
Addio Foggia e Spal. Tra noia e disperazione, ecco la Serie C 2012-13
Da 77 a 69. Le ultime a dare forfait sono state Foggia e Spal, società storiche della provincia pallonara italiana, con alle spalle anche qualche stagione in Serie A. A settembre niente Lega Pro per loro: nessuno dei due club ha presentato ricorso all’esclusione emessa dal Covisoc il 30 giugno scorso, che aveva giudicato queste squadre inadatte a disputare i campionati di Serie C. Foggia e Spal raggiungono così Siracusa, Triestina, Piacenza, Pergocrema, Taranto e Giulianova, club che non avevano neanche presentato domanda d’iscrizione alla prossima stagione.
In Puglia sembrano passati secoli dalle primavere di Signori-Baiano-Rambaudi, quando a inizio anni Novanta nasceva Zemanlandia e il calcio rapido e spumeggiante del Foggia stupiva tutta Italia. Pasquale Casillo, allora presidente dei rossoneri, lo scorso febbraio aveva messo in vendita la squadra, ma nessun acquirente si è fatto avanti: non è stato fornita la documentazione relativa ai pagamenti di stipendi e arretrati e alla licenza d’uso dello stadio Zaccheria. Discorso simile per il club ferrarese: il presidente Butelli non ha rispettato i termini per colmare il debito accumulato (3 milioni di euro) alla Federazione, e così è rimasto fuori. Ieri la Finanza ha fatto visita alla sede del club: difficile prevedere il futuro di questa società, che ha alle spalle 105 anni di storia, di cui 16 in A, e che già nel 2005 s’era trovata in braghe di tela ed era potuta ripartire sfruttando il Lodo Petrucci.
Ma la situazione appare tutt’altro che rosea anche per altri club: le squadre che entro le 13 di ieri dovevano presentare i propri ricorsi erano 11, e alle 8 che ce l’hanno fatta (Andria, Campobasso, Casale, Chieti, Como, Latina, Treviso, Valle d’Aosta) si aggiungono squadre non in regola con gli stadi (Hinterreggio, Prato, Sudtirol) per le quali si avrà un verdetto definitivo solo giovedì. Insomma potrebbe non essere finita qui.
Il fatto è che ogni anno la Serie C si trova a fare i conti con situazioni simili. Ogni estate ci sono club coi conti dissestati, squadre che non sanno come fare ad iscriversi, compagini sbattute fuori dal calcio professionista e costretti a ripartire dai campionati dilettantistici. Quanto costa per un imprenditore prendere in mano un club e gestirlo? Troppo: un anno fa si calcolava una spesa di 6,5 milioni per una squadra di Prima Divisione, 3,4 per la Seconda. Chi può disporre di cifre simili in un periodo di crisi economica come questo? Tra i presidenti è una gara a chi ci perde di meno. Oltretutto, denunciava un anno fa a Tempi il presidente della Lega Pro Macalli, di soldi ce ne sono ancora meno per alcuni contenziosi interni alle Federazioni: stando alla Legge Melandri del 2008, alla Serie C spetterebbero il 3% degli introiti dei diritti tv delle serie maggiori, invece ciò che arriva in tasca è sempre meno dell’1%. Miseri sono poi i guadagni dagli ingressi allo stadio e dal merchandising, e i contributi federali spesso sono insufficienti (un anno fa si attestavano a 180mila euro per club). Per gran parte degli imprenditori locali, impegnarsi nella gestione di un club risulta essere un pozzo senza fondo, dove buttare continuamente soldi senza trarne grandi guadagni.
Così le squadre falliscono, oppure durante l’anno pagano sempre più penalizzazioni in termini di punti per inadempienze societarie. Oppure saltano fuori ripescaggi all’ultimo momento di squadre retrocesse in Dilettanti. Quest’anno non dovrebbe essere così, dato che si era previsto che ci sarebbero stati solo nel caso in cui i club in regola fossero stati meno di 60. Questo perché qualcuno paventava che si potesse arrivare già quest’anno alla riforma della Lega Pro: non più due divisioni con due gironi ciascuno, ma una sola con tre gironi da 20 squadre (come funzionava la Serie C fino al 1978, quando il boom di club ha portato alla nascita di Serie C1 e Serie C2). È una decisione questa che era in programma per la stagione 2014-15, salvo poi essere stata anticipata al 2013-14. Forse che si faccia ancora un salto indietro e parta già quest’anno?
Sembra di no. Ieri Macalli è apparso sicuro, ribadendo che a settembre vedremo ancora Prima Divisione e Seconda Divisione distinte,, e solo tra un anno ci sarà il fatidico passaggio a tre gironi da venti squadre. A settembre avremo nell’ex-C1 16 club per girone, mentre in C2 uno da 18 e uno da 19. Il che regalerà una stagione davvero particolare, al limite tra la noia e la disperazione. Dalla Prima non retrocederà nessuno (in che serie andrebbero se la Seconda sparisce?), e si giocherà semplicemente per salire in B. Ma v’immaginate voi che monotonia le partite di chi a gennaio si troverà nella metà bassa della classifica e non nutrirà più ambizioni di salire tra i Cadetti? Più ostico è il discorso invece per la Seconda Divisione: da qui retrocederebbero in Dilettanti in tutto 18 club su 37, cioè praticamente la metà. Chi sbaglia paga, e scende. Giusto per rendere un po’ più dura la vita dei club di Lega Pro, che già non sanno se saranno ancora in vita l’anno prossimo.
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Basta guardare le societá di C2 mantenute in piedi nonostante i fallimeti e spesso salvate da imprenditori spesso collusi, per rendersi conto della politica di chi dirige la serie C. Secondo costoro viene dato piú credito alle societá che comprando grossi giocatori poi falliscono, piuttosto che dare fiducia alle societá che spendono in base ai bilanci.