Addio a Wislawa Szymborska, la poetessa di Solidarnosc

Di Daniele Ciacci
02 Febbraio 2012
È morta ieri, a 88 anni, a Cracovia. Appoggiò Solidarnosc, seguendone gli eventi, non cedendo mai alle lusinghe dell'utopia comunista.

Con Wislawa Szymborska muore un testimone attuale e profondo del nostro secolo e di quello precedente. Nata nel 1923 a Kornik, un piccolo paese polacco, ha sempre vissuto lontano dalla luci della ribalta. Scampata al terrore nazista perché impiegata alle ferrovie polacche, la Szymborska non si laureò mai, per mantenere la sua povera famiglia di periferia. Appoggiò Solidarnosc, seguendone gli eventi, non cedendo mai alle lusinghe dell’utopia comunista. Scrisse per testate culturali locali e venne tradotta in Russia, da Anna Achmatova, e il suo nome suonò alle orecchie di Josif Brodskij che la citò nel suo discorso al Nobel del 1987. Ed ecco la fama, da lei spesso scansata. In Italia arriva tardi: nel 1996 l’editrice Scheiwiller traduce la prima opera, Gente sul ponte. Nello stesso anno vince il premio Nobel per la letteratura. È morta ieri, a 88 anni, a Cracovia.

«Mi capita di sognare situazioni irrealizzabili – disse a Stoccolma ritirando il Nobel –. Nella mia temerarietà immagino ad esempio di avere l’occasione di conversare con l’Ecclesiaste, autore di un lamento quanto mai profondo sulla vanità di ogni agire umano. Mi inchinerei profondamente di fronte a lui, perché si tratta – almeno per me – di uno dei poeti più importanti. E poi gli prenderei la mano. “Nulla di nuovo sotto il sole” hai scritto, Ecclesiaste. Però Tu stesso sei nato nuovo sotto il sole. E il poema di cui sei autore è anch’esso nuovo sotto il sole, perché prima di Te non lo ha scritto nessuno. E nuovi sotto il sole sono tutti i Tuoi lettori, perché quelli che sono vissuti prima di Te, dopotutto non hanno potuto leggerlo. Anche il cipresso, alla cui ombra stavi seduto, non cresce qui dall’inizio del mondo. Gli ha dato inizio un qualche altro cipresso, simile al Tuo, ma non proprio lo stesso. E inoltre vorrei chiederti, o Ecclesiaste, che cosa intendi scrivere, adesso, di nuovo sotto il sole. Qualcosa con cui contemplerai ancora i Tuoi pensieri, o non sei forse tentato di smentirne qualcuno? Nel Tuo poema precedente hai intravisto la gioia – che importa se passeggera? Forse dunque è di essa che parlerà il Tuo nuovo poema sotto il sole? Hai già degli appunti, degli schizzi iniziali? Non credo che dirai: “Ho scritto tutto, non ho nulla da aggiungere”. Nessun poeta al mondo può dirlo, figuriamoci un grande come Te».

Sulla morte, senza esagerare (in Appello allo Yeti, 1957)

Non s’intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessitura, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.

Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.

Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere:
né scavare una fossa,
né mettere insieme una bara,
né rassettare il disordine che lascia.

Occupata ad uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo né abilità.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.

Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!

A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Più di un bruco
la batte in velocità.

Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo svogliato lavoro.

La cattiva volontà non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
è, almeno finora, insufficiente.

I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all’orizzonte.

Chi ne afferma l’onnipotenza
è lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non è.

Non c’è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.

La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.

Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
Twitter: @DanieleCiacci

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