Allah, discuterne è un tabù
Aveva appena iniziato a raccontarlo, quel dialogo tra Manuele II Paleologo e un colto persiano del 1391, che già il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister cominciava ad agitarsi: «Scegliere di argomentare la sua lezione fin dalle prime battute con un dibattito concernente il rapporto tra cristianesimo e fede islamica. dove vuole arrivare il Papa?». Molti commentatori hanno scelto di chiudere il discorso su quel «mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo cose cattive e disumane»; bastava questo per trovare un titolo. Per il vaticanista dell’Espresso, invece, «all’originalità dell’incipit è seguita una ancor più sorprendente lezione sulla storia della cultura e della fede occidentale». Spiega a Tempi un ammirato Magister: «un’originalità richiamata proprio dai cenni a ciò che caratterizza invece la fede islamica». È proprio nel richiamo alle conseguenze dell’antinomia tra il dio logos, cristiano e il dio arbitrio dell’islam che il giornalista coglie «il senso di tutta la lezione di Ratzinger. Che insiste nel ricordare come il messaggio biblico sia, per il disegno provvidenziale, indissolubilmente legato alla sapienza che ha preso corpo e luce, quasi fosse un illuminismo ante litteram, nella cultura greca del IV/ V secolo a.C.». è questa la novità del pontificato di Benedetto XVI, la difesa dell’intreccio tra fede e sapienza che ha vissuto e vive momenti di oscuramento anche nella Chiesa di oggi, «nella quale permane l’illusione di poter dis-ellenizzare il cristianesimo, una volontà espressa bene in una lettura distorta dell'”inculturazione”. La pretesa cioè di presentare alle culture diverse da quella europea un cristianesimo prima “ripulito” dei suoi elementi accessori greci ed ellenici, e quindi integrato con elementi provenienti dalle culture in cui il messaggio evangelico viene trasmesso». Un’illusione, perché «come il cristianesimo ha il suo cuore nel Dio che prende carne, così la fede cristiana è incarnata da una sapienza umana. Naturalmente tutto questo – conclude Magister – potrebbe essere assunto come il dotto eloquio di un grande pensatore. Ma in realtà è un messaggio che ha una pregnanza di portata straordinaria per la vita della Chiesa, in quanto da questo tipo di lettura dipendono scelte operative molto concrete. In questa grande lezione Benedetto XVI ha dettato, infatti, la missione del suo pontificato e il suo umile ruolo di “giumento di dio”, di bue che trascina l’aratro nel solco del campo divino».
Anche per lo storico Alberto Melloni l’intervento del Papa rappresenta un punto decisivo in quanto «è il discorso più impegnato che ha fatto finora, anche più dell’enciclica, nel quale c’è una posizione che, rispetto a quanto diceva l’allora cardinale Ratzinger, è più aperta per quanto riguarda la possibilità della fede di parlare a tutti. È una difesa molto accanita e puntigliosa verso chi sostiene che lui è, in fondo, un platonico del pensare». Per lo storico andrebbe tuttavia discussa l’identificazione con la cultura greca che viene affermata con una «radicalità curiosa, molto forte e anche contestabile, perché l’idea di tradurre il logos del Prologo di Giovanni con “ragione” anziché con “parola” è una questione disputata». Il rischio dunque che correrebbe Ratzinger è quello di proporre una posizione eccessivamente «angolata», «magisteriale e assoluta».
Per un dialogo tra fede e cultura laica
La necessità di un dialogo interreligioso e di un confronto fra culture sembra essere invece il punto che maggiormente ha colpito lo slavista Vittorio Strada, che giudica il discorso del Papa «un’ottima lezione ad alto livello culturale e intellettuale, e un momento chiarificatore a proposito della posizione della Chiesa nel rapporto con l’islam». È stato sottolineata «l’importanza del ruolo della ragione nella Chiesa cattolica, come punto di appoggio alla fede e non come sua alternativa. Le parole del Pontefice continuano un dialogo collaborativo tra fede e cultura laica». E in particolare, per quanto riguarda il rapporto con l’islam, «la diversità non è concepita in funzione di una contrapposizione, ma di una chiarificazione della diversità stessa. La posizione non è di polemica né di un generico e banale unitarismo (in cui spesso cade la stessa Chiesa cattolica), in quanto la diversità viene precisata sul piano storico e dottrinale».
Nella stessa prospettiva di dialogo si pone anche Souad Sbai, direttrice del mensile Al Maghrebiya e presidentessa dell’associazione delle donne marocchine in Italia. Senza dimenticare però che è in problematiche concrete come l’immigrazione che si riflettono fenomeni preoccupanti come l’intolleranza e l’integralismo: «Non mi capacito ancora della mancata partecipazione di Zapatero alla Messa del Papa, ma capisco che questo episodio sia solo il campanello d’allarme di una tendenza diffusa, ossia il non rispetto delle religioni. Stimo il Papa che richiama costantemente il popolo cristiano a riaffermare con forza la propria fede nel dialogo con l’islam moderato. A non curarsi della propria fede, l’Occidente rischia di incentivare posizioni estremiste nei musulmani. Essendo cresciuta in una casa in Marocco aperta a tutti, dove cristiani, ebrei e musulmani mangiavano e vivevano insieme, fianco a fianco, non posso che unirmi con forza all’appello del Papa: ritornate a credere, cristiani, perché chi torna a Dio ha una pace che vale per tutte le religioni».
E l’auspicio di una reale tolleranza è anche di Riccardo Pacifici, portavoce della comunità ebraica di Roma, per il quale «il messaggio del Papa si inserisce in un contesto in cui l’Occidente nel rapporto col mondo islamico deve impegnarsi, da un lato, con la presenza dell’islam genuino, i cui valori possono essere in parte condivisi per la costruzione di un benessere comune, dall’altro, nella lotta ai predicatori dell’odio», molti dei quali educati e cresciuti fra le mura delle madrasse. Importanti nel rapporto necessario che l’Occidente deve intrecciare con le minoranze sia etniche sia religiose, sono «i valori dell’accoglienza, ma anche la conoscenza e il rispetto delle leggi civili dello Stato». Va tenuto presente che «un conto è parlare di laicità delle istituzioni, un conto invece è affrontare il problema del laicismo».
Ma io preferisco Bush
Plausi laico-riformisti, ma con qualche riserva, alla lezione di Benedetto XVI da parte di Antonio Polito, senatore della Margherita e fondatore de Il Riformista, che a Tempi commenta: «A Ratisbona il Papa ha fatto una cosa che Giovanni Paolo II aveva sempre evitato: ha discusso nel merito teologico l’islam. Io personalmente preferisco una discussione nel merito ideologico del fondamentalismo islamico. Ovvero, paradossalmente, preferisco l’attacco agli “islamofascisti” fatto da George W. Bush, lo trovo più efficace per la battaglia che siamo chiamati a combattere. Detto questo, è interessante il riferimento che il Papa ha fatto alla diversità del cristianesimo in quanto religione capace di abbracciare la ragione, mentre il Dio dell’islam è talmente assoluto da escluderne completamente il valore. Questo è il frutto del rapporto fecondo tra religione cristiana e ragione umana, tra fede e libertà».
Raggiunti poi dai microfoni di Tempi Carlo Rossella e Franco Zeffirelli commentano rispettivamente il discorso del Papa con un «ci voleva» e «finalmente!». «Non sono un teologo – precisa il direttore del tg5 – ma condivido pienamente il pensiero del Papa e ripeto: “ci voleva!”. Quella di Ratisbona è stata una lectio magistralis per tutti noi occidentali, costretti a vivere nel mondo in cui viviamo, ad affrontare un attacco violento verso la nostra civiltà. Ci voleva, in tal senso, un discorso forte perché ultimamente tra politica delle porte aperte, meticciato, multiculturalismo e tolleranza totale quando ci ritroviamo di fronte all’intolleranza dell’islam radicale non sappiamo cosa fare, come reagire, come difenderci. L’11 settembre, l’11 marzo, il 7 luglio londinese ci dicono che l’Occidente è sotto attacco e quindi dopo Ratisbona io mi sento meglio, moralmente rinfrancato dopo mesi di chiacchiericcio politico sterile. Il Papa, con questo discorso, ci ha indicato una strada da percorrere».
Il vangelo dei poveretti
Una strada che il regista Zeffirelli aspettava con impazienza quasi militare: «è da un pezzo che aspettavo che il Papa chiarisse il senso del cosiddetto “scontro di civiltà”, tra una civiltà che affonda le sue radici nel cristianesimo, e per questo arrivata a straordinari risultati di libertà, e una civiltà arrogantemente ferma a una posizione quasi medioevale, priva di bagliori illuministici. San Tommaso diceva: non abbiate timore di scegliere fra il bene il male, di sapere se la cosa che fate è buona o cattiva. Se saprete come interrogare il vostro animo saprete automaticamente cos’è giusto e ingiusto. E il “vangelo” predicato da certi poveretti è ingiusto. Il punto è che noi non possiamo limitarci a strapparli dalle onde di un traghetto qualsiasi per poi trattarli come carne da lavoro. Dovremmo avere il coraggio dell’educatore. Dovremmo, perché paradossalmente l’Occidente è diventato vittima della sua conquistata libertà e del progresso illimitato. Spero che Dio dia lunga vita a questo Papa che, sono certo, ha appena iniziato a parlare, e che la Chiesa indichi con più forza il bene e il male a chi non è capace di distinguerli. A noi per primi, vittime di questo liberalismo privo di altra regola che non quella del vivere quotidiano. Ai maestri delle nostre scuole, dove l’educazione è sempre più in emergenza e ciò che si insegna è la confusione imparata dagli ex allievi degli anni Settanta. Come possiamo diventare responsabili di persone spesso innocenti e mal guidate, quando non sappiamo più educare e guidare i nostri figli ai valori e ai principi della nostra civiltà? Occorre una Chiesa, una Chiesa molto militante e capace di prendere posizione sul fronte educazione e su tutte le problematiche che ad esso collegate. Lo deve fare, difendere la verità con tutta la forza che Dio le ha dato».
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