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«Le immagini di quelle persone aggrappate all’aereo in partenza dall’aeroporto di Kabul che dopo il decollo si schiantavano a terra, morendo, fanno capire l’orrore vissuto dagli afghani con i talebani al potere. Pur di non stare di nuovo sotto il regime hanno preferito la morte, quella morte». Guardando quei video ha pianto, Alì. Anche lui diciannove anni fa si era aggrappato a un mezzo di trasporto per scappare. Sotto a un camion che da Patrasso a Venezia attraversava l’Adriatico su un traghetto, immobile per ore appeso con mani e piedi al motore, in silenzio, stremato e intorpidito. Era partito da Kabul cinque anni prima, legato insieme al fratello maggiore, Mohammed, sul tetto di un furgone che portava altri disperati in Iran. Ma lui e Mohammed erano più disperati degli altri. C’era la guerra in Afghanistan, i talebani si erano presi il paese con la forza e la violenza. «Sono solo degli scemi», gli diceva suo papà, «parlano tutto il tempo d...
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