Così Al Jazeera vuole invadere l’Europa. Passando attraverso le porte spalancate dell’Italia e del suo calcio
Sono anni che l’ex “fratello povero” dei regni del Golfo non è più povero affatto e anzi stupisce un’umanità immiserita dalla crisi con i suoi investimenti miliardari. Con l’imponente flusso di denaro assicurato da riserve di gas e petrolio che potrebbero essere sfruttate per i tre secoli a venire, il piccolo emirato vanta oggi secondo il Fondo monetario internazionale il Pil pro capite più alto del mondo, oltre 100 mila dollari a testa; dollari che però sono “a testa” solo teoricamente, poiché il Qatar è una monarchia non assoluta ma assolutissima, dove tutto è in mano alla famiglia reale, gli Al Thani, che con ogni evidenza alla redistribuzione in favore dei loro due milioni di sudditi preferiscono decisamente lo shopping globale.
Se a livello diplomatico gli ambiziosi regnanti di Doha provano a ritagliarsi un ruolo preminente spostando equilibri in alcune delle partite più esplosive del Medio Oriente, anche con conseguenze disastrose, a livello economico la loro ipertrofia sembra essere guidata, più che dal profitto, da un esibizionismo sconfinato. Attraverso il loro fondo sovrano, la Qatar Investment Authority, o per mezzo di società che fanno capo ad esso, quando non direttamente alla famiglia, i ricchissimi sceicchi qatarioti si comprano quello che vogliono, quando vogliono, dove vogliono.
Lusso (hotel a mille stelle sparsi dappertutto, società immobiliari come Canary Wharf a Londra, Porta Nuova a Milano e Costa Smeralda in Sardegna, marchi di prestigio come Valentino, Harrods, Sainsbury), cultura (Education City, periferia di Doha, pullula di campus satellite di università americane ed europee), sport (Paris Saint-Germain e Malaga, oltre al Mondiale 2022), alta finanza (partecipazioni di peso in Barclays, Credit Suisse, Bank of America, e giusto un paio di settimane fa gli Al Thani sono diventati primi azionisti di Deutsche Bank attraverso la Paramount Services Holding).
Tutti miliardi buttati? Da un certo punto di vista, in parte lo sono sicuramente. Ma dal punto di vista dei padroni del Qatar, è più corretto chiamarli investimenti a scopo di “branding”. Costruzione del marchio. Operazione che per il minuscolo emirato, evidentemente, non ha prezzo. È in questa ottica che bisogna provare a osservare lo scenario, dato ormai da molti come imminente, di un possibile massiccio raid in Europa di Al Jazeera, altro strumento chiave della costosissima politica estera del Qatar. E per fissarlo bene bisogna partire proprio dall’Italia, perché è qui che si potrebbe decidere il successo o il fallimento della sua strategia.
Già si spulciano i conti
Da qualche mese si moltiplicano ricostruzioni di stampa che parlano di un forte interessamento di Al Jazeera verso Mediaset Premium. Non è un segreto che la pay tv dei Berlusconi, nata nel 2005 più che altro per non lasciare il campo libero a Rupert Murdoch e alla sua Sky, finora abbia sempre giocato in difesa. Il core business del Biscione resta la tv generalista, mentre quella a pagamento ha rappresentato fin qui solo una voragine: con due milioni di abbonati che pagano ogni mese mediamente la metà dei 4,7 milioni di clienti Sky, a fronte di servizi tutto sommato paragonabili, la battaglia non poteva che risolversi in un sanguinoso disavanzo per l’emittente di Cologno Monzese.
E sebbene nel 2014 l’azienda preveda di raggiungere il pareggio di bilancio, le perdite operative cumulate in questi otto anni sono stimate in ben 400 milioni di euro. Questo e altro, pur di azzoppare il concorrente più pericoloso e mantenere prospero il mercato dei canali “tradizionali”. Ma il catenaccio anti-Sky comincia a costare un po’ troppo a Mediaset. Che infatti a dicembre ha cominciato a guardarsi intorno in cerca di alleati, se non di compratori. E chi ce li ha i soldi necessari per continuare a braccare lo Squalo dei media Rupert Murdoch? Il Qatar, per esempio.
Qualche indizio sembra corroborare l’ipotesi di un avvicinamento di Al Jazeera all’Italia. Due settimane fa diverse testate economiche hanno confermato addirittura l’avvio della due diligence su Mediaset Premium per conto del network qatariota. Poi ci sono i quasi 700 milioni di euro con cui Mediaset si è aggiudicata l’esclusiva dei diritti tv della Champions League 2015-2018, un 44 per cento in più rispetto all’asta precedente che ha spiazzato Sky e che molti interpretano come un tentativo da parte dell’azienda berlusconiana di rendersi più appetitosa agli occhi degli arabi. A qualcuno inoltre le varie indiscrezioni hanno fatto tornare alla mente che in effetti a Milano esiste già da quattro anni una certa società denominata Al Jazeera Sport Italy, anche se a tutt’oggi non risulta essere operativa, che tra l’altro è amministrata dal “solito” Nasser Ghanim al Khelaïfi, la propaggine sportiva dell’emiro Al Thani (tra le altre cose è presidente della Qatar Sports Investments e del Psg, oltre che direttore di Al Jazeera Sport).
Con ogni probabilità, comunque, una indicazione più precisa riguardo alle intenzioni dell’emittente di Doha arriverà nei giorni in cui esce in edicola questo numero di Tempi, quando si apriranno le buste con le offerte per i diritti tv della Serie A (qui un aggiornamento da repubblica.it). Mediaset cercherà di fare l’en plein (Champions più campionato) per allargare i propri asset e ingolosire ulteriormente Al Jazeera? O quest’ultima entrerà direttamente nel mercato aggiudicandosi pacchetti di partite da distribuire sulle due piattaforme pay, satellitare e digitale, come ha fatto in Francia?
In ogni caso, è proprio studiando il precedente francese che gli esperti di mercato lanciano avvertimenti non trascurabili per un paese che si prepara a ricevere in casa un ospite invadente come Al Jazeera. La rete del Qatar non è una tv come le altre. Non solo perché fa riferimento al ministero degli Affari esteri e della Cultura di una monarchia assoluta araba e musulmana fortemente dedicata alla promozione di se stessa.
Non solo per il ruolo di narratore interessato che ha ricoperto e ricopre nelle cosiddette “primavere arabe”, spesso a fianco di quei Fratelli Musulmani che il sovrano di Doha ha finanziato copiosamente (Tunisia, Egitto), e comunque sempre in chiave anti-saudita. Non solo perché quel ruolo almeno in un caso (Libia) è stato decisivo per determinare il successo di una rivolta che ha rovesciato un capo di Stato nemico e precipitato un paese nell’anarchia. Parlando di sport e diritti tv, queste sono tutte considerazioni che possono sembrare ininfluenti.
È proprio il modo di competere ad aver reso Al Jazeera una specie di nemico pubblico Oltralpe. Al contrario degli operatori “normali”, infatti, il network arabo non sembra avere la fregola di generare profitti. Nemmeno di evitare perdite. E questo non è un problema da poco per un mercato libero, specie se riguarda il concorrente potenzialmente più ricco di tutti.
Quell’infausto precedente
In Francia Al Jazeera è entrata a cavallo tra il 2010 e il 2011 attraverso la controllata beIN Sports, nata in Qatar solo una decina di anni fa e rapidamente affermatasi – sempre grazie a spese faraoniche con poco ritorno – come principale emittente sportiva del Medio Oriente. Il ramo francese di beIN Sports possiede due canali tematici più otto in simulcast per le partite in contemporanea. L’intero pacchetto è acquistabile su tutte le piattaforme pay per un prezzo totale di 12 euro al mese.
Una cifra ridicola in cambio della quale i qatarioti sono in grado di offrire ai loro 1,7 milioni di clienti match di Ligue 1, Ligue 2, Champions e Europa League, Mondiali 2014. Senza contare campionati e tornei di leghe estere. Ovvio che l’incasso non può remunerare neanche lontanamente l’esborso necessario per aggiudicarsi tutti quei diritti tv. Infatti beIN Sports opera in perdita per ben 300 milioni l’anno. Ma questo non è un guaio, per un’azienda coperta alle spalle da un Stato che ha risorse praticamente infinite, e non le impedirà di continuare a competere lanciando offerte stratosferiche per i pacchetti di diritti più ambiti.
Risultato? Gli altri operatori della pay tv sono costretti a inseguire e rilanciare profumatamente, se vogliono garantire ai propri clienti servizi all’altezza dei nuovi arrivati (per altro con poco gioco sulle tariffe, già molto più alte di quelli fatte da Al Jazeera). E i prezzi dei diritti esplodono. Per alcuni pacchetti sono già raddoppiati rispetto alle stagioni precedenti allo sbarco dei qatarioti.
Il Mondiale delle tangenti
Sono tutti soldi “da buttare via” che un gruppo come Canal Plus, tanto per fare il nome più importante del panorama francese, comprensibilmente deve provare a reperire tagliando altri investimenti. Mica tutti stanno seduti sulla terza riserva di gas naturale al mondo. Canal Plus da qualche parte deve pur tagliare. Ecco perché l’universo della cultura francese, in particolare il cinema (linfa vitale per l’economia transalpina), è in agitazione: perché vede messo a repentaglio il flusso di risorse tradizionalmente garantito da uno dei principali produttori nazionali.
Secondo Canal Plus l’atteggiamento “predatorio” dei qatarioti è talmente evidente da averla convinta a intentare una causa per concorrenza sleale contro beIN Sports presso il Tribunale di commercio di Parigi. Il verdetto è atteso per questo mese, e il cinema francese fa il tifo compatto per Canal Plus.
Ma la campagna di Francia degli emiri va ripercorsa nel suo complesso per capire il modo di intrecciare (ingarbugliare) affari e politica che piace a Doha. Infatti, come ha rivelato l’anno scorso la rivista France Football, l’ingresso di Al Jazeera nel mercato delle pay tv francesi fu deciso il 23 novembre del 2010 durante una cena all’Eliseo tra l’allora presidente Nicolas Sarkozy, il presidente dell’Uefa Michel Platini e lo sceicco Tamim bin Hamad al Thani, all’epoca erede al trono del Qatar (suo padre, lo sceicco Hamad bin Khalifa al Thani, ha abdicato in suo favore nel giugno scorso).
A quanto pare, il libero accesso ad Al Jazeera fu la contropartita garantita da Sarkò al futuro emiro in cambio di investimenti importanti nell’industria del paese (gruppo Lagardère) e soprattutto del salvataggio del Paris Saint-Germain, poi effettivamente rilevato dalla Colony Capital di Sébastien Bazin (a sua volta presente alla leggendaria cena) per 70 milioni di euro. L’altro impegno assunto dai francesi seduti al tavolo sarebbe stato, secondo le fonti, il sostegno di Parigi alla candidatura del Qatar come nazione ospite del Mondiale 2022. Platini, pur confermando l’incontro con Sarkozy e Al Thani, ha cercato di smentire questo dettaglio. Fatto sta tuttavia che di lì a pochi giorni l’emirato si vide davvero assegnare dalla Fifa quello che voleva. Anche grazie al voto unanime dell’Uefa di Platini.
Ebbene, a proposito di “concorrenza sleale”, dal primo di giugno c’è qualche ipotesi in più su come il Qatar, un paese dove d’estate le temperature si avvicinano ai 50 gradi, sia riuscito a ottenere una designazione che lo stesso ras della Fifa Sepp Blatter ha più volte definito «un errore». Il Sunday Times, domenicale britannico del gruppo Murdoch, sostiene di avere «milioni» di documenti – continuerà a pubblicarli a puntate nelle prossime settimane – che proverebbero le tangenti versate dagli emissari degli sceicchi ai rappresentanti di numerose federazioni per convincerli a votare a favore.
Quanto al Psg, è ormai conclamato il trucco escogitato dagli Al Thani per aggirare le regole del fair play finanziario e continuare a inondare di denaro i loro campioni: con i 200 milioni di sponsorizzazione della Qatar Tourism Authority, chiunque riuscirebbe a totalizzare i 254,7 milioni di ricavi dichiarati dal club. Sono gli altri, se mai, che hanno un problema.
La resistenza spagnola
Tornando al ventilato raid europeo di Al Jazeera attraverso la porta spalancata di Cologno Monzese, occorre aggiungere che nella partita Mediaset Premium dovrebbe entrare, almeno nelle mire dei qatarioti, pure la partecipazione del Biscione nella spagnola Digital Plus (22 per cento), che per gli arabi rappresenterebbe un lasciapassare per provare a penetrare anche nel mercato iberico. A Madrid, però, il governo popolare di Mariano Rajoy, con il caso Francia bene impresso in testa, ha deciso di impedire l’avanzata degli emiri: sarebbe stato lui a chiedere a Telefonica di intervenire nei primi giorni di maggio con l’offerta di 725 milioni di euro per il 56 per cento di Digital Plus che il gruppo Prisa, l’attuale detentore, non ha potuto rifiutare.
E che di fatto preclude a Mediaset la possibilità di portare in dote ad Al Jazeera anche la maggioranza della pay tv spagnola. L’accordo tra Prisa e Telefonica potrebbe essere chiuso a metà giugno. A meno che Mediaset non decida di tentare di lanciare una controfferta, o magari di stringere un’alleanza con Telefonica, dopo che ci ha provato direttamente la stessa Al Jazeera. Invano.
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6 commenti
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Il mercato troppo libero porta a questi squilibri.
Il mercato troppo libero può funzionare solamente dove non ci sono persone che mettono sempre ed esclusivamente al primo posto il denaro ed il proprio egoismo.
Un mercato senza valori e senza difese contro i più ricchi ed i più furbi, porta all’impoverimento dei più deboli.
Tutelare il territorio e le persone che ci vivono, a partire da quelle più fragili, è il primo dovere per un Governo.
Sono d’accordo, Andrea, i marxisti credevano, e credono che tramite il comunismo si potesse giungere ad una società senza classi, dove si sarebbe respirata un’aria idilliaca.Ma il marxismo è una dottrina talmente utopistica ,irrealistica , che sopratutto non tiene presente il fattore Uomo, o Persona.I liberisti, o liberali, commettono lo stesso errore, solo che essi pensano ad una altrettanto idilliaca società regolata semplicemente dalla “invisibile mano del mercato” che sistema tutto.Due dottrine bislacche , che pur avendo alcuni connotati positivi e condivisibili, hanno creato (e creano ) una valanga di danni.
E’ proprio cosi’. Molto spesso, oltretutto si dimentica che l’andamento negativo dell’ economia e’ un sintomo del degrado dei valori della nostra societa’… Il non potersi piu’ fidare costa uno sproposito e ne vanno di mezzo anche i pochi che meriterebbero fiducia.
Triste fine per mediaset !
ma ciò che mi provoca dolore è che chi dovrebbe proteggerci la nostra classe politica ci da in pasto ai lupi … ora se ci sono centinaia di malati jihadisti poi ce ne saranno migliaia e romperanno seriamente ora mi attando un colpo di stato militare come in egitto stare sotto dittatura militare è meglio che vivere nella “democrazia” comunista e jihadista . Preferisco essere protetta da un commando di soldati fedeli alla patria che veder sedere nelle laide poltrone vellutate dei malati mentali che condonano genocidi insieme a sti malati di qataresi turchi e sauditi . Fra un po’ sarà più cnveniente trasferirsi in egitto almeno abbiamo il cul protetto che stare fra sti malati quelli si aggiustano da quelle parti e noi ci roviniamo per colpa della politica sinistra e con sinistra non intendo destra o sinistra ma sinistra sinistra ossia malvagia , diabolica , sadica
Sono d’accordo , Vivian, sinceramente non ci si può più fidare di questi politici e queste Istituzioni, sono dannosi per la popolazione.