. Questa nuova luce è la nostra salvezza.

La Cupola luminosa che guida il cammino in quale relazione sta con la Grande luce? Io penso ad una relazione molto stretta. La cupola è la stessa Grande luce in una sua nuova donazione.

Massimo Camisasca

Luino, 16 novembre 2022

Tags: Giovanni Paolo IIIsraeleleggi razzialiLuigi GiussaniMassimo Camisasca
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