A proposito della lettera di monsignor Negri alle vittime di Manchester

Di Stefania Perna
07 Giugno 2017
La riflessione di Stefania Perna, insegnante e scrittrice, sulle parole usate dall'arcivescovo di Ferrara dopo il sanguinoso attentato al concerto di Ariana Grande

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Gentile direttore,

vorrei dire la mia a proposito della lettera di monsignor Luigi Negri alle vittime dell’attentato di Manchester, perché l’ho trovata davvero bella e, se è vero che tutte le opinioni oggi sono rispettate e valgono, devono valere anche quelle “pro”, cioè a favore.

Anzitutto ho letto così tanti attacchi vergognosi che ho davvero capito cosa è la misericordia. Ovviamente sto ironizzando! Anche perché bisognerebbe prima ammettere che ci sia stato uno sbaglio (dato che la misericordia si usa con chi sbaglia), e qui non ho visto errori. Ho visto solo idee difficili da accettare; quelle davanti alle quali chinare il capo e dire: “Sto sbagliando, come genitore, come persona, come società”. E chi lo fa di questi tempi in cui tutti siamo buoni e nessuno è in peccato (tranne forse chi parla di peccato, cioè l’arcivescovo Negri!)? Ho letto commenti che si attaccano alla sua età (per definirlo brontosauro o vecchio inacidito che ha sprecato la sua vita dietro una regola), o che si attaccano al suo essere eminenza (per deriderlo tipo Gesù “re per burla” e qui “eminenza per burla”, cioè “ emerito”… cretino. Nulla di nuovo sotto il sole. Offese gratuite, ma per nulla originali). Ma entriamo nel merito.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]È una lettera piena di amore, un grido di dolore per lo spreco di tante vite. Sprecate non perché vittime di un attentato, ma ancora prima perché vittime per quanto gli adulti propongono loro. Inutile invocare l’errore nella tempistica (“avrebbe dovuto scriverlo dopo, non mentre si cercano cadaveri”). La verità è che ci sono dolori che ruggiscono dentro e uno li tira fuori quando e come può, da padre, «opportune et inopportune», diceva qualcuno, secoli fa. Lo stesso Negri parla di «una notte di insonnia», prima di scrivere. È un padre che riflette su vite che non hanno avuto tempo di sbocciare.

Sì, perché per un credente una vita sboccia davvero solo quando incontra una Persona. La morte più importante non è quella fisica. Anzi quella, per un credente è solo un passaggio. Invece Negri sa che questi giovani sono cresciuti con due soli princìpi: «Che potete fare quello che volete perché ogni vostro desiderio è un diritto; e l’importanza di avere il maggior numero di beni di consumo». Qualcuno di noi genitori può negare che questo è lo scenario del 90 per cento dei giovani del nostro tempo? Forse facciamo fatica a riconoscerci, anche noi, colpevoli di questo? Magari non volutamente, ma trascinati: tutti ormai fanno questo, hanno quest’altro… mio figlio non può sentirsi diverso!

Io direi che nella nostra società non esiste un “momento adatto” per fare il discorso di Negri, semplicemente perché è un discorso scomodo! Tra l’altro, da sempre, il momento della morte è quello in cui si è disposti a fermarsi un attimo e a riflettere sulla serietà della vita! Un buon pastore quindi, cerca anche e soprattutto in quei momenti di raggiungere i cuori induriti e affannati da mille cose di tanti genitori, me compresa! Fermiamoci a meditare le sue parole!

Ad esempio, quello straziante accenno ai problemi esistenziali risolti di corsa con sedute psicanalitiche (non sia mai che uno cerchi un direttore spirituale… altrimenti il figlio non sarà un cristiano autonomo, “adulto” e maturo! E se poi un prete gli mettesse in testa strani tarli? Magari una vocazione? Dio, che plagio intollerabile, di questi tempi… quella sì che sarebbe una vita sprecata!). Io che sono da anni nella scuola ne ho viste tante di famiglie che hanno ragionato così: ogni tensione esistenziale “risolta” con gli psicologi! (Che ovviamente a volte servono, ma…).

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E dunque, laddove un politico o un laicista vede solo corpi straziati, lui, il vescovo, da padre spirituale, ha visto anime straziate (ancora prima della morte fisica). Straziate da cosa? Da una società e da una cultura che presenta modelli di vita sballati: qualcuno si è degnato di vedere video o parole dello “spettacolo”? Non si tratta di fare i moralisti, ma… «Ogni giorno, ogni giorno, ogni giorno… Sempre e ovunque, bambino, io posso comportarmi male… Inspirami, espirami, riempimi, attraverso le tue vene… Mi dà quella bella merda… Che non mi fa smettere, quella bella merda… Mi dà quella bella merda… Che non mi fa smettere, quella bella merda, oh, lui me la dà, ogni giorno, ogni giorno, ogni giorno. Lui me la dà»). Una ragazzina di 8 anni che non è fuggita da casa, ma è stata portata dai genitori a questo tipo di “divertimento”, non è forse straziata nell’anima? Cosa cercherà nella vita? Quale sarà la sua aspirazione per dare senso ai suoi giorni? Emulare il suo modello! Vestirsi da pin up, essere provocante e usare frasi allusive. Ed è forse colpa sua? No, assolutamente.

Gira in rete la lettera di una ragazza di 23 anni che ringrazia Negri e ben si riconosce in quanto lui scrive. Io stessa ho figli giovani e so bene come vengano derisi se non seguono un certo stile o non si fanno le canne! (Posso pubblicizzare un libretto sul tema? Ugo Borghello, Liberi dal sarcasmo, Edizioni Ares). Inutile dire che ci sono tanti bravi giovani: in genere non vanno a quel tipo di spettacolo. Io stessa, appartengo alla generazione alla quale i genitori permettevano di andare a spettacoli di certi cantanti e a quelli di altri no, seguire certe serie televisive e altre no. Non per questo si cresce malati! Ma si cresce consapevoli che esiste il male. E che bisogna evitarlo.

Come dice Negri, i genitori hanno dato tutto e «si sono dimenticati di dire che esiste il male». E così nessuno si preoccupa di evitarlo o di impostare la sua vita in modo da non ispirarsi a modelli sbagliati. Nessuno neppure si interroga o riflette. Tutto è bene, tutto fa bene, tutto è possibile. Ma questo, non è il nostro mondo! Questo era il paradiso, e per certuni lo sarà, dopo questo tempo di “prova ed esilio”, non di spasso continuo e spensierato (Dio, che parole insopportabili!). E se anche dopo la morte i genitori si limiteranno a mettere pupazzetti e orecchiette, invece di pregare… come può un vescovo non sentire tutto il dolore di tali anime straziate? Chi prega per loro? Nessuno ha proposto loro nulla di divino durante la vita (siamo esseri divini!) e nessuno neppure le salva dopo la morte. Anzi, si sostituiscono una serie di rituali laicisti a quello che dovrebbe essere il momento più serio, quello che consegna al “per sempre” i nostri cari.

Bellissime anche le parole finali, con cui il vescovo cerca di affidare i giovani a Maria: non esiste per il cristiano modo più dolce e via più sicura che finire le preghiere, le giornate, le meditazioni affidandosi alla mamma celeste: «Celebrerò la messa per tutti voi (…) perché dall’altra parte – quali che siano state le vostre pratiche religiose – incontriate il volto carissimo della Madonna che, stringendovi nel suo abbraccio, vi consolerà di questa vita».

Stefania Perna

Foto Ansa

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