Quando lo Stato islamico ha conquistato la Valle Mahmand, in Afghanistan, ha subito fatto capire chi comanda: i miliziani del califfo hanno versato il pepe sulle ferite dei nemici e li hanno obbligati a immergere le mani in tinozze di olio bollente. Altri li hanno bendati, torturati e fatti sedere per terra, dopo aver nascosto nel terreno delle mine, poi fatte esplodere, smembrando i loro corpi. È a causa di atrocità come queste che ora, nella provincia di Nangarhar, gli abitanti rimpiangono perfino i talebani.
«FINITO IL TEMPO DEI TALEBANI». L’Afghanistan non è l’Iraq o la Siria, dove gli affiliati all’Isis combattono i curdi, i cristiani e gli sciiti. Qui il potere è conteso ad altri sunniti, i talebani, e più che per conquistare nuovi territori al Califfato, si combatte per assicurarsi il controllo delle rotte del commercio dei narcotici. Ora sembra che «il tempo dei talebani sia finito. Comincia una nuova tragedia per noi», spiega al Washington Post un avvocato di Jalalabad, la capitale provinciale.
L’ARRIVO DAL PAKISTAN. La provincia di Nangarhar si trova nella parte orientale del paese, al confine con il Pakistan, e ora è in buona parte occupata dall’Isis. L’invasione è cominciata nell’estate del 2014, quando dal confine sono arrivati un centinaio di talebani pakistani che, dopo essere scappati dall’esercito, si sono uniti a una fazione di talebani afghani. «Abbiamo dato loro protezione, casa, terra», spiega Omar Jan, un anziano fuggito dalla provincia. A gennaio, l’Isis ha annunciato la nascita di una nuova fazione locale in Afghanistan, alla quale hanno velocemente aderito molti fuoriusciti dai talebani: gli afghani di Nangarhar non lo sapevano, ma si trattava proprio dei pakistani rifugiati nelle loro case.
LE BANDIERE NERE. Dopo un anno di alleanza con i talebani afghani, in estate, l’Isis è venuto allo scoperto predicando in moschea un islam rigidamente wahabita (lo stesso professato in Arabia Saudita). A luglio sono cominciati i primi scontri a fuoco tra i talebani afghani e i pakistani, passati all’Isis: «Un giorno hanno tirato fuori la bandiera nera. Abbiamo capito che erano passati allo Stato islamico», ricorda un altro residente della zona fuggito.
LA VITTORIA. Dopo un mese circa di combattimenti, l’Isis si è impossessato della zona, nonostante gli americani bombardassero sia loro che i talebani. Passando villaggio per villaggio e casa per casa, i jihadisti hanno rubato i mezzi di sostentamento ai residenti, distruggendo scuole e madrasse talebane, imponendo una nuova legge. Le abitazioni dei talebani sono state bruciate e chi veniva sospettato di essere loro alleato è stato rapito e seviziato.
«SEDUTI SULLE BOMBE». Ad agosto, 10 ostaggi sono stati fatti sedere su cumuli di terra appena scavata, dentro la quale si trovavano cariche di esplosivo. Il video della strage ha fatto il giro del web. Tra le vittime c’era anche il fratello di Malik Namos: «Gli hanno strappato tutti i denti prima di costringerlo a sedersi sulla bomba. Sono molto più cattivi dei talebani, non abbiamo mai visto un gruppo così crudele».
DECAPITAZIONI DIMOSTRATIVE. Nel distretto occidentale di Dih Bala è stato concesso a tutti di restare nelle proprie abitazioni, purché venissero seguite le nuove regole imposte dagli islamisti. A titolo dimostrativo, cinque afghani sono stati presi e accusati di fornire agli Stati Uniti le coordinate per bombardare le postazioni dell’Isis. I cinque uomini sono stati decapitati al mercato centrale e le loro teste lasciate in bella vista sulla strada. I cadaveri sono stati invece stesi per terra e tutti gli abitanti dovevano passarci sopra e schiacciarli.
«UN FIGLIO SU DUE PER L’ISIS». Nel villaggio di Loi Papin, la legge dell’Isis ha colpito duramente le famiglie. Un giorno dagli altoparlanti della moschea è arrivato quest’ordine: «Se avete quattro figli, due devono unirsi allo Stato islamico. Se avete due figli, uno deve venire con noi». Allo stesso modo, chi aveva figlie nubili doveva cederle ai jihadisti. «Se non avessimo accettato, ci avrebbero decapitati tutti. Loro ora sono il governo. Purtroppo sono certo che le prendevano per stuprarle», afferma sconsolato Hayatullah, poliziotto di 23 anni scappato dal distretto di Kot con tutta la sua famiglia.
«PREFERISCO I TALEBANI». Come in Arabia Saudita, è stata anche istituita una speciale polizia incaricata di verificare il rispetto da parte di tutti gli afghani della rigida morale islamica per le strade. Tutto ciò che i talebani non avevano già proibito, è stato vietato. A tutti è stato imposto di partecipare alla preghiera del venerdì in moschea, alle donne di vestire il burqa che copre il corpo dalla testa ai piedi. Hayatullah è sconsolato: «C’è un’enorme differenza tra i modi in cui i talebani e l’Isis trattano la gente. Preferisco i talebani, non c’è alcun dubbio».
Foto Ansa
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