I 36 Paesi uniti contro l’aborto e per la salute delle donne

Di Rodolfo Casadei
22 Novembre 2022
Celebrato a Washington il secondo anniversario della Dichiarazione contro l'affermazione dell'aborto come diritto internazionale garantito, fra nuove adesioni e ritiri
Dichiarazione Ginevra aborto

Dichiarazione Ginevra aborto

Gli Stati Uniti si sono ritirati dalla coalizione il 28 gennaio 2021 per decisione del presidente Joe Biden, ma è a Washington che il 17 novembre è stato celebrato, alla presenza di deputati e senatori americani e ambasciatori di vari paesi, il secondo anniversario della Dichiarazione consensuale di Ginevra sulla promozione della salute delle donne e sul rafforzamento della famiglia, meglio conosciuta come la dichiarazione dei paesi prolife, ovvero dei paesi contrari all’istituzionalizzazione dell’aborto come diritto umano. Firmata il 22 ottobre 2020 da 34 paesi, divenuti poi 36 fra nuovi ingressi e ritiri, il documento fu ufficialmente patrocinato dai governi di Brasile, Egitto, Indonesia, Stati Uniti, Uganda e Ungheria, e l’azione diplomatica che portò alla sua realizzazione fu promossa dall’allora segretario di Stato Usa Mike Pompeo, ai tempi della presidenza Trump.

L’aborto non è un diritto internazionale

 La dichiarazione si oppone ai tentativi da parte delle amministrazioni democratiche Usa e di molti paesi dell’Unione Europea di trasformare l’aborto legale in un diritto riconosciuto da trattati internazionali. Essa infatti «riafferma che non esiste alcun diritto internazionale all’aborto, né alcun obbligo internazionale da parte degli Stati di finanziare o facilitare l’aborto, in linea con il consenso internazionale di lunga data che ogni nazione ha il diritto sovrano di attuare programmi e attività coerenti con le proprie leggi e politiche» e «sottolinea che in nessun caso l’aborto dovrebbe essere promosso come metodo di pianificazione delle nascite e che qualsiasi misura oppure cambiamenti relativi all’aborto all’interno del sistema sanitario possono essere determinati solo a livello nazionale o locale secondo il processo legislativo nazionale».

Ma i contenuti del documento vanno oltre l’aborto, e riguardano sia i diritti delle donne, che l’organizzazione dei sistemi sanitari e l’importanza della famiglia. La dichiarazione «sottolinea l’uguale diritto di uomini e donne al godimento di tutti i diritti civili e politici, così come dei diritti economici, sociali e culturali» e che «la parità di diritti, opportunità e accesso alle risorse e pari condivisione di responsabilità per la famiglia da parte di uomini e donne e un partenariato armonioso tra loro sono fondamentali per il loro benessere e quello delle loro famiglie; le donne e le ragazze devono godere di pari accesso a un’istruzione di qualità, risorse economiche, e partecipazione politica nonché pari opportunità con uomini e ragazzi riguardo a occupazione, leadership e processo decisionale a tutti i livelli».

L’importanza della copertura sanitaria universale

Per quanto riguarda la sanità, la dichiarazione «riconosce che la copertura sanitaria universale è fondamentale per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile correlati non solo alla salute e al benessere, con ulteriore riconoscimento che la salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non mera assenza di malattia o infermità, che il predominante focus dei sistemi di assistenza sanitaria sul trattamento delle malattie piuttosto che sul mantenimento di uno stato di salute ottimale impedisce anche un approccio olistico».

I firmatari della dichiarazione ribadiscono il loro impegno a lavorare insieme per «costruire la capacità del nostro sistema sanitario e mobilitare risorse per attuare programmi sanitari e di sviluppo che affrontino i bisogni delle donne e dei bambini in situazioni di vulnerabilità e promuovano la copertura sanitaria universale; promuovere politiche di salute pubblica a sostegno delle donne e delle ragazze così come delle famiglie, incluso lo sviluppo della nostra assistenza sanitaria e la mobilitazione delle risorse all’interno dei nostri paesi, a livello bilaterale e nelle sedi multilaterali; sostenere il ruolo della famiglia come fondamento della società e come fonte di salute, sostegno e cura».

Le politiche per le donne e le famiglie

Gli interventi al meeting hanno riflesso tutti i vari contenuti della dichiarazione. L’ambasciatore ungherese Szabolcs Takács ha affermato che il governo del suo paese è impegnato a «proteggere i valori tradizionali della famiglia», citando la Costituzione ungherese che afferma che «ogni essere umano dovrebbe avere il diritto alla vita… e la vita fetale deve essere protetta dal momento del concepimento». Facendo riferimento ai programmi e alle politiche del governo per le donne e le famiglie, Takács ha osservato che l’Ungheria stanzia il 6 per cento del suo Pil per il sostegno alla famiglia, compresa una politica dal 2020 che prevede benefici di esenzione fiscale totale per le donne con quattro o più figli.

Su invito del governo della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) è intervenuta Agnes Kalonji, infermiera e ostetrica, che ha parlato dell’importanza cruciale della coalizione per avere un impatto effettivo sulla realtà concreta della mortalità materna nella Rdc e del programma di ostetricia qualificata Prosami come strumento per ridurre la mortalità materna nel paese. Attualmente il tasso di mortalità materna nella Rdc è uno dei più alti al mondo, con 600 morti ogni 100 mila parti.

Il ritiro degli Stati Uniti dalla Dichiarazione contro l’aborto

Fra gli intervenuti anche Elyssa Koren di Alliance Defending Freedom (Adf International), un’organizzazione cristiana per la difesa della libertà religiosa che ha la sua sede centrale in Arizona. «La Dichiarazione consensuale di Ginevra», ha detto, «funge da salvaguardia essenziale per i paesi che proteggono le donne e i loro bambini non ancora nati dall’abuso dell’aborto e che stanno respingendo le pressioni coercitive di forze esterne per cambiare le loro leggi e politiche sull’aborto. È un peccato che gli Stati Uniti sotto l’attuale amministrazione siano in prima linea nella promozione globale dell’aborto e la speranza è che un maggiore slancio a favore della vita negli Stati Uniti consentirà a più paesi di respingere queste incursioni nella loro sovranità nazionale».

Alla manifestazione di Washington era presente anche l’ambasciatore del Brasile, paese firmatario incaricato della segreteria generale della coalizione, che da quest’anno passa all’Ungheria. Con tutta probabilità il nuovo presidente brasiliano Lula ritirerà il paese dalla dichiarazione, come già fatto quasi due anni fa da Joe Biden per gli Usa. Fra i nuovi arrivi si segnala invece quello del Kazakistan. La maggior parte dei paesi firmatari arriva dall’Africa (Benin, Burkina Faso, Comore, Congo Brazzaville, Egitto, Eswatini, Gambia, Gibuti, Kenya, Libia, Niger, Repubblica Democratica del Congo, Senegal, Sudan, Sud Sudan, Uganda e Zambia); seguono l’Asia (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Iraq, Kuwait, Oman e Pakistan), l’Europa (Bielorussia, Georgia, Kazakistan, Polonia, Russia e Ungheria) e l’America Latina (Brasile, Guatemala, Haiti e Paraguay). L’Oceania è rappresentata da Nauru.

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