

Alan Aldridge. Nacque il 1° giugno 1943. Nacque a Mile End, un quartiere a est di Londra che può contare molti primati, come quello di essere stato la sede del primo teatro yiddish fondato da immigrati russi, o quello di essere stato il primo quartiere colpito da una V1 durante la guerra, ma non quello di avere ospitato la parte più agiata della popolazione londinese. A quattordici anni Alan lasciò la scuola per fare lo scaricatore nei dock, l’ambulante nei mercati, lo spiumatore di polli in una macelleria musulmana. Scoprì la sua strada nella vita pitturando le scene per l’Old Vic.
Dall’yiddish dei suoi amici di strada imparò che un po’ di chutzpah, di faccia tosta, nella vita non guasta. Si fece assumere in uno studio di grafica spacciando come suo il portfolio della sua ragazza. Per presentarsi al lavoro rubò l’abito di un cliente di un bagno pubblico. Ma il talento gli apparteneva tutto. Quando vide i suoi lavori, Germano Facetti, il designer italiano dagli esordi avventurosi che aveva già cambiato per sempre la faccia editoriale della Penguin Books, gli offrì un lavoro.
Alan Aldridge era già celebre, avendo trasformando in ventiquattro ore in un’opera d’arte l’auto Mini che fece storia sulla copertina del numero del Sunday Times dedicato all’“Automania”, quando i Beatles lo scelsero nel 1966 per illustrare un articolo sul loro album Revolver. John Lennon lo volle conoscere. Da quel momento Aldridge divenne l’illustratore di fiducia dei “Fab Four” che lo vollero per tutte le iniziative della Apple Corps Ltd., tra cui il celebre The Beatles Illustrated Lyrics con le sue interpretazioni di Yellow Submarine e A Hard Day’s Night. In una cerimonia scherzosa John Lennon lo nominò Maestro reale delle immagini delle loro Maestà i Beatles.
Nel mondo della cultura pop Aldridge era conosciuto come il Beardsley (il disegnatore di culto dell’art nouveau inglese) in jeans. Alla sua collaborazione ricorsero i Rolling Stones e sopratutto Elton John. Ma il suo risultato più popolare furono le illustrazioni per un libro per l’infanzia su una festa nel mondo degli insetti, The Butterfly Ball and the Grasshopper’s Feast, ispirato a una poesia del 1802 di William Roscoe. Il libro divenne subito un corto e poi un’opera rock. È morto venerdì 17 febbraio.
Dopo la liberazione si laureò in legge, scrisse testi d’educazione civica e lavorò in uno studio legale. Ma soprattutto si dedicò alla politica, soprattutto alla politica culturale musicale. Intervenne come critico sull’Avanti, sull’Unità, su Rinascita, ma rifiutò la definizione di musicologo. Si diceva invece storico della musica, perché la musicologia tendeva a chiudersi in un ambito specialistico, mentre a lui interessava l’interazione continua tra musica e società.
Esemplificò il suo punto di vista in un piccolo libro intitolato La scuola nazionale russa, pubblicato da Ricordi nel 1958. Due anni prima, la destalinizzazione voluta dal XX congresso del Pcus lo aveva convinto a iscriversi al Pci. Intanto aveva intrecciato rapporti di amicizia e collaborazione con musicisti e studiosi che gli permettevano di sviluppare la sua idea ecumenica di musica: con Roberto Leydi coltivò l’interesse per la musica popolare, di lavoro e di protesta; con Luigi Nono e Giacomo Manzoni difese e propose la musica colta d’avanguardia; con Maurizio Pollini (e Claudio Abbado) lavorò per portare la grande musica in luoghi come le fabbriche e i centri civici accessibili a un pubblico altrimenti escluso. Fondò e diresse riviste e collane per la Ricordi. Le Sfere, la più importante collana di musicologia italiana, e la rivista Musica e Realtà sono ancora vitali presso la Lim, la Libreria musicale italiana, del suo amico Silvio Malgarini. È morto giovedì 23 febbraio.
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